A pochi giorni dal ritorno ufficiale alla guida del governo di Israele, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha già lasciato intendere che sulla questione della guerra in Ucraina potrebbe adottare un approccio molto diverso da quello dei suoi due predecessori. Una posizione più favorevole alla Russia sarebbe nell’ordine delle cose alla luce dei tradizionali ottimi rapporti tra il leader del Likud e il presidente russo Putin. Il possibile aggiustamento della strategia russo-ucraina dipende però anche dalle implicazioni che hanno per lo stato ebraico le relazioni con Mosca, intrecciandosi alle questioni relative a Iran, Siria e Palestina, ma anche allo stato dell’alleanza con Washington.

 

I primi segnali in questa direzione sono arrivati subito dopo l’inizio del nuovo anno. Il neo-ministro degli Esteri di Israele, Eli Cohen, lunedì ha rilasciato una dichiarazione che in molti hanno interpretato come un’anticipazione di un prossimo cambiamento di rotta. Cohen ha assicurato che, in merito alla guerra tra Russia e Ucraina, la cosa che il nuovo gabinetto Netanyahu “certamente” farà è “discuterne meno a livello pubblico”. Il nuovo capo della diplomazia di Tel Aviv ha inoltre annunciato un colloquio telefonico con il suo omologo russo, Sergei Lavrov, avvenuto poi effettivamente nella giornata di martedì.

Quest’ultima iniziativa rappresenta di per sé un cambiamento significativo. Il precedente ministro degli Esteri israeliano Yair Lapid, dal primo luglio scorso anche capo del governo ad interim, non aveva infatti mai parlato con Lavrov né con Putin dall’inizio delle operazioni russe in Ucraina a fine febbraio. Anche se provvedimenti concreti in ambito militare a favore del regime di Zelensky il governo guidato da Lapid non ne aveva adottati, la retorica dell’attuale leader dell’opposizione israeliana era apparsa assecondare le posizioni di Europa e Stati Uniti nel condannare le azioni di Mosca.

La necessità di non incrinare troppo il rapporto tra Israele e Russia aveva comunque guidato anche le scelte pratiche del governo guidato prima da Naftali Bennett e in seguito appunto da Lapid. Israele ha sempre respinto le richieste ucraine di inviare a Kiev sistemi missilistici difensivi, anche se circolano da tempo indiscrezioni sulla presenza nel paese dell’ex URSS di uomini delle forze speciali dello stato ebraico in appoggio all’esercito locale. Anche il precedente esecutivo israeliano, decisamente più in sintonia di Netanyahu con l’amministrazione Biden, si era assicurato insomma di non andare al di là di certi limiti per non danneggiare una serie di interessi fondamentali legati alla Russia.

Con il ritorno di Netanyahu ci potrebbe essere tuttavia una prospettiva differente, con la priorità fissata non tanto nell’assecondare Washington e Kiev senza irritare il Cremlino, ma nel consolidare la partnership con la Russia in funzione delle altre dinamiche riguardanti gli interessi regionali di Israele. L’aspetto centrale e più scottante della questione, come ha ricordato l’ex ambasciatore indiano M K Bhadrakumar questa settimana sul suo blog Indian Punchline, è rappresentato evidentemente dal fatto che “Putin è in guerra con gli Stati Uniti e l’Occidente” e questi ultimi “sono i tradizionali alleati di Israele”. Netanyahu è però da sempre un politico pragmatico e “multi-dimensionale”, in grado di “trasformare le sfide in nuove opportunità”.

Partendo dal rapporto di lunga data con Putin, il premier israeliano intende rilanciare la partnership con Mosca, ma non per rispondere a impulsi di natura personale, bensì per beneficiare dell’influenza che oggi la Russia è in grado di esercitare in Medio Oriente. A questo proposito, scrive ancora Bhadrakumar: “La Russia è diventata a tutti gli effetti un protagonista in Asia occidentale e, probabilmente e per certi versi, un partner regionale di maggior valore per Israele rispetto agli Stati Uniti”. Basti pensare al relativo disimpegno di Washington dal Medio Oriente negli ultimi anni e, soprattutto, dalla capacità calante di incidere sul comportamento dei principali paesi arabi. Carenza, quest’ultima, che rischia di compromettere seriamente gli interessi di Tel Aviv.

Gli ottimi rapporti instaurati negli ultimi anni tra Russia e Arabia Saudita offrono ad esempio l’opportunità a Israele di fare leva su Riyadh per normalizzare le relazioni bilaterali senza concedere nulla sul fronte palestinese, come prevedeva il progetto lanciato a suo tempo dall’amministrazione Trump. Un discorso solo in parte simile riguarda anche la Repubblica Islamica. Anche se ovviamente non in funzione di una normalizzazione con Israele, la quasi-alleanza venutasi a creare tra Mosca e Teheran rappresenta un’occasione e, assieme, un grattacapo per Netanyahu.

Nel primo caso, la mediazione di Putin ha permesso e permette a Israele di agire militarmente pressoché senza limiti in Siria per colpire gli obiettivi, anche iraniani, che lo stato ebraico ritiene cruciali al fine di indebolire la “resistenza” anti-israeliana. Allo stesso tempo, però, Netanyahu vede con estrema inquietudine il rafforzarsi del legame tra Russia e Iran. Essendo questo un effetto anche e soprattutto della guerra in Ucraina, per sciogliere o allentare il nodo che tiene legati i due paesi è necessario che il conflitto si chiuda quanto prima.

Sempre secondo l’ex diplomatico indiano, è quindi possibile che Netanyahu dedicherà particolare impegno nel cercare una soluzione diplomatica alla crisi russo-ucraina, sfruttando sia la corsia preferenziale con Mosca sia i contatti con gli ambienti di potere negli Stati Uniti. Le prossime settimane potrebbero registrare ad ogni modo l’intervento del nuovo governo Netanyahu nella vicenda ucraina. Le conseguenze di ciò rischiano evidentemente di non essere tutte positive, visti gli obiettivi di Washington nell’alimentare la guerra.

Gli sviluppi potenziali del riassetto della politica estera di Israele e dello stesso ritorno al potere di Netanyahu in questo frangente storico sono tuttavia di natura più ampia. Essi implicano, almeno in teoria e nel medio o lungo periodo, la messa in discussione della priorità assoluta dell’alleanza con gli Stati Uniti, su cui si basa la storia dello stato ebraico fin dalla sua fondazione, a favore della Russia, che non è solo una potenza rivale di Washington ma quella con cui l’America è un passo da uno scontro militare diretto.

Per contro, non è da escludere che proprio alle affinità tra Putin e Netanyahu possano invece ricorrere gli Stati Uniti nel momento in cui decidessero di esplorare una via d’uscita alla crisi in Ucraina. Di questa ipotesi non c’è ovviamente per ora nessuna traccia, anche se una notizia riportata martedì dal quotidiano Times of Israel lascia spazio a dubbi e interpretazioni di vario genere.

Citando una fonte diplomatica “senior”, il giornale israeliano ha scritto che il segretario di Stato USA, Anthony Blinken, ha chiesto al ministro degli Esteri di Tel Aviv, Eli Cohen, di recapitare un messaggio a Lavrov in previsione del già citato colloquio telefonico tra questi ultimi. Il governo americano non ha tuttavia rilasciato commenti in proposito, né la fonte del Times of Israel ha rivelato il contenuto del messaggio trasmesso indirettamente da Washington a Mosca.

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