L’approvazione di una nuova all’apparenza consistente tranche di aiuti americani da destinare all’Ucraina è stata per mesi invocata come la soluzione alla crisi irreversibile delle forze armate e del regime di Kiev di fronte all’avanzata russa. Il via libera della Camera dei Rappresentanti di Washington nel fine settimana ha perciò scatenato un’ondata di entusiasmo negli Stati Uniti e in Europa. I quasi 61 miliardi appena stanziati non faranno però nulla per cambiare il corso della guerra e, se anche dovessero riuscire a rimandare la resa ucraina, aggraveranno con ogni probabilità i livelli di distruzione e morte nel paese dell’ex Unione Sovietica.

La propaganda di governi e media ufficiali, scattata subito dopo il voto in aula di sabato scorso, sta procedendo su due livelli. Il primo è la promozione della fantasia che il denaro e i nuovi aiuti militari che (forse) arriveranno a Kiev potranno contribuire a invertire le sorti del conflitto e, nella più ottimistica delle ipotesi, a gettare le basi per una futura vittoria contro Mosca. In parallelo sono spuntati commenti e “analisi” dove si avverte come i mesi persi in trattative e polemiche politiche – negli USA ma anche in Europa – abbiano causato all’Ucraina danni difficilmente rimediabili. Quindi, solo un’ulteriore accelerazione nel ritmo degli aiuti e delle armi da inviare al regime di Zelensky potrà realmente incidere sugli equilibri bellici. Quest’ultima considerazione è un evidente messaggio ai leader europei per spronarli, sull’onda degli eventi registrati a Washington, ad aprire ancora di più i cordoni della borsa e a svenarsi per tenere in vita il paziente ucraino.

 

Anche prendendo per buona la versione ufficiale, dei quasi 61 miliardi appena stanziati e che approverà in via definitiva il Senato americano già questa settimana, solo poco più di un quinto finanzierà direttamente armi ed equipaggiamenti per le forze ucraine. Più precisamente, questi circa 14 miliardi saranno utilizzati dal Pentagono per acquistare armi dai produttori americani che verranno poi consegnate all’Ucraina.

La fetta più grossa – 23 miliardi – servirà invece a riempire i depositi americani svuotati dalle spedizioni di armi all’Ucraina in questi due anni. Il resto consiste in aiuti finanziari diretti, necessari tra l’altro a pagare gli stipendi dei funzionari pubblici ucraini, e in programmi militari americani in Europa orientale. Sul totale stanziato, una decina di miliardi sono formalmente prestiti che Kiev dovrà restituire. Una misura inserita per convincere qualche deputato repubblicano riluttante a votare a favore del pacchetto.

Il ruolo di Trump

I quasi 61 miliardi per l’Ucraina erano rimasti a lungo fermi al Congresso per l’opposizione dell’ala trumpiana del Partito Repubblicano. I deputati “MAGA” volevano misure per far fronte alla presunta crisi migratoria al confine col Messico in cambio della loro approvazione. Lo “speaker” della Camera, Mike Johnson, aveva perciò rinviato il voto in aula nonostante gli appelli e le pressioni della Casa Bianca e dei repubblicani “moderati”, consapevole che il passaggio del pacchetto con il contributo decisivo dei democratici avrebbe messo a rischio la sua posizione.

La deputata di estrema destra della Georgia, Marjorie Taylor Greene, aveva depositato una mozione di sfiducia contro Johnson e minacciato di attivarla se il presidente della Camera avesse consentito un voto sugli aiuti all’Ucraina. L’approvazione nel fine settimana ha mandato su tutte le furie la destra repubblicana, ma la possibile mozione per rimuovere Johnson dal suo incarico resta per ora inattiva, probabilmente per via del ruolo giocato dietro le quinte da Donald Trump.

L’ex presidente si era sempre opposto al pacchetto di aiuti per Kiev, utilizzando la crescente impopolarità della questione ucraina tra gli americani come arma elettorale per attaccare Biden. Un paio di settimane fa, però, Trump aveva ricevuto Johnson nella sua residenza di Mar-a-Lago, in Florida, dove era sembrato che i due avessero appianato le divergenze e discusso delle tensioni tra lo “speaker” e la minoranza “MAGA”. Trump aveva alla fine espresso il suo sostegno a Johnson, in quello che a molti commentatori era apparso come un via libera al voto su armi e denaro all’Ucraina.

Se ci sia stata una qualche intesa tra Trump e l’apparato di potere americano per sbloccare lo stallo dei 61 miliardi, che implica forse un allentamento delle pressioni sul candidato repubblicano alla Casa Bianca, non è chiaro. Quel che è certo è che, a parte qualche frangia più o meno isolata, l’Ucraina è un affare bipartisan a Washington e la prospettiva di un imminente tracollo delle forze di Kiev ha scatenato il panico nella classe politica americana. Infatti, stando alle notizie che circolano al Congresso, è molto probabile che, in un eventuale voto di sfiducia innescato dalla destra repubblicana, Mike Johnson troverebbe tra i deputati democratici i voti necessari per restare al suo posto.

La lunga strada di Zelensky

Come già accennato, subito dopo il voto alla Camera del Congresso americano sono spuntati gli avvertimenti della stampa “mainstream” a prendere atto comunque delle difficoltà oggettive del regime ucraino. Un esempio è il commento pubblicato dal sito Euractiv che ha riportato alla realtà i sostenitori di Zelensky. L’autore dell’articolo intende informare che “l’euforia [per l’approvazione del pacchetto da 61 miliardi di dollari] sarà di breve durata”, perché gli effetti del provvedimento potrebbero farsi sentire quando sarà ormai troppo tardi per Kiev.

La testa on-line paneuropea sostiene poi che alcune fonti militari hanno ammesso che la situazione drammatica delle forze ucraine sul campo di battaglia e l’avanzata russa negli ultimi mesi “potrebbero fare in modo che i nuovi aiuti non riescano a cambiare radicalmente le prospettive di Kiev”. Al massimo, il contributo americano permetterà di contrastare “i continui attacchi russi” e di “mantenere il controllo del territorio” attualmente occupato dall’Ucraina. In maniera cruciale, il voto di sabato dovrebbe spronare l’Europa a fare la sua parte e inviare in Ucraina altre armi, sistemi difensivi, mezzi corazzati ed equipaggiamenti vari. L’argomento sarà sollevato nel corso del vertice questa settimana in Lussemburgo tra i ministri degli Esteri e della Difesa UE, anche se Euractiv cita un anonimo diplomatico che anticipa come “la sessione [sugli aiuti all’Ucraina] non sarà affatto facile”.

La realtà è che la NATO semplicemente non dispone dei mezzi necessari a cambiare le sorti del conflitto. I paesi membri che conducono la guerra per procura contro la Russia non hanno in primo luogo l’apparato industriale per sostenere una massiccia campagna militare come quella che sta proponendo la Russia, né le risorse per far fronte economicamente a un impegno bellico prolungato contro un nemico che non sia uno “stato fallito” o un’organizzazione paramilitare più o meno arretrata.

Le centinaia di miliardi di dollari già spesi per il buco nero ucraino in questi due anni non sono riuscite a evitare il disastro militare, economico e sociale dell’Ucraina, né lo eviteranno i 61 miliardi in fase di stanziamento. Al contrario, la Russia, nonostante una campagna sanzionatoria teoricamente senza precedenti, ha oggi un apparato difensivo più forte rispetto al 2022 e la sua economia cresce ad un ritmo più sostenuto rispetto a qualsiasi paese occidentale.

Tutto ciò conduce al punto cruciale relativamente all’approvazione dei fondi per l’Ucraina del fine settimana. Ovvero che si tratta, oltre che di un nuovo regalo ai produttori di armi americani, dell’ennesimo tentativo di rimandare l’appuntamento col maggiore disastro strategico della storia americana, in modo da consentire al presidente Biden di non essere eccessivamente penalizzato in vista delle elezioni di novembre. Che poi il prezzo da pagare siano altre decine di migliaia di morti ucraini e la devastazione del paese è un problema che l’imperialismo americano non intende nemmeno iniziare a porsi.

Il suicidio dell’impero

Nel delirio e nella disperazione di un sistema che non vuole immaginare di abbandonare volontariamente quel ruolo egemone a livello internazionale che gli sta comunque sfuggendo di mano in fretta, la classe politica americana sembra non accorgersi di come siano le sue stesse scelte ad accelerare questa dinamica. Il fallimentare progetto ucraino ha infatti avviato la fase terminale della crisi occidentale, favorendo il consolidarsi delle tendenze multipolari che vedono al centro paesi rivali o nemici come appunto Russia, Cina e Iran.

Non è un caso d’altronde che, assieme agli aiuti per Kiev, siano stati approvati altri provvedimenti per stanziare fondi a Israele e Taiwan. Le principali crisi internazionali sono viste cioè dagli Stati Uniti come parte della stessa guerra contro le minacce alla propria supremazia globale. Allo stesso tempo, questa attitudine americana non fa che compattare il fronte opposto, con i governi di questi tre paese sempre più convinti della necessità di unire gli sforzi per superare il sistema unipolare dominato dall’Occidente.

La più recente iniziativa autolesionista promossa da Washington è stata presa sempre durante la maratona parlamentare di sabato scorso che ha portato al licenziamento da parte della Camera del nuovo pacchetto di aiuti all’Ucraina. In aula è stato approvato anche il cosiddetto REPO Act (“Rebuilding Economic Prosperity and Opportunity for Ukrainians”) che autorizza la Casa Bianca a confiscare (rubare) i beni di proprietà del governo russo depositati nelle banche americane per trasferirli in un fondo speciale da destinare all’Ucraina.

Negli USA sono parcheggiati circa sei miliardi sui 300 congelati alla Russia dal 2022. La gran parte del denaro si trova invece in Europa. La legge che potrebbe entrare in vigore nei prossimi giorni in America serve principalmente a spingere l’UE su questa stessa strada, anche se di qua dall’Atlantico restano forti resistenze. L’iniziativa, oltre a essere palesemente illegale, rischia di screditare definitivamente l’Occidente e di convincere investitori e governi di altri paesi a ridurre la propria esposizione in Europa e Stati Uniti. In una parola, la legge finirà per favorire la de-dollarizzazione, minacciando il cuore stesso dell’egemonia planetaria di Washington.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy