Il presidente in carica Recep Tayyip Erdoğan affronterà tra meno di due settimane il primo ballottaggio dalla sua ascesa al potere in Turchia più di due decenni fa. Il 28 maggio andrà in scena la sfida con il leader dell’opposizione, Kemal Kiliçdaroğlu, a lungo dato come favorito dai sondaggi, talvolta addirittura come possibile vincitore già al primo turno. A sfiorare il successo immediato è stato invece Erdoğan, il quale, nonostante la flessione rispetto alle passate elezioni, continua a conservare una certa popolarità nel paese, non da ultimo grazie all’inserimento in pianta stabile della Turchia nelle nuove dinamiche strategiche ed economiche in corso nello spazio eurasiatico.

Il ritorno in maniera formale della Siria nella Lega Araba segna non soltanto il reintegro a tutti gli effetti di Damasco nelle dinamiche diplomatiche regionali dopo quasi dodici anni, ma anche il fallimento delle manovre degli Stati Uniti e dei loro alleati per rovesciare con la violenza il governo di Bashar al-Assad e imprimere una svolta strategica anti-iraniana in Medio Oriente. La decisione è stata presa durante un vertice a porte chiuse nel fine settimana in Egitto e spiana la strada alla partecipazione da parte del legittimo governo siriano alla riunione della Lega Araba prevista per il prossimo 19 maggio in Arabia Saudita.

A pochi giorni dall'abbattimento di due droni sul tetto del Cremlino, né gli ucraini né i loro padroni politici (Regno Unito e Stati Uniti) hanno rivendicato la responsabilità dell'azione. Esistono tre versioni dell'accaduto: quella ucraina, che, come per i precedenti attacchi, nega e indica negli oppositori di Putin i responsabili; quella statunitense, che ribadisce l'estraneità della Casa Bianca; quella russa, che accusa Stati Uniti e Ucraina di aver cercato di assassinare il presidente Vladimir Putin.

La versione ucraina non sorprende: segue pedissequamente lo stesso copione già utilizzato in precedenti attacchi "non supportati" da parte statunitense. Basti ricordare quello al ponte di Crimea, l'assassinio di Darya Dugina e - cosa strategicamente più significativa - il sabotaggio del gasdotto North Stream. Per ognuno di questi attacchi, la macchina propagandistica della NATO, cioè l'intero mainstream occidentale, ha cercato di trasmettere la presunta responsabilità diretta della Russia: e così Dugina è stata uccisa da presunti avversari di suo padre, il gasdotto è stato sabotato per dispetto e ora i droni sul Cremlino sarebbero opera degli oppositori di Putin. Insinuando così che siamo tutti idioti e che i russi, oltre a essere incapaci di difendersi, siano autolesionisti.

Con l’avvicinarsi della data ancora sconosciuta della controffensiva ucraina, le analisi in Occidente del possibile esito dell’attesa operazione che Zelensky dovrebbe ordinare stanno diventando sempre più pessimistiche. Più precisamente, tra la propaganda e le ricostruzioni di fantasia circa l’andamento della guerra, cominciano a circolare in maniera relativamente diffusa valutazioni più realistiche delle possibilità delle forze armate di Kiev. Per una serie di fattori, determinati dalla situazione venutasi a creare sul campo dopo oltre tredici mesi di guerra, le prospettive ucraine non sono esattamente incoraggianti e l’eventuale azione che potrebbe essere lanciata a breve rischia di risolversi in un nuovo e inutile bagno di sangue.

Gli stravolgimenti degli equilibri strategici in Medio Oriente procedono a passo spedito nonostante l’opposizione degli Stati Uniti a dinamiche che minacciano la loro posizione dominante nella regione. I nuovi scenari trovano il proprio motore soprattutto nelle iniziative dell’Arabia Saudita, legate in buona parte al rafforzamento delle posizioni di Cina e Russia in Asia occidentale, e incidono in primo luogo sui rapporti con l’Iran e sulla situazione siriana. Gli sviluppi più recenti in questa direzione sono stati la conferenza di Amman proprio sulla Siria e la notizia del possibile dialogo in corso tra i sauditi e Hezbollah in Libano.


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