di redazione

Nella giornata spezzatino, dove le partite importantissime che riguardano Juventus, Lazio e Fiorentina si giocano il lunedì, l’unica vincente appare Sky, che con i soldi dei diritti televisivi si è di fatto sostituita alla Lega calcio nella programmazione degli eventi sportivi, la cui collocazione si deve ormai unicamente all’ascolto potenziale e all’inserzionista pubblicitario.

Nelle gare già disputate, quella più importante è stata certamente il derby di Milano. Che è finito in parità per merito (o colpa) di Stramaccioni, che ha regalato ad Allegri l’intero primo tempo, mandando in campo una squadra talmente sconclusionata dal porre seriamente la domanda: per l’allenatore romano è questione d’esperienza o di dipendenza?  Crede davvero alle scelte che fa o non può fare diversamente per ragioni interne? Decidere di giocare 72 ore dopo la trasferta in Romania con Zanetti, Cambiasso, Cassano e Alvarez, significa accontentare il blocco storico dello spogliatoio (la famosa esperienza) ma opporre la staticità assoluta al movimento, cosa buona per gli scacchi e pessima per il calcio. L’aveva già sperimentata a Firenze ma, non pago dell’errore, ha deciso di intestardirsi.

Si è quindi visto il miglior giocatore dell’Inter (Guarin) sulla fascia, cioè dove proprio non sa giocare e Cambiasso al centro del campo dove non riesce ad arrivare ormai su nessun pallone. Spostare Guarin sulla fascia ha comportato tre conseguenze: offrire serenità all’impostazione del gioco per vie centrali dei rossoneri, spingerli ad utilizzare la loro fascia sinistra come fosse Disneyland e mettere Zanetti in balìa delle sovrapposizioni milaniste. Quando Abate e De Sciglio sembrano Maicon e Bale, qualcosa non funziona; quando per capirlo a Stramaccioni necessitano 45 minuti di gioco, significa che quello che non funziona è lui.

Prova ne sia che non appena sono stati inseriti i cambi e, con essi, modificato l’assetto tattico, la partita è cambiata e, fosse durata ancora dieci minuti, viste le condizioni boccheggianti del Milan, probabilmente l’Inter se la sarebbe aggiudicata, pur non meritandolo. Non è questione di stanchezza del Milan, che a differenza dell’Inter ha una squadra più giovane, non ha fatto pesanti trasferte in settimana e che ha riposato un giorno in più. E’ questione di sistemazione in campo ed energie dinamiche. Se al Milan, che incassa gol a ripetizione su palle da fermo e su contropiede ti limiti ad aspettarlo davanti alla difesa, bene che ti va è che non perdi.

L’unico giocatore che poteva cambiare passo all’Inter era Kovacic, chi poteva costruire regia difensiva era Kuzmanovic, l’unico che poteva mettere geometrie e polmoni era Benassi, ma tutti e tre erano in panchina per fare spazio alla carica dei trentacinquenni. Cambiasso può giocare una partita a settimana, non tre, e solo da trequartista (suo antico ruolo nel Real Madrid); perché non ha la corsa per coprire trenta metri di campo, mentre ha la tecnica e i tempi d’inserimento in area che ancora ne fanno un ottimo giocatore. Esporlo all’umiliazione di avversari che gli sfrecciano intorno e che lo saltano come un birillo non è giusto né per il campione che è stato, né per la squadra che paga il prezzo dell’incapacità di corsa sua e di Cassano.

Allegri non può lamentarsi troppo del suo Milan che non ha saputo capitalizzare con un bottino di gol quanto prodotto nei primi 45: un Handanovic a livelli stratosferici è l’unica spiegazione. Gli strafalcioni dell’allenatore nerazzurro lo hanno certo agevolato nel ridisegnare la squadra in cinque minuti, scegliendo di proporre la fascia sinistra per attaccare l’Inter. Cross dalle fasce e penetrazioni per vie centrali non hanno avuto lo stesso esito perché centralmente Gargano, Ranocchia e Juan Jesus sono clienti difficili, mentre sulle due fasce, i mai protetti Zanetti e Nagatomo erano come il burro.

Il Milan ha dato tutto quello che aveva da dare, compreso un miracolo di Abbiati su Guarin, e se nei primi 45 minuti non ha chiuso il match è anche perché Balotelli, come è sempre stato, scompare dal campo quando più c’è bisogno. Certo, la partita contro la squadra che l’ha lanciato e alla quale ha risposto con maleducazione sportiva (beccandosi poi qualche sonoro ceffone) non era la più semplice dal punto di vista psicologico ed è anche vero che Juan Jesus non soffre certo il fisico, ma resta il fatto che si è mangiato due occasioni straordinarie e non è riuscito a evitare i gestacci contro la curva interista che lo fischiava. Insomma, doveva essere l’uomo derby ma è scomparso presto dalla gara. Domanda: perché le squadre con le quali gioca Balotelli brindano quando arriva e brindano due volte quando se ne va?

La Roma espugna Bergamo grazie a una buona dose di fortuna sul gol decisivo, ma meritando comunque i tre punti, ottenuti grazie al rientro nella “normalità” che il suo nuovo allenatore ha imposto. Giocatori schierati nei loro ruoli, maggiore copertura tattica del campo e migliore attenzione nella manovra sono i tre aspetti che Andreazzoli ha saputo affrontare, mentre ancora non riesce a migliorare una fase difensiva che è costata ai giallorossi diversi punti in classifica. La Roma, infatti, che per organico non è inferiore ad altre squadre meglio piazzate nella zona alta, è vittima proprio delle incertezze del reparto arretrato. Se Andreazzoli saprà porre rimedio anche a questo aspetto, il finale di campionato potrebbe proporre una squadra molto più protagonista nella corsa alle posizioni dove si guadagna l’Europa.

La realtà del Catania ormai supera le migliori aspettative. La vittoria di ieri sul campo del Parma e soprattutto la sua posizione in classifica (42 punti) sono il frutto di una squadra dove la ricostruzione voluta da Pulvirenti è stata un esempio di programmazione che in molti dovrebbero seguire. Simeone cominciò il lavoro, Montella lo proseguì e Maran sta completando e ottimizzando.

Ben altra situazione si vive a Palermo, dove il pareggio casalingo contro il Genoa ha comportato l’esonero di Malesani e il ritorno di Gasperini, che proprio da Malesani era stato sostituito. Dal momento che il denaro è l’unico dio dei laici, Gasperini tornerà, rimandando la dignità personale al contratto che comunque lo vincola. Ci piacerebbe sentire il tecnico piemontese dire che preferisce rescindere che tornare dopo esser stato umiliato, ma sarebbe, appunto, pretendere troppo.

In fondo, un calcio malato come quello italiano non può certo avere in Gasperini il medico. La girandola infinita di Zamparini, presidente incompetente tecnicamente, incontinente verbalmente e incapace managerialmente, sta creando le condizioni per la discesa in serie B della squadra e l’unica vera soluzione ai guai dei rosanero sarebbe proprio l’esonero di Zamparini a firma di Zamparini. Sempre per restare nel mondo delle illusioni.

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In un campionato avviato verso un responso già chiaro sia per la vittoria che per i piazzamenti nelle coppe, complice un Napoli che non sa approfittare della caduta di chi lo precede in classifica, la venticinquesima giornata presenta due risultati eclatanti: la sconfitta di Juventus e Inter a danno della Roma e della Fiorentina. Ma mentre per la Juve si tratta di una sconfitta dovuta ad una giocata da fuoriclasse di Francesco Totti, che ha lanciato un meteorite imprendibile, per l’Inter si tratta di una sconfitta umiliante. Se infatti la squadra torinese ha comunque giocato meglio la prima mezz’ora, perdendo poi insieme alla freschezza atletica anche le idee e il gioco di squadra, per la squadra milanese è andata in onda una vera e propria debacle tecnica, atletica e tattica.

L’Inter, reduce dal brutto incidente occorso a Milito e chiamata a moltiplicare gli sforzi per non far rimpiangere l’assenza del suo giocatore più incisivo, è rimasta sul frecciarossa che da Milano l’ha portata a Firenze. Stramaccioni, come Conte, ha imputato alla terza partita in sette giorni, l’imbarazzante prova tecnica e atletica dei suoi, e, come Conte, assumendosi la colpa di non aver saputo comprendere la condizione fisica della squadra. Ma, almeno nel caso dei nerazzurri, Stramaccioni ha allegramente sorvolato sulle sue responsabilità sul piano delle scelte tecniche e tattiche, vere cause di una sconfitta bruciante. Perché l’Inter poteva anche perdere a Firenze, non sarebbe stata un’eresia: la Fiorentina gioca un ottimo calcio e ha in panchina un eccellente allenatore e solo ad una sua difficoltà strutturale nelle trasferte deve una posizione di classifica non all’altezza delle sue qualità. Quello che però è accaduto è che Stramaccioni ha brutalmente perso il confronto con il suo amico Montella facendo apparire i viola ancora più forti di quello che sono.

Tre i problemi più evidenti: tenuta atletica, tasso tecnico, impianto tattico. Sul primo aspetto non si capisce cosa faccia un allenatore se non riesce a vedere chi è meno o più in forma: si allenano o giocano a scacchi? L’Inter gioca con tre giocatori letteralmente fermi e inadeguati all’agonismo di un qualunque campionato di calcio: Cassano, Cambiasso e Zanetti sono improponibili sul piano della corsa. E se almeno il primo inventa, ma lascia ai laterali destri degli avversari delle praterie, il secondo toglie agonismo e dinamicità e il terzo risulta francamente improponibile. Giocare in otto contro undici non è possibile. Sul secondo aspetto si deve spiegare come mai una squadra con il blasone dell’Inter sceglie giocatori come Schelotto e Rocchi (e la lista potrebbe continuare a lungo) per sostituire Sneijder e Coutinho. E perché mai i migliori giovani dell’Inter restano in panchina per far giocare ultratrentenni? Certo, con i giovani non vinci se non sono supportati dai più esperti, ma perché togliere Kovacic che a centrocampo era l’unico che correva e provava a giocare, l’unico che non sente il pallone che brucia? E che fine ha fatto Benassi, autore di buone prove e quindi scartato?

Ma è quello tattico l’aspetto più inquietante: l’Inter non ha un gioco degno di tal nome. E’ l’unica squadra del campionato ad essere priva di schemi e identità tattica. La squadra è ferma e nessuno cerca il pallone, nessuno detta un passaggio e nessuno ordina la manovra. A questo si aggiungono le scelte scombinate di Stramaccioni che non sembra in grado di leggere le gare prima e durante il loro svolgimento. Se la Fiorentina gioca con cinque centrocampisti, com’è possibile opporgliene tre, per giunta con uno lento e uno che deambula? La distanza tra i reparti è pazzesca e non solo gli attaccanti non arretrano, ma i difensori si schiacciano al limite dell’area, consentendo così diverse soluzioni all’attacco avversario. Si può anche accusare la difesa, ma i viola ieri arrivavano in sei o sette al limite dell’area dell’Inter senza incontrare resistenza. Per ultimo, Stramaccioni ha giustamente detto che gli avversari arrivano prima sul pallone al primo e al secondo tocco: ma chi ha insegnato alla difesa e ai centrocampisti interisti a marcare dando 5 metri di spazio e ad indietreggiare davanti alle manovre offensive?

Ricostruire un’Inter vincente non sarà facile, ma quello che appare chiaro è che se i giovani interisti compongono la difesa della Nazionale Under 21, giocano nel centrocampo e nell’attacco delle rispettive nazionali ma non trovano spazio nell’Inter, non si va da nessuna parte. Costruire l’Inter del futuro, va bene, ma non si può giocare il presente con le glorie del passato. I giocatori che hanno un’età avanzata, logori da mille battaglie e vittorie, dovrebbero accomodarsi in panchina e far rifiatare nell’ultima mezz’ora (quella è la loro autonomia di corsa) i giovani. Ma perché questo accada c’è bisogno di una guida tecnica che sappia imporsi nello spogliatoio e che non sia alternativamente integralista nei suoi moduli una domenica e spalmato su quelli altrui la domenica successiva.

Nel frattempo, l’Inter dovrà fare i conti con l’incapacità di centrare anche uno solo dei traguardi per cui è in corsa, grazie a campagne acquisti senza senso e mancanza di autorità della società nello spogliatoio. Se si vuole puntare sul giovane tecnico romano sarà meglio metterlo nelle condizioni di fare il suo mestiere. Pensare a Stramaccioni che si affida a Milito, Samuel, Chivu e Stankovic significa che si è abusato con i filmati dell’Inter di Mourinho. Meglio sarebbe far vedere quelli dell’Inter di Ranieri per indicargli la strada che prenderà a fine torneo (se non prima) se non riuscirà a imporre idee e uomini nuovi.

La Juventus, dicevamo all’inizio, lamenta come l’Inter e come il Napoli la fatica di tre gare in sette giorni. E’ vero, infatti, che le sue sconfitte sono venute tutte dopo le partite di Champions. E’ ovvio che se la fatica doppia pesa all’inizio del torneo, figuriamoci dopo aver giocato una quarantina di partite tra campionato e coppe. Si dirà: ma perché ai tedeschi e agli spagnoli non succede? Non è sempre vero, ma comunque l’interrogativo è pertinente e forse, oltre ad avere i campi peggiori d’Europa, anche i metodi di allenamento dovrebbero essere rivisti. Possiamo però affermare con certezza che le squadre italiane di Champions ed Europa League sono le più vecchie anagraficamente. Non sarà la risposta decisiva ma nemmeno appare come un dettaglio.

Forse la sfida con la Roma, avversario storico della Juventus, ha impedito all'allenatore salentino di operare un turn-over più ampio, del quale, sia chiaro, sarebbe comunque stato accusato in caso di sconfitta. Ha quindi privilegiato la scelta di affidarsi al suo pacchetto di affidabili, ma senza valutare come la benzina segnasse rosso. Il fatto poi che la Juventus, per sue caratteristiche, ha bisogno di sviluppare una mole enorme di gioco per portare a casa la vittoria, dipende dall'incapacità della sua dirigenza di dotarla di quel bomber che, anche nelle giornate peggiori, mette la zampata che vale punti.

Le motivazioni di Conte sono le stesse che si sono sentite a Napoli, che è stato fermato in casa dalla Sampdoria di Delio Rossi, squadra decisamente irriconoscibile da come l’aveva lasciata Ferrara. Mazzarri sa che, così come lo sanno Conte e Stramaccioni, è difficile ignorare i patti di spogliatoio, rinunciare ai giocatori che ritieni essere i migliori e ai quali maggiormente ti affidi. Ma quando non si ha il coraggio di scegliere anche lo scontro pur di mandare in campo i più in forma e non i più affidabili, si sa che le colpe ricadranno proprio sull’allenatore. E gli affidabili non correranno in soccorso dello sconfitto.

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La Juventus fa la Juventus, l’Inter riprende a fare l’Inter e dal momento che Napoli e Lazio non vanno oltre il pareggio e il Milan, nonostante l’ennesimo rigore non riesce a vincere, la classifica del gruppo di testa si aggiorna. Sono modificazioni di esclusivo interesse per il terzo posto della zona Champions e per la zona Europa league, non essendo minimamente in discussione il primato bianconero, che vede la seconda (il Napoli) a meno cinque e la terza (la Lazio) a meno undici. Dunque, a meno di un improvviso o lento suicidio della squadra di Antonio Conte, la storia del campionato è già scritta per quanto attiene al capitolo sulla vittoria finale, restando ancora incerti solo i successivi piazzamenti europei e la zona retrocessione. Due le note stonate della giornata: il dito medio di Delio Rossi a Burdisso e i cori razzisti contro Balotelli della curva dell'Inter.

La vittoria della Juventus è stata netta, senza possibilità di equivoci. Si può scegliere l’angolo di visuale dal quale leggere la gara, stabilendo così se si è trattato di troppa Juve per la pur generosa Fiorentina o, viceversa, troppa inconsistenza dei viola per mettere in difficoltà i bianconeri. Ma è sembrata comunque una partita senza storia.

La Lazio può invece considerare il pareggio ottenuto contro il Napoli un’occasione persa. Sia per la possibilità di ridurre le distanze in classifica, sia per l’andamento della gara, sia perché i partenopei hanno disputato una gara al di sotto dei loro standard abituali. Anche qui si può disquisire se quest’ultimo aspetto sia stato una conseguenza della partita attenta della squadra di Petkovic o di una giornata meno brillante del solito della squadra di Mazzarri, ma essersi fatta rimontare il vantaggio sottolinea ulteriormente l’occasione mancata dalla Lazio.

Ma se una parte della tifoseria romana si rammarica, un’altra è preda dello sconforto. Ci si riferisce ovviamente ai tifosi della Roma, che hanno invano atteso una reazione positiva della squadra allenata ora da Andreazzoli. Aver esonerato Zeman, com’era facile prevedere, non solo non ha risolto i problemi di una squadra che sembra aver smarrito le coordinate del gioco e, insieme a queste, le regole interne di disciplina. Proprio di quest’ultimo aspetto si era lamentato il tecnico boemo, chiedendo alla società d’intervenire a supporto della guida tecnica. Il messaggio è stato evidentemente recepito male, dal momento che l’indisciplina è rimasta e Zeman no.

La vicenda del rigore sbagliato da Osvaldo è sintomatica: il rigorista della Roma è Francesco Totti, al quale però Osvaldo ha sottratto la possibilità di tirarlo. Il capitano della Roma, volendo giustamente evitare una lite in campo, si è rivolto alla panchina chiedendo indicazioni, ma da Andreazzoli non sono giunti ordini. Addirittura, il neo-allenatore si è detto ignaro di chi avesse precedenza nelle esecuzioni dei penalty.

Il rigore sbagliato non solo ha compromesso la possibilità dei giallorossi di rientrare in partita, ma ha ulteriormente demotivato la squadra che, con la complicità di un frastornato Stekelemburg e di una difesa inguardabile è andata incontro all’ennesima sconfitta di questo campionato. Ora c’è nella capitale chi chiede di richiamare Zeman, che però non è completamente esente da responsabilità per quanto riguarda la mancanza di tenuta atletica della squadra, dallo stesso boemo accusata di non allenarsi. Ma chi stabilisce orari, modalità e intensità degli allenamenti se non l’allenatore?

Sembra peraltro che lo stesso spogliatoio sia spaccato e, come sempre accade, proprio la mancanza di unità interna della squadra impedisce - quali che siano i valori tecnici - di capitalizzare. Dunque prima di scegliere chi allena sarà bene che la Roma scelga chi comanda, se la società o lo spogliatoio. Stabilire una flusso coerente d’intenti e persino di comunicazione tra squadra e società è il primo obbligo che spetta alla proprietà; le modalità con le quali deve avvenire - impositive o concilianti - sono questioni di metodo che va applicato a seconda del personale che si ha. Fatto questo, davvero non restano spazi di valutazione men che ovvia sulla differenza di valore tra Zeman e Andreazzoli.

Dopo la telenovela durata tre giorni su dove dovesse disputarsi la partita tra Cagliari e Milan, finalmente la sensazione di giocare troppo pesantemente a sostegno dei Berlusconi boys ha imposto la praticabilità di Is Arenas. Il Milan, chiamato a confermare quanto visto la settimana precedente, ha però proprio confermato quanto il sostegno arbitrale sia stato decisivo. Il pareggio è stato infatti ottenuto solo con un rigore a otto minuti dalla fine e l’auspicata coppia devastante El Shaarawy- Balotelli ha offerto scarso spettacolo. Certo, sulla carta i due ragazzi rappresentano una coppia fortissima, ma sarà difficile convincerli a snaturare profondamente l’istinto da prima punta in nome della collaborazione con il compagno. Balotelli ha vissuto queste difficoltà sia all’Inter che al Manchester City e l’impressione è che il ragazzo di origine egiziane, cui fino ad ora il Milan deve quasi tutti i suoi punti in classifica, trovi nella presenza di Balo un parziale problema più che una ulteriore risorsa.

El Shaarawy è infatti stato per tutti questi mesi il terminale offensivo della squadra e probabilmente poco apprezza l’idea di sfiancarsi sulla fascia per porgere a Balotelli il pallone da gol. La sovraesposizione mediatica ed elettorale che ha accompagnato l’arrivo del mononeuronico attaccante bresciano dev’essergli sembrata già abbastanza fastidiosa dal dovergli pure chiedere di alimentarla ulteriormente e tornare a fare in comprimario come lo fu con Ibrahimovic. Anche perché la qualità del fenomeno svedese e la sua media gol Balotelli può solo sognarla. Il rischio dunque, per Allegri (irriso da Berlusconi) è che il boom mediatico diventi un boomerang nello spogliatoio e in campo.

L’Inter torna a sorridere battendo nettamente il Chievo, che pure arrivava lanciato da ottime recenti prestazioni. Rispolverato il tridente pesante e la difesa a quattro, Stramaccioni ha ritrovato equilibrio grazie a Kuzmanovic utilizzato come schermo davanti alla difesa e Cambiasso a dettare ordine al centro del campo. Il risultato, viste le occasioni, è persino riduttivo: un Cassano ispirato ha però trovato una serataccia di Palacio. Buona la prestazione di Gargano, Zanetti e Nagatomo, mentre Handanovic continua a suscitare qualche perplessità sui gol che subisce e molto ancora va fatto in chiave difensiva, dove l’assenza di Samuel pesa enormemente.

L’impressione è che ora Stramaccioni abbia maggiori cambi a disposizione per permettersi un turn-over di qualità e il rientro dopo diversi mesi di assenza per infortunio di Stankovic, permetterà una varietà di soluzioni a centrocampo. Ieri intanto è stata con la Juventus l’unica squadra a godere del complesso dei risultati, portandosi a un punto dalla zona Champions. Se sia il primo atto della rinascita o una prestazione circostanziale lo si vedrà nelle prossime sfide con Fiorentina e Milan, due bocconi certo più difficili da azzannare di quanto non lo sia il Chievo di Corini.

di redazione

Versione numero uno: l'arbitro Valeri é scarso. Versione numero due: l’arbitro Valeri è perfettamente consapevole che tra poco si andrà alle urne e, a quanto visto, non è insensibile alla scadenza dove il Milan è il candidato alla colletta dei voti. L’acquisto di Balotelli, il suo esordio, la vittoria e l’aggancio dell’Inter proprio con i gol di Balotelli erano la succulenta pietanza della propaganda elettorale e Valeri non poteva rimanere insensibile a tanto sforzo. A giudicare dallo score si potrebbe accettare la versione numero uno; a giudicare da quanto successo ieri, corre l'obbligo di miscelare le due tesi. L’arbitro romano, uno dei peggiori del campionato, appare particolarmente sensibile a certi quadretti.

E così, nell’ultimo minuto della partita, decide di aiutare come poteva il cavaliere, regalando un rigore inesistente ad un Milan che non riusciva a vincere. El Shaarawy finge di esser stato colpito e Valeri si esalta, rifiutandosi persino di consultare guardialinee e arbitro di porta per paura che potessero farlo rientrare nei parametri della professione. Il Milan ottiene così l’ennesimo regalo e il campionato l’ennesimo sberleffo. Il ritorno in campo dell’utilizzatore finale non poteva vedere San Siro quale talamo del mai sopito amore tra arbitri e Milan. E non è finita qui: vedremo nelle prossime due gare, la seconda delle quali proprio il derby, uno sfoggio di favori elettorali a Berlusconi via Milan. Intanto, in assenza di par conditio, Milan quarto in classifica a pari punti con l’Inter.

La sconfitta dell’Inter a Siena si spiega sostanzialmente così: il Siena ha disputato una gara attenta e concentrata come si deve per una partita di calcio; l’Inter ha disputato una partita con un ritmo da match tra scapoli e ammogliati. Una squadra lenta, priva dell’agonismo necessario non solo per vincere, ma anche per non sfigurare.

Checché se ne dica disquisendo di tecnica o tattica (pure fondamentali) il calcio continua ad essere in primo luogo uno sport di corsa, fatto di polmoni e velocità di esecuzione, tutto ciò che all’Inter manca. Gli assenti sembrano incidere più dei presenti: senza Milito la squadra non punge, senza Cambiasso non trova ordine, senza Samuel diventa una groviera difensiva. A vederla giocare scopri che Ranocchia fa (male) il terzino, Chivu é un giocatore lento che procura danni, Zanetti passeggia inutile per il campo, Guarin è privo di energie e gioca in una posizione non congeniale, Cassano inventa due passaggi e ne spreca venti, Palacio non riesce a trovare i movimenti da prima punta, la copertura davanti alla difesa è scarsa e del tutto assente risulta la capacità di giocare tra le linee in avanti.

L’Inter non ha giocatori che s’inseriscono senza palla e nemmeno chi corre palla al piede. Priva di qualunque schema, incapace d’inventare gioco e causa infortuni da un lato e mercato assurdo dall’altro, manda in campo alcuni giocatori che non sono da Inter e altri che non sono nemmeno da serie A. Le colpe della programmazione societaria sono enormi, Branca e Ausilio fanno più danni della grandine. Prova ne sia che Stramaccioni ha una rosa spaccata in due: o giocatori agonisticamente buoni ma tecnicamente scarsi, o tecnicamente buoni ma agonisticamente scarsi. Da qui una inconsistenza tecnica e agonistica complessiva, grazie alla quale ogni avversario sembra un campione.

Se poi le viene negato un rigore netto su Cassano e subisce un gol irregolare, le cose certo non migliorano. Una rivoluzione, dunque, s’impone: Stramaccioni dovrà inventare uno schema minimo con il quale imporre il gioco e la preparazione atletica dovrà essere rivista in profondità. Assistere alle partitelle di giocatori che non hanno fondo atletico può far piacere solo ai senatori che così non sfigurano, ma i risultati sono sotto gli occhi di tutti: nelle ultime sette partite sono arrivati sei punti. Media da retrocessione. Allo stato attuale, la squadra di Moratti può aspirare, forse, ai preliminari di Europa League, con tutto quello che questo significa in termini di mancati introiti, oltre che ad un terzo campionato di fila post-triplete di basso profilo.

La Roma, dopo una partita orrenda, ha deciso di esonerare Zeman, considerato il primo responsabile del disastro giallorosso. Non c’è dubbio che l’integralismo tattico del boemo non ha facilitato le cose; scoprire che la squadra non sa giocare nel modo che vorrebbe, non trova comunque soluzioni alternative che consentano di trovare equilibrio. L’incapacità di cercare soluzioni per la fase difensiva si è sommata ad una isterìa nel gioco d’attacco e nel pressing che ha comportato una serie infinita di partite con un’autonomia di corsa che al massimo è durata 45 minuti. L’anarchia nello spogliatoio è stata certo frutto dell’assenza dei vertici societari e della contrapposizione tra l’allenatore e la società, ma è anche frutto dell’assenza di risultati che, ovviamente, esasperano le tensioni e riducono i margini di recupero della solidità interna.

Detto ciò, i giocatori non hanno dato la sensazione di voler difendere allenatore, maglia e ambizioni. A questo, e su questo, vanno comunque aggiunte le responsabilità di una dirigenza che non è nemmeno stata in grado di porre rimedio sul mercato di riparazione, dove semmai è incorsa in figure non meno barbine di quella fatta da Goigochea nella partita contro il Cagliari.

Il boemo ha certamente pagato per errori suoi, ma anche per una compagine assemblata per il modello di calcio di Luis Enrique, tutto il contrario di quello di Zeman, colpevole di non aver puntato i piedi immediatamente per avere in squadra chi riteneva adatto ai suoi schemi. Fine dell’illusione dunque, dell’ambizione di vincere insegnando calcio, di coniugare risultato e spettacolo. Ma la sensazione è che a conti fatti, Zeman rimane migliore di quelli che lo hanno contestato e più coerente di chi lo ha cacciato.

La Lazio si fa beffare all’ultimo minuto di una partita che comunque non avrebbe meritato di vincere. La squadra, già da alcune partite, ha dimostrato di avere una difficoltà crescente nella tenuta atletica e nella gestione della partita. Il fatto che nelle ultime 3 partite abbia collezionato tre punti (Palermo, Chievo e Genoa) racconta bene come la squadra sia stanca e l’assenza di Hernanes e Klose (in campo solo virtualmente causa dolore alla caviglia) evidenzia in maniera netta la mancanza di ricambi a disposizione di Petkovic.

Il mancato rafforzamento di una rosa che è elefantiaca per numeri ma insufficiente per qualità, rischia di rivelarsi il pezzo mancante del puzzle e le sbrasonate verbali dell’insopportabile Lotito non possono supplire alla mancanza d’investimenti.

Se la Lazio disponesse di un presidente degno di tale carica invece che di un tribuno del non senso i biancoazzurri potrebbero davvero rappresentare un’incognita per il risultato finale. Invece al momento il costo del condannato autonominatosi moralizzatore (!) la obbliga ad un ruolo minore. Napoli e Juve non mollano e se non approfitta anche del momentaccio interista, la Lazio rischia di complicarsi seriamente in cammino per la Champions. E’ in finale di Coppa Italia, certo, e proprio questa competizione potrà portare l’unico successo della stagione. Da annotare in negativo lo schifoso, criminale intervento di Matuzalem su Brocchi e come, a riprova della relativa involontarietà, lo spaccagambe brasiliano non si sia nemmeno degnato di chierede scusa. Sembra vi siano ruggini antiche tra i due e ad uno di questi evidentemente il campo é sembrato essere il palcoscenico dove regolarle. Servirebbe un'indagine dell'ufficio inchieste: se così risultasse, saremmo oltre il limite del codice penale.

Ritorna al successo la Fiorentina battendo il Parma e la Juventus riprende una marcia adeguata sconfiggendo in trasferta il Chievo. Archiviate definitivamente le storielle circa il valore aggiunto dell’allenatore tarantolato, l’assenza di Conte dalla panchina si conferma il miglior talismano per i bianconeri. Netta anche la vittoria del Napoli sul Catania, una delle squadre più in forma del campionato. La squadra di Mazzarri ricorda a tutti che la questione scudetto è affare tra Napoli e Juventus, gli altri si scannino pure per i migliori posti nel loggione.

di redazione

Alla Juventus saltano i nervi e sebbene le proteste per il mancato rigore per il fallo di mani di Granqvist siano legittime, altrettanto lo sarebbero quelle genoane per il fallo netto di mani, volontario, di Vucinic nella prima parte della partita. Hanno dato in molti in escandescenza: Bonucci e Chiellini, ma soprattutto Conte, che ha letteralmente aggredito l’arbitro Guida al termine dell’incontro. Vedremo cosa scriverà l’arbitro nel referto che consegnerà al giudice sportivo, ma intanto è bene ricordare che i precedenti non mancano: ultimo quello di Ranocchia, squalificato per due giornate perché, rientrando negli spogliatoi, avrebbe detto “vergogna”, pur senza rivolgersi a nessuno direttamente. Idem dicasi per Guarin, che pur senza aver mai incrociato l’arbitro, subì una squalifica per “comportamento aggressivo nei confronti dell’arbitro”.

Desta quindi legittima curiosità la sentenza del giudice Tosel nei confronti di Conte, che ha aggredito fisicamente e verbalmente l’arbitro Guida. Sky riferisce poi di un aggressione di Bonucci all'arbitro nel corridoio che porta agli spogliatoi e la presenza di Chiellini nella baruffa andrà esaminata. E sarà curioso vedere se Marotta, che ha palesemente accusato lo stesso arbitro di partigianeria nei confronti del Napoli, e dunque di malafede, verrà sanzionato. Il fatto che l’argomento usato per accusare l’arbitro (è originario della provincia di Napoli) sia un’idiozia, non rende meno gravi  le insinuazioni, solo rende meglio l’idea dello spessore intellettuale di Marotta. Prima Bonucci, ora Marotta, le dichiarazioni contro Napoli sembrano essere diventate il leit-motiv dei bianconeri, che evidentemente denotano una buona dose di paura per la classifica. Una squalifica pesantissima per Marotta ed una altrettanto pesante per Conte sarebbero il minimo da parte del giudice Tosel; l’entità del provvedimento servirà a stabilire la sua coerenza nel metro di giudizio per le violazioni commesse da chiunque e dagli juventini.

La propaganda Juve ha comunque cominciato a suonare il tamburo. Dapprima Andrea Agnelli, poi i commentatori fedeli e quindi quelli amici, per finire con la parziale marcia indietro dell’allenatore, con l’obiettivo di dimostrare che la Juventus vive e parla sopra le righe solo perché provocata; eccessi verbali, forse, ma motivati. Ovvio che ora la paura è quella di una pesante squalifica (che potete scommettere non ci sarà) per l’allenatore. Ma è paura ingiustificata, sia per le probabilità che la sanzione sia forte, sia perché la squadra non dovrebbe soffrirne particolarmente, dal momento che il suo ruolino di marcia con i sostituti del discusso allenatore era decisamente migliore di quello che ha avuto dopo il suo rientro. Quando era squalificato, in un eccesso di modestia l’allenatore salentino aveva definito la Juventus senza di lui “una Ferrari con le gomme a terra”.

La Roma si salva a Bologna, dove pareggia e benedice la fortuna per i due pali di Diamanti nella fase finale della partita. Come contro l’Inter, i legni suppliscono alla lacune difensive, ma non potrà essere sempre così. Intanto, la posizione di classifica è sempre meno affascinante e le tensioni tra l’allenatore e ormai una decina di giocatori e le polemiche con la società circa l’esistenza o meno di un regolamento interno rendono pesante il clima a tutte le latitudini.

Ci sono tre possibilità: o mente Zeman quando dice che manca un regolamento interno, o mente Baldini quando gli risponde che invece c’è, oppure il regolamento c’è ma nessuno lo fa rispettare. Perché risulta evidente come lo spogliatoio sia una babele, come manchi il concetto di gruppo e come la disciplina dello stesso, componente fondamentale, sia completamente assente. Sia come sia, i risultati sono fortemente deludenti e la società sembra sempre più convinta che l’esperimento del boemo sia stato fallimentare. Sarà da vedere se i saluti saranno imminenti o rinviati a Maggio, ma ci saranno sicuramente. Il prossimo anno sarà quindi un altro a sedere sulla panchina della Roma.

A proposito di crisi annunciate, l’Inter non si fa mancare niente: pareggia una partita che poteva facilmente perdere dopo essere passata in vantaggio e rende chiaro come il calcio sia ancora uno sport fatto di idee e corsa proponendo un doloroso confronto tra Ventura e Stramaccioni. L’Inter gioca a pallone, non a calcio: non ha nessuna idea di come sviluppare una trama di gioco, è priva della mobilità minima di molti dei suoi ed imbottita di mediani e terzini dal piede ruvido. Per quanto riguarda la rosa a disposizione, si deve annotare come i migliori siano ai box ormai quasi perennemente, logorati da mille battaglie e da una carta d’identità che non fa sconti, mentre i nuovi arrivati - ad eccezione di Guarin, Handanovic e Juan Jesus - sono autentici errori di mercato da imputare al suo direttore generale Branca.

Costui è l’unico capace di pagare da campioni i brocchi e vendere a prezzi da brocchi i campioni. Non c’è solo un problema di fair play finanziario, c’è proprio l’incapacità di valutare e scegliere chi serve e chi no. Capire quali siano i giocatori da Inter e quali quelli buoni per una neo-promossa non dovrebbe essere difficile, ma per Branca lo è. Spendere milioni per i Jonathan, i Rocchi, i Pereira e gli Alvarez è suicida: se non ci sono denari, meglio dar spazio alla Primavera, che possiede giovani di sicuro talento in grado di poter fare molto meglio di chi va in campo. Dovrebbe poi destare un interrogativo serio il perché l'Inter sia così falcidiata dagli infortuni; staff medico e preparatori atletici dovrebbero fornire risposte inequivocabili, a meno di non voler imputarli al "destino cinico e baro".

A questo mercato folle si aggiungono poi i limiti di Stramaccioni: una squadra che prova solo ad adattarsi all’avversario gioca per non retrocedere, non per vincere. Cambiare schemi in continuazione non produce fantasia e riposizionamenti, induce solo confusione. Schierare tre o quattro giocatori fuori ruolo non aiuta a vincere e non riuscire a disegnare una trama offensiva costante con due o tre varianti non aiuta a segnare. E nemmeno il pressing, quando c’è, viene portato con dovizia di posizioni. Spesso ci sono tre giocatori dell’Inter che pressano un solo avversario che scarica la palla sul più vicino dei suoi che se ne va nel buco lasciato dagli altri due. Insomma, l’allenatore sembra ormai avviato su una parabola simile a quella di Ranieri; se continuerà ad avallare le scelte di mercato, sarà il primo a pagarne il prezzo a Giugno.

Un’altra giornata negativa per la Fiorentina di Montella, che ha nelle incertezze dei suoi portieri e nella sterilità dei suoi attaccanti i due maggiori problemi. Aver edificato dalle macerie ed aver costruito una buona intelaiatura di squadra ha certamente rappresentato un’ottima performance, ma un centrocampo all’altezza è condizione necessaria ma non sufficiente per completare una squadra ambiziosa. Ma i Della Valle hanno ritrovato l’entusiasmo e il feeling con la difficile tifoseria e c’è da scommettere che sapranno puntellare la squadra dove serve per il prossimo anno. In questo, l’obiettivo è la conquista dell’Europa League, oggettivamente alla portata.

Per finire in bellezza, non si può non citare il Catania di Maran, semplicemente straordinario. Lo scorso anno si riteneva fosse Montella il suo valore aggiunto, quest’anno invece Maran ha dimostrato che la pur considerevole bravura del tecnico ora alla Fiorentina non era tutto. C’è invece una società che sa programmare e che capisce di calcio, che tiene i bilanci sotto controllo e sa pescare talenti in giro per il mondo, unica insieme all’Udinese nel mesto e grigio campionato italiano. Catania ha una tifoseria appassionata e competente e l’intero ambiente che circonda la squadra è sereno, scevro dalle polemiche dei cugini palermitani e capace anche di farsi rispettare nel palazzo del calcio. Vederla nella zona alta della classifica non può che procurare un sorriso di soddisfazione a chi ama il calcio.


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