La strategia delle sanzioni a tappeto per arrestare il declino politico, tecnologico, militare ed economico degli Stati Uniti continua a dare segni di cedimento, in particolare per quanto riguarda la competizione con la Cina. Questa settimana, il governo di Pechino ha infatti adottato un provvedimento straordinario che impone una serie di restrizioni all’esportazione di alcuni elementi critici per la produzione di beni tecnologici avanzati, presentando così a Washington il conto, per il momento solo parziale, della propria condotta ultra-aggressiva.

 

A partire dal primo agosto, i produttori cinesi dovranno ottenere una specifica autorizzazione dal ministero del Commercio della Repubblica Popolare per vendere all’estero 38 prodotti, tra cui i metalli gallio (Ga) e germanio (Ge). La motivazione ufficiale cita la necessità di salvaguardare gli “interessi e la sicurezza nazionale” della Cina. La delicatezza e l’importanza del provvedimento sono evidenti. I due metalli vengono utilizzati nell’industria dei chip e in altri settori d’avanguardia, incluso quello militare.

La Cina è di gran lunga il primo fornitore mondiale sia di gallio (94%) sia di germanio (83%). Negli ultimi anni, il 53% delle importazioni americane del primo e il 59% del secondo provenivano dalla Cina. Solo dopo l’inizio della guerra commerciale inaugurata dall’amministrazione Trump, gli Stati Uniti hanno iniziato a diversificare le proprie fonti di approvvigionamento. Il ricorso a fornitori alternativi o all’estrazione domestica risulta però complicato, per via dei tempi e dei costi che comporta la creazione virtualmente dal nulla di una catena estrattiva e di lavorazione di questi materiali.

Come minimo, la decisione di Pechino comporterà, una volta esaurite le scorte americane di questi prodotti, un sensibile aumento dei costi. L’obiettivo primario non è tuttavia questo e la stampa cinese è stata tutt’altro che reticente in proposito. Un articolo del sito Asia Times ha spiegato che lo scopo delle restrizioni all’esportazione di gallio e germanio è di “rallentare il ritmo di sviluppo dell’industria dei chip americana e giapponese”, così da “creare tempo e spazio affinché i produttori cinesi possano raggiungere lo stesso livello [di tecnologia]” in quella che è ormai una “competizione cruciale” per la realizzazione di chip di dimensione sempre più ridotta.

Nell’ambito della sfida sui semiconduttori, la Casa Bianca aveva accelerato il passo lo scorso autunno annunciando limitazioni alla vendita a compagnie cinesi di questi prodotti – e di macchinari per la produzione di chip – se contenenti “tecnologia americana”. Le restrizioni dovevano essere applicate a compagnie situate in qualsiasi parte del pianeta. Le pressioni americane su governi e produttori erano state da subito molto pesanti e, nonostante qualche resistenza per ragioni di convenienza economica, recentemente si sono registrati alcuni significativi allineamenti ai diktat di Washington.

Il 30 giugno, il governo olandese ha ad esempio introdotto l’obbligo di richiesta di licenza di esportazione per il maggiore produttore mondiale di equipaggiamenti per la realizzazione di chip, la compagnia ASML. Quest’ultima costruisce apparecchiature in grado di produrre i chip più piccoli attualmente in circolazione e ricava dal mercato cinese una buona parte dei propri profitti. In precedenza, anche il Giappone aveva messo dei limiti all’export di una ventina di sistemi destinati alla produzione di chip.

Il provvedimento appena adottato dalla Cina minaccia ora le attività di questo settore, con implicazioni preoccupanti per gli Stati Uniti e i loro alleati. Il gallio è una materia prima utilizzata, tra l’altro, nelle reti e nei veicoli elettrici, nelle infrastrutture per le telecomunicazioni, nei missili e, soprattutto, nei sistemi radar. Viene spesso associato ad altri elementi per migliorare la velocità di trasmissione e l’efficienza di dispositivi come gli schermi dei telefoni cellulari e i pannelli solari. Il germanio trova impiego in particolare nella fibra ottica e nelle celle fotovoltaiche usate per alimentare molti satelliti.

Le carte a disposizione di Pechino per mettere in atto ritorsioni contro gli Stati Uniti sono comunque molteplici. Queste restrizioni sono solo un antipasto di quanto potrebbe fare la Cina per rispondere alle sanzioni occidentali. Commentatori cinesi già parlano ad esempio del possibile allargamento a breve delle restrizioni all’export di un altro metallo, l’indio (In), anch’esso impiegato nella produzione dei chip. Complessivamente, secondo gli stessi dati del governo americano, tra il 2017 e il 2020 gli Stati Uniti hanno acquistato dalla Cina il 78% delle proprie importazioni di “terre rare”.

È difficile credere che gli ultimi governi americani non abbiano preso in considerazione i possibili provvedimenti che Pechino avrebbe potuto adottare in risposta alle sanzioni decise nel quadro della competizione commerciale-tecnologica con la Repubblica Popolare. Nel 2019, le autorità cinesi avvertirono l’amministrazione Trump che alle sanzioni allora imposte a Huawei avrebbero potuto fare seguito restrizioni alla vendita di “terre rare”. Trump non avrebbe comunque fatto passi indietro, mentre Biden ha in seguito aumentato le pressioni con l’implementazione del “CHIPS Act” nell’agosto 2022 e in seguito con i già ricordati limiti alle forniture di chip alla Cina.

L’analista di geopolitica Thomas W. Pauken, in un’intervista alla rete russa Sputnik, ha ricordato nei giorni scorsi come mesi fa erano già stati previsti gli effetti controproducenti della strategia cinese di Washington. “Se gli USA dovessero procedere con il ‘decoupling’”, ovvero la separazione della loro economia da quella della Cina, “farebbero soltanto un danno a loro stessi, dal momento che la gran parte della catena di approvvigionamento dell’alta tecnologia ha origine in Cina”.

Molti commentatori hanno infine evidenziato come la Cina sia in grado di sopperire alle carenze di prodotti tecnologici impossibili o più difficili da importare a causa delle sanzioni americane. Gli investimenti cinesi nella ricerca e sviluppo nel campo dei semiconduttori sono infatti aumentati in maniera consistente e già oggi la produzione di chip sta tenendo il passo della domanda interna. Anche se resta il gap tecnologico per quanto riguarda le versioni più avanzate, tutto fa pensare che la Repubblica Popolare abbia strumenti e risorse necessarie per agganciare in un futuro non molto lontano i paesi rivali.

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