In parallelo al grave deterioramento delle condizioni psico-fisiche di Julian Assange, martedì la magistratura svedese ha archiviato per l’ennesima volta l’indagine preliminare a carico del fondatore di WikiLeaks, basata su accuse ultra-screditate di violenza sessuale risalenti a quasi un decennio fa. La decisione della procura di Stoccolma era inevitabile, vista la totale inconsistenza del caso, ma dimostra ancora una volta come il procedimento fosse stato creato ad arte per incastrare Assange. La sua estradizione negli Stati Uniti resta invece ancora molto probabile, come ha testimoniato nuovamente l’udienza preliminare di questa settimana in un tribunale di Londra in previsione del dibattimento vero e proprio fissato per il prossimo mese di febbraio.

 

La vicenda legale di Assange in Svezia, mai sfociata in un’incriminazione formale, aveva avuto fin dall’inizio due chiarissimi obiettivi, per raggiungere i quali furono manipolati in modo clamoroso sia i fatti alla base delle accuse sia le testimonianze delle due presunte vittime. Il primo era la costruzione di un vero e proprio complotto pseudo-legale necessario a favorire l’estradizione di Assange negli USA. Il secondo per infangare il nome del giornalista australiano, facendolo passare per uno “stupratore” in fuga dalla giustizia, e creare un clima tale da indebolire le resistenze nell’opinione pubblica alla sua persecuzione.

Entrambe le accusatrici o presunte tali, è bene ricordare, intendevano chiedere alle autorità di polizia svedesi soltanto un test HIV per Assange, con il quale avevano avuto rapporti consensuali. Furono la polizia stessa e la magistratura a insistere per una denuncia e in seguito a emettere un ordine di arresto per il giornalista australiano. Inizialmente, anzi, il caso era stato chiuso da un magistrato proprio perché senza fondamento. Assange aveva allora lasciato la Svezia per recarsi a Londra. Solo in seguito, un altro procuratore avrebbe deciso di riaprire le indagini, verosimilmente dietro pressioni di ambienti politici filo-americani, chiedendo un “mandato di arresto europeo” per Assange.

Per anni, le autorità svedesi avevano insistito sulla possibilità di sentire quest’ultimo soltanto di persona e nel loro paese, nonostante i numerosi precedenti di interrogatori condotti in Gran Bretagna o in collegamento video. Assange aveva contestato nei tribunali britannici la richiesta di estradizione, ben sapendo che la Svezia aveva intenzione di mettere le mani su di lui per poi consegnarlo a Washington. Esaurite le strade legali per la sua difesa, il fondatore di WikiLeaks decise nel giugno del 2012 di chiedere asilo politico presso l’ambasciata dell’Ecuador a Londra, dove sarebbe rimasto fino all’arresto illegale nell’aprile di quest’anno, orchestrato dai governi della Gran Bretagna e del paese sudamericano sotto la guida del nuovo presidente, Lenin Moreno.

Durante la permanenza nella rappresentanza diplomatica ecuadoriana, Assange è stato sottoposto a una lunga serie di violazioni dei suoi diritti, tra cui la sorveglianza continua di tutte le sue attività da parte di una compagnia spagnola al servizio dell’intelligence americana. Come hanno rivelato alcune e-mail pubblicate qualche tempo fa dalla stampa, inoltre, i magistrati britannici avevano insistito con quelli svedesi per prolungare il loro procedimento legale nei confronti di Assange. Il caso sarebbe stato poi archiviato, per la seconda volta, nel maggio del 2017, prima di essere riaperto in seguito al suo definitivo arresto nel mese di aprile.

La nuova archiviazione di questa settimana farà ben poco da un punto di vista legale per aiutare la posizione di Julian Assange. Anche se sfociata nel nulla, l’indagine svedese ha comunque svolto il ruolo per il quale era stata avviata. Nella sua durissima comunicazione al governo di Stoccolma, il relatore speciale sulle torture dell’ONU, Nils Melzer, aveva definito il caso svedese come “il principale fattore che ha innescato, consentito e incoraggiato la successiva campagna persecutoria contro Assange in vari paesi e il cui effetto cumulativo può essere definito soltanto come tortura psicologica”.

Questa campagna ha dato anche l’opportunità a buona parte della galassia “liberal” e finto-progressista occidentale di manifestare il proprio servilismo di fronte al governo degli Stati Uniti attraverso una serie di attacchi incrociati contro Assange per le accuse infondate di stupro, sulla base di premesse ideologiche legate alle politiche identitarie oggi tanto care alla “sinistra” ufficiale. Particolarmente vergognoso è stato il trattamento riservato in questi anni ad Assange da testate come il New York Times e il britannico Guardian, scelti in passato da WikiLeaks per la pubblicazione di documenti riservati del governo americano.

La notizia dell’archiviazione dell’indagine in Svezia deve avere creato qualche malumore nel governo di Londra e nella magistratura britannica. Il caso aperto a Stoccolma aveva infatti lasciata aperta l’opzione di una possibile estradizione verso la Svezia piuttosto che verso gli USA, in modo da permettere agli ambienti implicati nella persecuzione di Assange di consegnarlo a un paese il cui rispetto per i diritti democratici è presumibilmente indiscutibile e dove lo attendeva un procedimento tutto sommato di lieve entità.

In questo modo, la classe dirigente britannica avrebbe potuto in sostanza lavarsi le mani circa la sorte di Assange ed evitare almeno in parte le reazioni dell’opinione pubblica e dei sostenitori del giornalista australiano in caso di estradizione negli Stati Uniti. Dopo che la Svezia ha però chiuso l’indagine preliminare, sarà la magistratura e il governo della Gran Bretagna ad avere la piena responsabilità dell’eventuale consegna di Assange alla vendetta di Washington.

Per avere svolto il proprio lavoro di giornalista, rivelando i crimini dell’imperialismo americano e non solo, Assange rischia di dovere affrontare negli Stati Uniti ben 18 capi d’accusa relativi, tra l’altro, all’hackeraggio di computer governativi e ad attività di spionaggio, rischiando complessivamente fino a 175 anni di carcere. Per evitare lo stop all’estradizione dalla Gran Bretagna, le autorità americane non hanno presentato accuse che potrebbero prevedere la pena di morte. Tuttavia, una volta che Assange sarà nelle mani della giustizia USA, è interamente possibile che simili accuse si aggiungano a quelle già formulate.

La situazione di Julian Assange appare comunque sempre più delicata. Il già ricordato funzionario delle Nazioni Unite ha in più di un’occasione mostrato e denunciato l’illegalità del trattamento a lui riservato da Gran Bretagna e Stati Uniti, così come dall’Ecuador, che lo ha consegnato alle autorità di Londra rinnegando l’asilo concesso nel 2012, e dall’Australia, paese di origine di Assange di fatto sempre rifiutatosi di difendere i suoi diritti.

Oltre al pericolo di un’estradizione negli Stati Uniti, è la stessa vita del numero uno di WikiLeaks a essere oggi seriamente minacciata. La salute di Assange è in continuo deterioramento e, ciononostante, non sembra essere in vista nessun allentamento delle condizioni di detenzione nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, dove oltretutto il suo diritto alla difesa viene severamente ristretto.

Anche alla luce dell’ostilità dei giudici che stanno presiedendo alla sua causa, alcuni con legami famigliari documentati agli ambienti della “sicurezza nazionale” britannica e americana, è del tutto legittimo pensare che l’opzione preferita dalle autorità britanniche sarebbe precisamente la morte in carcere di Assange. Quello che ammonterebbe a tutti gli effetti a un assassinio di stato di colui che a oggi è forse il più importante detenuto politico del pianeta, risolverebbe molti problemi per Londra, evitando le inevitabili polemiche e proteste che finirà per scatenare l’estradizione verso Washington.

La vicenda Assange, ad ogni modo, ha un’importanza enorme, malgrado il sostanziale disinteresse dei media ufficiali. Al di là delle colossali violazioni dei suoi diritti e del comportamento criminale di almeno cinque governi, una sua condanna avrebbe implicazioni inquietanti per il principio stesso della libertà di stampa. La persecuzione nei confronti di Assange e di WikiLeaks ha infatti come obiettivo ultimo il tentativo di impedire a qualsiasi testata giornalistica la legittima pubblicazione di notizie e materiale riservato, soprattutto se relativo ai crimini e alle operazioni anti-democratiche del governo degli Stati Uniti.

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