di Daniele John Angrisani

La notizia è di quelle che, se confermata dai fatti, può rappresentare davvero una svolta epocale. Ma sino ad ora si tratta solo di voci semi-ufficiali, a cui la stampa internazionale non sembra aver dato molto sino ad ora molto peso. Stiamo parlando del cosidetto "Accordo di Principi" che il primo ministro israeliano, Ehud Olmert, avrebbe intenzione di proporre al presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese, Mahmoud Abbas (Abu Mazen), secondo quanto riportato dal quotidiano israeliano Haaretz. Si tratta di una ipotesi di accordo di estrema importanza, in quanto stabilisce, per l'appunto, i princìpi sulla base dei quali potrebbero riprendere le trattative per l'accordo di pace definitivo. Stando a quanto riportato dalla stampa israeliana, i punti principali di questa proposta sono: creazione di uno Stato palestinese indipendente sul 90% del territorio dell'attuale Cisgiordania e della Striscia di Gaza; scambi di territorio con i palestinesi per compensare i grandi insediamenti colonici che dovrebbero rimanere sotto controllo israeliano nella Cisgiordania; un tunnel costruito sotto territorio israeliano per garantire il legame territoriale tra la Cisgiordania e la Striscia di Gaza; evitare ulteriori frizioni tra le parti in causa e garantire la sicurezza; infine i sobborghi arabi di Gerusalemme Est come capitale del nuovo Stato palestinese. "Se la proposta di Olmert dovesse essere accettata dai palestinesi", riferisce Haaretz, "le due parti potrebbero iniziare i negoziati sulle caratteristiche del nuovo Stato palestinese, le sue istituzioni ufficiali, la sua configurazione economica e gli accordi che dovrebbero garantire la sua convivenza pacifica con Israele". Da questo "Accordo di Principi" rimarrebbero comunque fuori le due questioni più sensibili, ovvero quella dei confini definitivi dello Stato Palestinese e del diritto di ritorno dei profughi, che sarebbero poi oggetto di un nuovo negoziato dopo la firma e l'implementazione dell'Accordo. Da parte sua il presidente palestinese, Abu Mazen, durante un incontro con Yossi Beilin, capo del partito isrealiano moderato Meretz, ha affermato che l'Autorità Nazionale Palestinese è preparata a raggiungere un accordo definitivo con Israele entro il prossimo inverno, quando dovrebbe tenersi una conferenza internazionale di pace sul Medio Oriente. Ma ha anche affermato che un "Accordo di Principi", come quello che sarebbe pronto a proporre Olmert, da solo non basta per chiudere la questione definitivamente.

I segni che indicano la volontà di riprendere il tavolo delle trattative da entrambe le parti, vi sono tutti: per la prima volta nella storia, l'Autorità Nazionale Palestinese ha pubblicato venerdì scorso il suo programma di governo senza che vi fosse alcun riferimento alla lotta armata contro Israele. Piuttosto, vi è un riferimento alla "lotta popolare contro l'occupazione israeliana". La parola araba "muqawma", che letteralmente significa resistenza e che appariva in tutti i precedenti programmi di governo, viene usata generalmente per indicare la lotta armata. Invece il termine "lotta popolare" indica le dimostrazioni di piazza e l'attivismo politico. Da parte sua Hamas, che continua a controllare indisturbata la Striscia di Gaza, ha già fatto sapere che invece rimarrà ferma nella sua intenzione di predicare la lotta armata contro Israele ed ha considerato la decisione del governo palestinese di Fayad come un tradimento della causa palestinese.

Anche il vicepremier israeliano, Haim Ramon, ha affermato che Israele ha tutto l'interesse di muoversi velocemente per trovare un "Accordo di Principi" che porti ad un accordo finale per la creazione di uno Stato palestinese. "Credo che ora abbiamo un vero partner con cui dialogare", ha detto Ramon in una intervista a Radio Israele. "Non so per quanto durerà questa situazione, quindi dobbiamo muoverci velocemente". Ha poi aggiunto che personalmente appoggia l'idea del ritiro da gran parte della Cisgiordania, eccetto i grandi insediamenti colonici, ed ha suggerito che potrebbero essere necessarie le forze della NATO per rimpiazzare temporaneamente le truppe israeliane dopo l'evacuazione. "Ai miei occhi, l'occupazione dei Territori palestinesi minaccia la nostra stessa esistenza, la nostra legittimità e la nostra credibilità a livello internazionale", ha concluso così Ramon la sua intervista. Ramon è uno dei principali alleati del primo ministro israeliano Ehud Olmert e le sue dichiarazioni hanno un certo peso politico.

Un indicatore forse ancora più importante del vento che tira in questi giorni, è, l'annuncio da parte dei servizi di sicurezza israeliani della cooperazione da parte dell'Autorità Nazionale Palestinese per sventare alcuni attacchi terroristici che avrebbero dovuto essere compiuti nelle principali città di Israele. Anche se le forze di sicurezza israeliane hanno precisato che non si basano esclusivamente sulle fonti palestinesi per la propria intelligence ed hanno allo stesso tempo riconosciuto la limitata natura delle informazioni ricevute, si tratta comunque del primo significativo scambio di informazioni di questo tipo negli ultimi sei anni. Una delle principali accuse che veniva formulata all'Autorità Nazionale Palestinese, quando era presidente Yasser Arafat, era proprio la mancanza di una seria collaborazione con gli israeliani su questa materia, che ha causato, con l'andare del tempo, una sempre minore fiducia tra le parti, poi andata del tutto scomparendo con lo scoppio della cosiddetta Seconda Intifada.

Un eventuale "Accordo di Principi", o come lo si voglia chiamare, per la ripresa dei negoziati e l'instaurazione dello Stato palestinese, rappresenterebbe quella boccata d'ossigeno di cui hanno estremamente bisogno tutte le parti in causa. Stando agli ultimi sondaggi d'opinione disponibili, il partito Kadima del primo ministro Olmert ed il partito laburista suo alleato, rischierebbero una sconfitta clamorosa se le elezioni si tenessero oggi, soprattutto a causa della disastrosa gestione della guerra in Libano la scorsa estate. Il rischio, paventato da tutti gli osservatori, è la possibile vittoria elettorale del Likud di Benjamin Nethanyahu che ha fatto del no all'accordo con i palestinesi la propria bandiera politica. Gli stessi sondaggi però affermano che la stragrande maggioranza degli israeliani è favorevole alla soluzione dei due Stati palestinesi ed alla ripresa dei colloqui di pace. Un eventuale "Accordo di Principi" con i palestinesi, potrebbe cambiare nuovamente la situazione politica in Israele e ridare al blocco moderato favorevole ai colloqui di pace nuove prospettive di vittoria elettorale. Inoltre c'è da dire che con i numeri attuali nella Knesset non vi sarebbe alcun problema per l'approvazione di un accordo di pace con i palestinesi.

Anche l'Autorità Nazionale Palestinese di Abu Mazen ha bisogno fortemente di un Accordo del genere per rafforzarsi dopo la sconfitta militare a Gaza, ora controllata completamente da Hamas. Fonti vicine alla presidenza dell'Autorità Nazionale Palestinese rendono noto che Abu Mazen sarebbe pronto a sciogliere, da un momento all'altro, il Parlamento palestinese a maggioranza Hamas e ad indire quindi nuove elezioni, che sarebbero quasi sicuramente boicottate dal movimento fondamentalista islamico. Fonti vicine al primo ministro, Fayad, hanno già fatto sapere di essere pronte a creare un nuovo movimento politico riformista che non abbia alcun legame con Hamas e Fatah, per presentarsi alle prossime elezioni politiche. Ma la vera incognita sono le elezioni presidenziali previste fra 18 mesi: Abu Mazen ha già fatto sapere di non avere intenzione di ripresentarsi alla scadenza del suo mandato e l'incognita ora è una sola: la possibilità che alle elezioni si presenti Marwan Barghouti, il popolarissimo leader dei Tanzim di Fatah, al momento in galera in Israele dopo una condanna a 4 ergastoli per attività terroriste. Barghouti é da molti considerato come il possibile Mandela palestinese ed anche l'unico che potrebbe realmente sfidare Hamas nella sua stessa roccaforte di Gaza, una volta liberato dagli israeliani. Qualsiasi cosa possa succedere, è evidente comunque che il raggiungimento di un "Accordo di Principi", o come lo si voglia chiamare, sarebbe fondamentale per il successo della strategia politica di Fatah contro Hamas.

Tony Blair, da poco nominato rappresentante del Quartetto per il Medio Oriente, ha affermato nei giorni scorsi di vedere "buone prospettive" per un accordo di pace nel prossimo futuro. Ciò che è sicuro è che, questa volta, anche più delle altre, il tempo è veramente ristretto. Bisogna perciò agire in fretta per evitare di perdere anche questa ulteriore prospettiva di pace che si è aperta. L'alternativa, terrificante per chiunque creda alla possibilità di ottenere la pace in Medio Oriente, è quella di un Israele nelle mani del Likud di Netanyahu e di Hamas con le mani libere in ciò che resterebbe dell'Autorità Nazionale Palestinese. Uno scenario da incubo per la comunità internazionale, persino per i Paesi arabi confinanti, che si sono mostrati, a questo proposito, molto attivi diplomaticamente negli ultimi mesi.
Proprio per questo, almeno stavolta si può essere moderatamente ottimisti e sperare per il meglio. Non si tratterà certo di negoziati facili, ma se c'è davvero la volontà politica - e per ora pare che vi sia – si potrebbero almeno evitare ulteriori spargimenti di sangue nella terra di Palestina. E chissà che persino Tony Blair non possa riscattare i suoi ultimi anni a Downing Street, ed in particolare il suo appoggio acritico alla guerra in Iraq, diventando il padrino al battesimo del nuovo Stato palestinese.

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