L’ingresso ufficiale della Finlandia nella NATO è avvenuto ironicamente solo due giorni dopo la sconfitta elettorale della coalizione di governo di centro-sinistra che ha gestito negli ultimi undici mesi la liquidazione definitiva dello status di neutralità del paese nordico. Praticamente tutta la classe politica finlandese è comunque allineata ai principi del filo-atlantismo, così che il prossimo cambio di governo a Helsinki non farà registrare nessuna variazione di rotta a proposito della crisi russo-ucraina. Il sostanziale consenso della politica e della maggioranza della popolazione all’adesione alla NATO non cancella tuttavia i rischi che questa decisione comporta per la Finlandia, la cui sicurezza diventerà da questa settimana indiscutibilmente più precaria, come hanno già lasciato intendere le inevitabili e del tutto legittime reazioni del governo di Mosca.

Il processo di distensione tra Iran e Arabia Saudita, favorito dal governo cinese, ha aperto ufficialmente una nuova fase della politica estera della casa regnante a Riyadh, inserendo lo storico alleato degli Stati Uniti nel pieno delle dinamiche multipolari e dell’integrazione euro-asiatica che hanno il loro motore a Mosca e a Pechino. In maniera singolare, l’impulso decisivo alla revisione delle modalità con cui proiettare i propri interessi in ambito regionale e non solo è arrivato in buona parte dal sanguinoso conflitto in Yemen, dove la monarchia wahhabita si ritrova impantanata da quasi un decennio senza avere risolto le problematiche legate alla sicurezza e alla competizione in Medio Oriente che ne erano alla base. Il fallimento della guerra, appoggiata in pieno da Washington, ha così spinto le autorità saudite ad allargare gli orizzonti geopolitici tradizionali, col risultato di consolidare la partnership con Russia e Cina.

Sembrano essersi interrotte - ma non cessate - le lotte sociali che per qualche settimana hanno scosso l’Europa occidentale. Le dinamiche delle insubordinazioni sono difficili da pronosticare ma appare prevedibile un loro ritorno più che il loro scomparire e probabilmente prima di quanto i media e la politica ufficiale immaginano. Perché le ragioni che le ispirano sono più forti della loro stessa tenuta e questo è quel che conta.

Le lotte che hanno attraversato Germania, Francia e Inghilterra raccontano di un continente non pacificato. Ciò non tanto per quanto riguarda la disponibilità a praticare il conflitto di classe, quanto per il rifiuto di considerare le condizioni disperanti in cui versa lo stato sociale dell’intero continente. In primo luogo a causa del primato ultraliberista, che peggiora sia la vita delle persone che gli stessi conti pubblici che si afferma di voler salvare proprio a prezzo dei sacrifici imposti alle politiche sociali. Non si salvano i conti e, soprattutto, non si salvano le persone.

L’assalto del governo americano al popolare “social” cinese TikTok è ripartito a pieno regime in questi ultimi giorni con l’udienza alla Camera dei Rappresentanti di Washington dell’amministratore delegato Shou Zi Chew e la discussione al Congresso di alcune proposte di legge per limitare l’utilizzo dell’app negli Stati Uniti. La pericolosità di questo strumento, che viene senza alcuna prova associato al governo di Pechino, sembra essere ampiamente sopravvalutata, ma la campagna in corso ai limiti dell’isteria ha almeno due obiettivi ben precisi: alimentare il clima di caccia alle streghe contro la “minaccia” cinese e rafforzare il potere di censura e controllo della rete nelle mani del governo americano.

Per molti paesi europei, la guerra in Ucraina è stata un’occasione unica per rimodernare e rafforzare il proprio arsenale bellico con la scusa di sostenere militarmente un paese aggredito senza nessuna ragione valida. Ufficialmente, i vari governi alleati di Kiev hanno in larga misura fornito al regime di Zelensky armi ed equipaggiamenti – spesso obsoleti – che conservavano nei propri depositi. In cambio, l’UE ha permesso di attingere al fondo dal nome orwelliano di “Strumento Europeo per la Pace” (“European Peace Facility” o EPF) per ottenere i relativi rimborsi in denaro. Dopo oltre un anno dall’inizio del conflitto, questa settimana è emerso che alcuni paesi avrebbero approfittato di questo meccanismo, presentando un conto più salato di quello sostenuto a favore dell’Ucraina, così da ottenere le risorse necessarie ad acquistare armi nuove di zecca.


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