di Eugenio Roscini Vitali

E’ dalla pagoda Shwegu di Pakokku che il 31 ottobre scorso è ripartita la protesta dei monaci Buddisti contro il regime del generale Than Shwe, Capo del Consiglio di Stato per la pace e lo sviluppo (Spdc) dal 23 aprile 1992 e Comandante delle Forze Armate - Tatmadaw Kyi - che da 15 anni governano l’Unione di Myanmar nella paura e nella repressione e che soffoca con la violenza qualsiasi forma di opposizione. Pochi giorni prima, a New York, l’Organizzazione non governativa Human Rights Watch (Hrw) ha pubblicato una relazione sull’attuale stato dei diritti umani nell’ex Birmania. Nella relazione è contenuto un allarme inquietante: per far fronte alla crescente fenomeno della diserzione e alla mancanza di volontari, le Forze Armate rapirebbero, comprerebbero o costringerebbero gli adolescenti ad arruolarsi tra le fila dell’esercito. Si tratterebbe di un sequestro per migliaia di bambini strappati dalle proprie famiglie per diventare parte attiva di un regime tirannico che ormai va avanti dal 1962, anno in cui fu destituito il governo democratico di Thakin Nu da un colpo di stato militare condotto dal Generale Ne Win. Un incubo che ricorda il dramma dei bambini soldato in Cambogia, in Uganda, in Congo, nella Sierra Leone, in Liberia, in Rwanda e in molti altri stati, una tragedia che probabilmente non ha né confini spaziali né temporali e che si ripete ogni giorno davanti agli occhi del mondo intero. Nell’ex Birmania, i maltrattamenti subiti ad opera degli ufficiali e dei superiori, i bassi salari, e le estenuanti condizioni di lavoro non invogliano certo i ragazzi al servizio militare volontario. La rinuncia sta assumendo proporzioni rilevanti e sta mettendo in forte crisi le Forze Armate, soprattutto dopo le manifestazioni dei mesi scorsi durante le quali i soldati hanno ricevuto l’ordine di sparare contro i dimostranti e i sostenitori dei monaci Buddisti, strenui oppositori di una dittatura che in 45 anni ha portato il Paese alla povertà estrema.

Secondo la relazione pubblicata da Human Rights Watch, alcuni civili si aggirerebbero nelle stazioni ferroviarie, alla fermata degli autobus, nei mercati rionali a caccia di nuove reclute. In cambio di denaro, i mediatori comprerebbero i ragazzi per poi rivenderli all’esercito, sottraendoli alle famiglie con false promesse di un futuro dignitoso; altri invece sparirebbero all’insaputa dei parenti per essere inviati nelle regioni più remote a combattere contro i gruppi dell’insurrezione. L’esercito pagherebbe i “reclutatori” in contanti o con olio, farina, frumento, tutti prodotti che possono essere rivenditi al mercato nero. Il contratto con anche nel caso in cui le nuove reclute non soddisfacessero i requisiti fisici previsti o avessero un’età inferiore a quella richiesta.

Nel rapporto, che arriva in concomitanza con una crisi che ha portato all’attenzione della comunità internazionale un Paese costretto a decenni di isolamento, vengono illustrati gli abusi di potere ai quali è sottoposta la popolazione civile e le violenze che si sono consumante durante la recente rivolta di settembre. Human Rights Watch sottolinea che in Myanmar la vergognosa pratica del commercio dei piccoli soldati coinvolgerebbe migliaia di bambini di età tra i 10 e i 17 anni e, anche se la legge prevede che l’idoneità al servizio militare viene raggiunta a 18 anni, verrebbero comunque reclutati adolescenti di ogni età. Nei casi più ignobili i “reclutatori” falsificherebbero i documenti attestanti l’età o corromperebbero gli ufficiali sanitari per certificare l’idoneità di undicenni alti 1,30 metri con un peso che non supera i 30 chilogrammi. La relazione cita casi in cui i minori, una volta giunti nelle caserme di destinazione, vengono maltrattati, incarcerati e obbligati a partecipare ad abusi su altri adolescenti.

Costretti dai loro superiori a commettere ogni sorta di atrocità contro i civili, a violentare le donne, a bruciare di villaggi, non appena giunti al fronte i bambini sono spesso impiegati nel combattimento a fuoco. Soli e impauriti si nascondono nella foresta sparando in aria, ma dopo le prime atroci esperienze anche questo drammatico scenario rientra nel quotidiano e così anche loro entrano in un vortice senza ritorno. Il rappresentante di Human Rights Watch per i diritti dell’infanzia, Jo Becker, precisa che anche la maggior parte dei 30 gruppi ribelli attivi in Myanmar impiegherebbero tra le loro fila decine di minorenni; ragazzi provenienti dai villaggi del nord, spinti ad entrare nella resistenza dalle loro stesse famiglie che non sono più neanche in grado di sfamarli o che preferiscono tenere a casa i figli più grandi, utili alla difficile coltivazione dei terreni e al raccolto. Alcuni movimenti, quali il Karen National Liberation Army e il Karenni Army, avrebbero iniziato a ridurre il numero degli adolescenti; altri, come il Democratic Karen Buddhist Army e il United Wa State Army, continuano a non tenere in considerazione l’età dei combattenti. Non appena “arruolati”, molti ragazzi hanno tentato la fuga ma, riacciuffati dai loro stessi aguzzini, sono stati duramente puniti e, per porre definitivamente fine a qualsiasi altro tentativo, minacciati di morte.

Becker è comunque convinto che nonostante i quattro rapporti delle Nazioni Unite nei quali vengono denunciati i soprusi perpetrati dal regime militare di Than Shwe e malgrado i ripetuti appelli lanciati dalla comunità internazionale, in Myanmar la causa principale nello sfruttamento dei bambini è dovuta all’efferata azione dell’esercito che non riconosce alcuna titolarità al diritto all’infanzia. Se l’orco avido di potere che divora i sogni, i sorrisi e le gioie dei piccoli esiste veramente, in Myanmar si chiama Tatmadaw Kyi.

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