di Roberta Folatti

Non si decise mai a scrivere la sua autobiografia, nonostante le insistenze di amici e editori, perchè pensava che la sua vita fosse troppo normale per interessare a qualcuno. In effetti non fu mai un’attrice capricciosa o una regina del gossip anzi la sua correttezza e disponibilità sono ricordate da tutti, ma la scelta di mantenere un profilo basso non le impedì di diventare un’icona.
In effetti non fu mai un’attrice capricciosa o una regina del gossip anzi la sua correttezza e disponibilità sono ricordate da tutti, ma la scelta di mantenere un profilo basso non le impedì di diventare un’icona. Sì perchè ogni foto di Audrey Hepburn, comprese quelle private scattate in famiglia, può essere presa a modello di gusto, sobrietà, eleganza. E leggendo il libro che suo figlio Sean le ha dedicato si capisce subito che quest’identificazione non fu il frutto di un’operazione esteriore, costruita a tavolino da valenti esperti di look: il rigore e la classe di Audrey scaturivano direttamente dalla sua personalità.
Anche le esperienze dei suoi primi anni di vita avevano contribuito a renderla seria e determinata e al tempo stesso modesta, disponibile verso gli altri, da cui riteneva di poter apprendere sempre qualcosa.
Era nata in Olanda nel 1929 e aveva vissuto l’occupazione nazista, la guerra, la scarsità di cibo tanto che si sentiva spiritualmente vicina ad Anna Frank. Quando le proposero il ruolo della giovane ebrea lei ci pensò a lungo, ma alla fine rifiutò perchè si sentiva troppo esposta, temeva di farsi sopraffarre dall’emotività.
In Audrey Hepburn, un’anima elegante, Sean Hepburn Ferrer descrive con estrema semplicità la figura di sua madre che – scomparsa a poco più di sessant’anni – lasciò in lui e in suo fratello Luca una traccia indelebile. Entrambi i figli, avuti dall’attore Mel Ferrer e dal medico italiano Andrea Dotti, la adoravano e lei sacrificò molte opportunità lavorative per stargli vicino, assicurando loro una vita il più possibile normale.
In effetti non girò moltissimi film, ma seppe scegliere quelli giusti e già a 24 anni aveva vinto un Oscar per “Vacanze romane” di William Wyler. Pochi titoli ma che rappresentano dei classici della storia del cinema anni ’50 e ’60: My fair lady, Sabrina, Sciarada, Guerra e pace, Arianna e il mitico “A colazione da Tiffany”, dove un Audrey/Holly Golightly al massimo della freschezza e della maliziosità diventa il simbolo di uno stile, amato e copiato ancora oggi perchè una certa eleganza non passerà mai di moda.
Il fascino che questa esilissima donna esercitava su folle di ammiratori diviene più comprensibile leggendo il libro scritto da suo figlio, e soprattutto lasciandosi rapire dall’incanto che regalano le sue foto, alcune scattate da grandi professionisti, altre dal primo marito Mel Ferrer. Immagini senza tempo, semplici ma di grande raffinatezza, in cui si legge una personalità trasparente, dolce e determinata, solcata da un costante velo di malinconia.
La Hepburn negli ultimi anni della sua vita mise la sua notorietà a disposizione dell’UNICEF e si buttò nel lavoro di ambasciatrice, viaggiando tra i paesi vittime della fame, delle guerre e delle malattie. I bambini della Somalia ridotti pelle e ossa la colpirono in modo profondo e definitivo, imprimendole nell’animo una tristezza incurabile e togliendole la fiducia che fino ad allora aveva riposto nelle istituzioni e nei governi occidentali.
Però continuò a sperare come spiegò in un’intervista: "Sono gli aiuti umanitari a tenere a galla la Somalia. Penso che forse, col tempo, invece di una politicizzazione degli aiuti umanitari, ci possa essere un’umanizzazione della politica. Sogno il giorno in cui saranno la stessa cosa."







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