di Michele Paris

A sette mesi dall’inizio della stagione delle primarie, alcuni dei principali candidati alla presidenza degli Stati Uniti per il Partito Repubblicano si sono affrontati un paio di giorni fa in diretta televisiva da un campus universitario del New Hampshire. Alla luce del basso profilo di quasi tutti i sette repubblicani aspiranti alla Casa Bianca, il dibattito ha permesso a molti di loro di presentarsi al grande pubblico americano, lasciando gli attacchi personali alle fasi successive di una competizione che si preannuncia molto accesa per conquistare il diritto di sfidare Barack Obama nel 2012.

Mentre il primo “faccia a faccia” in casa repubblicana, andato in scena già nel mese di maggio in South Carolina, era stato disertato da molti candidati, in questa occasione erano presenti quasi tutti i più accreditati concorrenti per la nomination. La discussione di due ore è stata ospitata dal Saint Anselm College di Goffstown, in New Hampshire, lo stato che figura al secondo posto nel calendario delle primarie repubblicane, dopo i tradizionali caucus dell’Iowa.

La corsa alla nomination per la Casa Bianca nel Partito Repubblicano sta facendo segnare un certo ritardo rispetto agli anni precedenti e il campo di partecipanti, oltre a non far intravedere ancora un chiaro “front-runner”, è affollato da personalità politiche di secondo piano che faticano a suscitare l’interesse degli elettori. Per molti osservatori, la carenza di personaggi di peso con una riconoscibilità immediata a livello nazionale andrebbe in parte imputata all’influenza sul partito dei Tea Party con la loro presunta critica anti-establishment. Molti repubblicani di vertice apparirebbero cioè troppo legati allo status quo di Washington, contro cui la retorica populista dei Tea Party si scaglia, privandoli del loro determinante sostegno.

Ancora incerta se partecipare o meno alla gara è poi la candidata potenzialmente più controversa e in grado di catturare l’attenzione dei media nazionali, l’ex governatrice dell’Alaska Sarah Palin, beniamina proprio del movimento Tea Party. Quest’ultima, assieme ad altri due possibili contendenti tuttora in dubbio - l’ex governatore dello Utah e fino a poche settimane fa ambasciatore americano in Cina, John Huntsman, e il governatore del Texas, Rick Perry - erano gli assenti più autorevoli al dibattito di lunedì sera in New Hampshire.

I riflettori della serata dedicata ai candidati del Partito Repubblicano erano puntati in particolare su Mitt Romney, il miliardario mormone ex governatore del Massachusetts, già sconfitto nelle primarie del 2008 nonostante le enormi somme di denaro sborsate di tasca propria per finanziare la sua campagna.

Romney ha ottenuto finora il gradimento maggiore nei sondaggi preliminari tra gli elettori del suo partito, se non altro perché più conosciuto rispetto agli altri candidati. Come già nelle precedenti elezioni, tuttavia, sono già emersi tutti i limiti di un candidato tutt’altro che entusiasmante e che continua a far notizia per una serie di clamorosi voltafaccia.

Innanzitutto, Romney è esposto ai continui attacchi dei repubblicani conservatori per aver messo la propria firma su una riforma sanitaria che ha ispirato quella fatta approvare da Obama l’anno scorso quando era governatore del Massachusetts. Fin dall’annuncio della sua seconda corsa alla casa Bianca, Romney ha così rinnegato la legge da lui promossa, definendo quella uscita dal Congresso democratico una prevaricazione del governo federale e promettendo di revocarla una volta eletto. Uguale inversione di centottanta gradi, ad esempio, Romney ha fatto poi registrare anche sul fronte aborto, per il quale era in passato a favore.

Mostrarsi all’altezza della situazione in New Hampshire per Romney risultava fondamentale, dal momento che le primarie in questo stato decretarono la fine prematura delle sue speranze di nomination nel 2008. Romney in quell’occasione perse da John McCain dopo che già in precedenza aveva dovuto cedere il passo all’ultraconservatore Mike Huckabee nei caucus dell’Iowa. Per rilanciare la sua immagine, Romney ha così puntato sulla sua esperienza da manager di successo nel settore privato, in grado di creare posti di lavoro per un’economia americana in affanno.

L’alternativa all’opaco Mitt Romney sembra essere un altro ex governatore, Tim Pawlenty del Minnesota. Ancora poco conosciuto alla stragrande maggioranza degli americani, Pawlenty sta da qualche tempo portando la sua organizzazione negli stati che voteranno per primi nelle primarie del 2012. Durante il dibattito dell’altro giorno ha sottolineato nuovamente le sue origini operaie, anche se come gli altri candidati sta facendo di tutto per compiacere la base conservatrice del partito e i grandi finanziatori. In questo senso va intesa la sua recente proposta di tagliare in maniera devastante la spesa pubblica - assieme alla riduzione delle tasse per i redditi più alti - in caso di elezione.

Tra i più noti dei sette repubblicani presenti in New Hampshire è invece Newt Gingrich, speaker della Camera dei Rappresentanti dal 1995 al 1999 e protagonista della “Rivoluzione repubblicana” che portò alla conquista del Congresso da parte del suo partito nel 1994. La sua candidatura appare però moribonda già a poche settimane dall’avvio ufficiale della corsa alla nomination.

Qualche giorno fa, infatti, Gingrich ha dovuto incassare le dimissioni di massa dei vertici del suo staff, scontenti per la sua scarsa dedizione alla causa. Gingrich e signora avrebbero tra l’altro recentemente abbandonato le operazioni sul campo per una vacanza nelle isole greche di due settimane. I membri del suo entourage hanno accusato l’ex leader repubblicano di aver lanciato la campagna per la Casa Bianca solo come mezzo pubblicitario per le sue fatiche editoriali.

La sorte di Gingrich era probabilmente d’altra parte già segnata fin dal 15 maggio, quando una incauta dichiarazione al programma “Meet the Press” della NBC aveva suscitato un polverone tra i repubblicani. Durante l’intervista, il candidato repubblicano aveva criticato sia la riforma sanitaria di Obama sia, soprattutto, il progetto avanzato dal deputato Paul Ryan (presidente della Commissione Bilancio della Camera) per smantellare di fatto Medicare, il programma assistenziale pubblico per gli over 65.

Le reazioni seguite a questa presa di posizione di Gingrich - peraltro subito ritrattata - dimostrano a sufficienza lo spostamento a destra del baricentro politico negli Stati Uniti. Negli anni Novanta Newt Gingrich era considerato uno dei politici più a destra al Congresso americano, come testimoniava la sua campagna proprio contro il programma Medicare, mentre oggi appare come una delle voci più moderate all’interno del Partito Repubblicano.

In questo scenario, gli assalti non solo a Medicare, ma anche all’altro popolare programma federale Medicaid (riservato ai redditi più bassi) e al sistema pensionistico, non solo non sono più da evitare per il bene di un candidato, ma appaiono anzi elementi essenziali nella corsa a chi si posiziona più a destra per conquistare una certa credibilità tra l’elettorato conservatore e qualche elogio sui giornali più importanti.

Questa evoluzione è testimoniata anche dal leit-motiv del recente dibattito repubblicano, animato da un coro comune di critiche al presidente Obama. Nonostante quest’ultimo nei primi due anni e mezzo del suo mandato abbia perseguito pressoché esclusivamente politiche favorevoli ai grandi interessi economici e finanziari americani, nella retorica degli attacchi repubblicani viene continuamente dipinto come pseudo-socialista, anti-business e incapace di iniziative che stimolino il settore privato per generare posti di lavoro.

Di queste posizioni di estrema destra è portatrice soprattutto l’unica presenza femminile tra i sette candidati repubblicani, la deputata del Minnesota Michele Bachmann, anch’essa molto vicina ai Tea Party. Grazie anche all’assenza di Sarah Palin, la Bachmann ha mostrato forse la maggiore aggressività durante il dibattito, durante il quale ha ribadito la sua ferma opposizione all’intervento americano in Libia, così come alle riforme di Obama della sanità e del sistema finanziario.

A completare il desolante schieramento dei candidati alla Casa Bianca che hanno animato il secondo confronto pubblico tra i repubblicani sono stati infine l’ex senatore della Pennsylvania Rick Santorum, tra i più accesi conservatori sui temi sociali e gravitante attorno ai Tea Party; il deputato del Texas Ron Paul, attestato su posizioni libertarie e già in corsa alle presidenziali del 2008; e l’uomo d’affari di colore Herman Cain, ex CEO della catena di ristoranti “Godfather’s Pizza” che sta riscuotendo qualche consenso facendo leva più che altro sull’odio razziale nei confronti dei musulmani d’America.

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