di Mario Lombardo

Quando lo scorso mese di maggio il Senato brasiliano ratificò il colpo di stato “costituzionale” contro la presidente Dilma Rousseff, in molti nel paese sudamericano e non solo ritennero che il coinvolgimento in un caso di corruzione di colui che l’ha sostituita fosse soltanto una questione di tempo. Puntualmente, poche settimane dopo, il nome del presidente ad interim, Michel Temer, è infatti emerso per la prima volta negli atti relativi a una maxi-indagine che sta scuotendo l’intero mondo politico del Brasile.

Temer è stato accusato apertamente da Sergio Machado, ex senatore ed ex dirigente di una compagnia di trasporti facente parte del colosso petrolifero a maggioranza pubblica Petrobras, secondo il quale il presidente avrebbe sollecitato donazioni a un’azienda di costruzioni da destinare al suo Partito del Movimento Democratico Brasiliano (PMDB). In cambio di finanziamenti pari a svariate centinaia di migliaia di dollari, Temer avrebbe favorito la stessa compagnia nell’ottenimento di appalti pubblici.

Le accuse sono contenute in una testimonianza di Machado resa pubblica questa settimana dalla Corte Suprema brasiliana. Machado è anch’esso al centro di indagini nell’ambito dell’operazione denominata “Autolavaggio” (“Lava Jato”), ma ha sottoscritto un accordo con le autorità giudiziarie che prevede la sua collaborazione nel fare emergere i nomi di politici e imprenditori coinvolti nello scandalo.

Temer, da parte sua, ha respinto ogni accusa, assicurando che le donazioni rispettavano i termini previsti dalle norme brasiliane sul finanziamento ai partiti. Se le richieste di Temer e le stesse donazioni erano in effetti avvenute nel rispetto formale della legge, il suo accusatore sostiene che esse rientravano in un quadro di corruzione volto a manipolare l’assegnazione di contratti per la realizzazione di opere pubbliche.

Il recente coinvolgimento di Temer nella vicenda giudiziaria più nota del Brasile è solo l’ultimo guaio del suo governo, già nato privo di qualsiasi legittimità politica. Alla fine di maggio, due ministri appena nominati erano stati ad esempio costretti a dimettersi dai rispettivi incarichi. Il ministro per la Trasparenza, Fabiano Silveira, ufficialmente incaricato di combattere la corruzione, e quello per la Pianificazione, Romero Jucá, erano stati protagonisti di intercettazioni diffuse dalla stampa nelle quali entrambi discutevano possibili modalità per ostacolare l’indagine “Autolavaggio”.

Un paio di settimane fa, un tribunale di San Paolo aveva poi giudicato il presidente ad interim colpevole di violazione delle norme sui finanziamenti elettorali. Temer si è così ritrovato nella posizione paradossale di occupare la carica di presidente senza essere stato eletto e con una condanna che gli vieta di candidarsi a cariche elettive per otto anni.

Nel gabinetto di Temer ci sono almeno altri sette membri coinvolti nelle indagini per corruzione che ruotano attorno a Petrobras. A questo dato va aggiunto il fatto che circa il 60% dei membri del Parlamento brasiliano risulta incriminato o sotto indagine della magistratura. Ciò dimostra a sufficienza la natura delle manovre che hanno portato all’impeachment di Dilma Rousseff e il rilievo morale dei protagonisti dell’operazione.

Dilma, oltretutto, non è stata per il momento toccata dallo scandalo, pur avendo guidato per anni la compagnia petrolifera brasiliana. La sua estromissione è dovuta alle accuse di avere manipolato alcune voci del bilancio federale per dare un’immagine migliore della situazione finanziaria del paese, cioè una pratica comune a praticamente tutti i precedenti governi brasiliani e a quelli di molti altri paesi.

In sostanza, i politici con a capo Temer che hanno rimosso Dilma dall’incarico di presidente avrebbero agito per favorire la trasparenza nella gestione degli affari pubblici, salvo poi ritrovarsi in buona parte invischiati in procedimenti giudiziari per corruzione e altri crimini.

A poco più di un mese dall’insediamento, il governo Temer ha un livello di gradimento infimo e, per alcuni osservatori, il moltiplicarsi dei guai giudiziari che riguardano i suoi membri e lo stesso presidente potrebbe addirittura erodere il sostegno al Senato per la procedura di impeachment in atto.

Dilma Rousseff è stata sospesa per un massimo di 180 giorni dal suo incarico dopo il voto del Senato brasiliano, il quale nei prossimi mesi sarà chiamato a decidere se rendere definitiva la rimozione della presidente. In questo caso, Temer sarebbe confermato alla guida del paese fino al 2018.

La situazione politica in Brasile è però estremamente fluida. Il discredito della cerchia di politici golpisti che ha assunto il potere ai danni del governo del Partito dei Lavoratori (PT) rende infatti difficile la messa in atto dei compiti che i poteri forti, domestici e internazionali, a cominciare da Wall Street e dal governo di Washington, si aspettano, ovvero lo smantellamento dei programmi sociali dei precedenti governi e l’implementazione di misure di austerity per far fronte alla drammatica crisi economica in atto.

Allo stesso tempo, parte della classe dirigente brasiliana continua a manovrare per escludere permanentemente dal potere il PT, ben sapendo che esso conserva una consistente base di supporto tra le classi più povere nonostante il peggioramento delle condizioni di vita negli ultimi anni e la cattiva gestione dell’economia della presidente Rousseff.

L’ennesima prova di ciò si è avuta proprio questa settimana con la notizia della riapertura di un’indagine per corruzione contro l’ex presidente Lula. Quest’ultimo era stato accusato di avere ricevuto in regalo un appartamento di lusso nel quadro degli schemi corruttivi collegati sempre alla compagnia Petrobras.

Dopo l’apertura dell’inchiesta mesi fa, Lula era stato nominato capo di gabinetto da Dilma Rousseff, così che, secondo la legge brasiliana sull’immunità garantita ai membri del governo, il procedimento era stato automaticamente sospeso e trasferito alla Corte Suprema.

Lunedì scorso, il più alto tribunale brasiliano ha alla fine deciso che l’indagine su Lula può tornare di competenza del giudice federale Sergio Moro, titolare dell’inchiesta “Autolavaggio”, e seguire il suo normale corso. Un’eventuale condanna costerebbe caro a Lula e probabilmente anche al Brasile, visto che, come accaduto recentemente a Temer, lo escluderebbe dalla corsa alla presidenza per otto anni, spianando la strada alla destra per il ritorno definitivo al potere.

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