di Fabrizio Casari

Uno strano calciomercato, privo di grandi colpi e denso d’incognite, si è finalmente concluso. Il saldo per il calcio italiano non è certo positivo se ci si riferisce alla qualità. Alcuni tra i fuoriclasse che lo scorso anno calcavano i (disastrati) campi italiani se ne sono andati: Eto’o, Sanchez e Pastore sono stati venduti in nome del pareggio di bilancio o dell’affare irrinunciabile. Gli arrivi non sono all’altezza delle partenze: il solo Forlan è giocatore di rilievo internazionale assoluto, ma la sua età pesa sul piano strategico dell’operazione e, comunque, difficile possa sostituire l’efficacia assassina del camerunense.

Che, va detto, è diventato il giocatore più pagato al mondo, con uno stipendio lordo che si aggira sui venti milioni di euro l’anno. La partenza di Eto’o indica la nuova frontiera dell’Est, o meglio, dei petrolieri e faccendieri che, insieme agli sceicchi del Golfo, si sono impadroniti del mercato energetico globale. Gran Bretagna, Francia e Russia sembrano i mercati calcistici più accessibili dei Paperoni, la leva fiscale decisamente più vantaggiosa rispetto a quella italiana contribuisce non poco agli improvvisi amori. E se per riciclare denaro non c’è niente di meglio che muoverne tanto e in fretta, il calcio è l’habitat naturale.

Il fascino ridotto del campionato italiano comincia da qui: dall’impossibilità di competere con Spagna e Inghilterra (cui si aggiunge da ora anche la Russia) sul piano degli emolumenti. Non è questione di gioco o di blasone, ma di vil denaro. Il Fair play finanziario, che dovrebbe entrare in vigore dal prossimo anno, colpirà relativamente le finanze dei club acquistati dai nuovi marajà che scrivono in cirillico assegni di milioni di euro, mentre tutt’altro discorso varrà per le squadre italiane, che non a caso hanno dato vita ad un calciomercato low cost. L’obiettivo delle major italiane, infatti, è stato quello di provare a ripartire senza azzerare ma cominciando a programmare il futuro su basi economicamente meno impegnative. Nel resto d'Europa i conti sono molto peggiori: Manchester United e Barcellona, per dire delle migliori, sono letteralmente affogate dai debiti. Che li ripianino o no é da vedere, ma intanto si registra che anche nel calcio, come in quasi tutto, non é la bravura che fa guadagnare, ma il denaro che rende bravi.

Le cifre dei movimenti dell’Ata hotel di Milano raccontano meglio di qualunque parola il nuovo mercato calcistico delle squadre italiane. Duecentocinquanta giocatori trattati dei quali 130 stranieri. Non si può decisamente dire che i vivai italiani siano stati valorizzati. Il motivo è duplice: da un lato sono rari i giovani di talento puro e contemporanea personalità da poter essere impiegati subito in campionato, viste anche le isteriche attese di ogni tifoseria. Dall’altro va detto che acquistare all’estero conviene economicamente, soprattutto perché sia il mercato degli svincolati (o rapidamente svincolabili) è decisamente più fornito, sia perché i costi sono obiettivamente più accessibili. Sul piano tecnico, il campionato che verrà presenta poche certezze e molte incognite.

Il Milan, che ha speso pochissimo, resta la squadra tecnicamente più forte per questo torneo. Le certezze della scorsa stagione sono state corroborate da innesti di discreta qualità: l’addio di Pirlo è stato compensato dall’arrivo di Aquilani e Nocerino, che non sono giocatori simili al regista bresciano e rafforzano l’idea di una squadra che aggiunge fisicità al reparto centrale ma rinuncia alla fantasia, avendone già tanta in attacco. Mexes in difesa non è una sicurezza ma nemmeno una fregatura. Resta una squadra con un’età eccessiva, ma in Italia avrà Ibra che continuerà a fare la differenza. In Europa, invece, sarà dura: Barcellona, Manchester United, Real Madrid e Chelsea sono di ben altro livello.

La Juventus ha toccato la soglia dei 400 milioni di euro e ventiquattro giocatori acquistati da quando Marotta è diventato il Direttore Generale, oltre che ad uno stuolo di allenatori. Una cifra pazzesca, soprattutto considerando che, tranne Pirlo e Vucinic, nessun giocatore arrivato potrebbe trovar posto nell’album dei campioni della Vecchia Signora. Vidal è un buon acquisto se lo si saprà gestire, Lichtsteiner è rodato ma la scommessa sarà il rendimento di Elia e Estigarribia. Le partenze di Felipe Melo, Sissoko e Martinez erano il minimo sindacale dovuto, ma le zavorre di Iaquinta, Amauri e Toni restano. Il colmo è stato offerto dalla vicenda Ziegler, unico giocatore che, appena acquistato, si è cercato di vendere. La chiarezza delle scelte appare dubbi e l’Agnellino che si fa ritrarre con Giaccherini indica come il giovin signore abbia decisamente appetiti inferiori a quelli dell’Avvocato. Conte è un buon allenatore e conosce l’ambiente. Ha il rispetto dei giocatori e la fiducia dei tifosi. Avrà bisogno di molto tempo e poche polemiche, ma saprà far bene. La sensazione è che la Juventus sia una squadra in grado di fare un buon campionato, ma non certo di puntare al titolo.

Il Napoli ha pescato bene, ma l’entusiasmo intorno agli azzurri sembra eccessivo. Inler è un ottimo giocatore, come Pandev, ma nessuno dei due fa la differenza in campo, nel senso che sono giocatori che aiutano la squadra a girare ma raramente cambiano partite e risultati. Oltre a questo, l’impegno europeo non sarà tenero, tutt’altro. Ad ogni modo i partenopei sono una squadra completa, solida e con una buona dose di tecnica calcistica. Ripetersi è sempre molto difficile, ma se Mazzarri saprà riconfermare la concentrazione e l’impegno della scorsa stagione, in Italia potranno comunque recitare un ruolo da protagonisti lottando per le prime tre posizioni.

L’Inter è una delle squadre che ha agito meglio sul mercato ma, al contempo, una delle grandi incognite. Il bilancio è decisamente a saldo positivo, ma la partenza di Eto’o le toglie una bocca di fuoco impressionante (37 gol lo scorso anno e la firma sui tre trofei vinti) e non è detto che potrà compensarli con l’arrivo di Forlan e Zarate. Il recupero di Milito e l’ulteriore crescita di Pazzini, però, insieme all'uruguayano e all'argentino, potrebbero rivelarsi sufficienti a non far rimpiangere troppo il camerunense. L’aspetto positivo è rappresentato dal mercato di prospettiva: Alvarez e Jonhatan, Poli e Kuchka, dopo Ranocchia, Coutinho e Castaignos e la conferma di Obi e Nagatomo (e occhio al baby Tassi), sembrano indirizzare la società nerazzurra verso una sostanziale rivoluzione verde, che vedrà i frutti il prossimo anno, quando la vecchia guardia abbandonerà progressivamente la nave. L’incognita maggiore però, per quest’anno, risiede nell’allenatore: nuovo e non abituato a simili piazze, dovrà rapidamente convincersi che i moduli si disegnano sui giocatori e non il contrario, altrimenti la rivoluzione verde la guiderà qualcun altro. I nerazzurri restano comunque l’unica compagine in grado di mettere in discussione il dominio del Milan, mentre appaiono nettamente inferiori alle altre big europee.

La Roma è la seconda incognita del torneo. Si è mossa molto sul mercato, nonostante alla vigilia si temesse un ridimensionamento economico. Ha molto acquistato e poco venduto, ma è difficile capire alcune scelte, prima tra tutte quelle di vendere Vucinic a 12 milioni per comprare Osvaldo a 18. Via Menez e Riise, Julio Sergio e Brighi, mai convincenti. Gli acquisti di Stekelemburg, Heinze e Krijaer rafforzano il reparto arretrato e Gago offre solidità a centrocampo, mentre Pjanic e Lamela sono due grandi investimenti per il futurom (e forse anche per il presente). Aver tenuto Borriello è stato un bene, ma otto attaccanti rischiano di generare problemi di spogliatoio infiniti, a maggior ragione non dovendo giocare in Europa. A questo proposito va detto che l’impatto di Luis Enrique non è stato dei migliori ed è proprio il tecnico a rappresentare l’incognita maggiore. Ma la Roma ha comunque dato il via all’operazione rinascita: il primo segnale è stato quello di ribadire ruoli e gerarchie. Totti gioca e non dirige e De Rossi se vuole accetta il nuovo ingaggio, altrimenti può andare. Una rivoluzione che dovrà essere consacrata sul campo, ma di rivoluzione si tratta. Può rappresentare la sorpresa autentica del torneo.

La Lazio ha svolto un buon mercato fino a due ore prima della sua fine. La cessione in prestito con diritto di riscatto di Zarate all’Inter, resasi necessaria causa guerre interne contro l’argentino da parte di Reja e di alcuni big dello spogliatoio, ha reso l’operazione inevitabile ma ha certamente privato i biancoazzurri di fantasia e imprevedibilità. La cessione di Muslera potrebbe rivelarsi indolore, visto che Marchetti offre garanzie e dunque il saldo economico sarebbe positivo. Ma Lichtsteiner verrà rimpianto (anche se Konko non è male) e aver ceduto anche Floccari e Foggia oltre a Zarate priva la squadra di alternative all’altezza in avanti. Gli acquisti di Cissè e Klose sono stati certamente due buoni affari (qualche dubbio su Klose, che rischia di svernare come fece Cruz). La sensazione è che da un punto di vista del gioco la Lazio sia una buona squadra ma prevedibile; un centrocampo risicato con un attacco troppo affollato avranno invece bisogno di una panchina intelligente, flessibile e fantasiosa. Sul fatto che queste possano essere caratteristiche di Reja qualche dubbio c’é.

Udinese e Palermo hanno svolto un mercato simile, basato esclusivamente sulla cassa. A Udine le cessioni di Sanchez (il cui prezzo non è ancora chiaro), Inler e Zapata hanno fortemente indebolito la squadra di Guidolin, non essendo state compensate da acquisti di livello e non è detto che la famiglia Pozzo peschi ogni anno il coniglio dal cilindro. Già fuori dall’Europa, è difficile immaginarla di nuovo protagonista come lo scorso campionato; al massimo si può ambire a un piazzamento tra le prime sei-sette.

Il Palermo, invece, ha fatto un mercato di saldi modello chiusura attività. Nella smania di autocelebrazione del nevrotico Zamparini sono finiti Pastore, Sirigu, Nocerino, Bovo, Cassani e un altro vagone di giocatori meno noti. Gli acquisti, tranne Aguirregaray (che è un buon terzino) e Silvestre, sono da lotta per non retrocedere. Se poi si voleva l’ultimo record del presidente, è arrivato puntuale. Esonerato Pioli prima ancora che il campionato iniziasse. Al suo posto Mangia, allenatore della Primavera. Nessuno della prima fascia, del resto, s’infilerebbe nel forno di Zamparini. Una squadra modesta e un presidente incapace e collerico sono un mix da evitare per tutti. Sarà già tanto se i rosanero troveranno un posto in classifica tra le prime 10. Che la giostra cominci.

 

di Fabrizio Casari

Le accuse del Procuratore sportivo Palazzi all’ex-Presidente dell’Inter Giacinto Facchetti, appaiono, in forma e sostanza, gravemente condizionate da approssimazione e preconcetto. L’impianto accusatorio della relazione è fortemente sbilanciato e dallo stesso alcuni desumono che il Procuratore sportivo ritiene le ipotesi di colpa di Facchetti pari o quasi a quelle di Moggi. Se così fosse sarebbe un infortunio grave che allungherebbe ombre cupe sull’onestà di giudizio di Palazzi. Sarebbe infatti semplice pubblicare simultaneamente le telefonate intercorse tra Facchetti e Bergamo da una parte e quelle tra Moggi e Bergamo dall’altra per rendersi conto di quanto siano scarsamente associabili e completamente diverse negli obiettivi. Chiunque capirebbe la differenza.

Il fatto che le opinioni di Palazzi siano solo quelle dell’accusa andrebbe ricordato sempre: non solo perché dovuto nella descrizione di ogni vicenda processuale, ma proprio perché si deve ricordare la lunga lista di accuse che Palazzi distribuisce e che non vengono confermate dai tribunali. La fase dibattimentale e il giudizio terzo del giudice producono infatti sempre sentenze diverse da quelle richieste dalle accuse di Palazzi. Ultima quella sul caso Pandev.

Certo è strano che il giudizio complessivo della relazione indichi Facchetti quale responsabile di violazione degli articoli 1 e 6 del regolamento. Nelle numerose pagine dedicate alle telefonate intercorse tra Facchetti e i designatori, infatti, non è possibile rilevare altro che un generico quanto inefficace, pur ripetuto, tentativo di ottenere arbitri adeguati alla delicatezza degli incontri che attendevano i nerazzurri. L’intento che traspare era quello di proteggere l’Inter da designazioni arbitrali che, come successivamente appurato, erano tese a favorire il clan di Moggi.

Si dovrebbero rileggere attentamente le intercettazioni delle telefonate tra Facchetti e Bergamo e, ove si fosse provvisti di senso logico, si capirebbe facilmente come le richieste del dirigente interista siano per avere “il migliore” (chiede espressamente Collina) e per non avere, invece, quelli come Bertini o altri che contro l’Inter avevano precedentemente arbitrato con evidenti atteggiamenti punitivi. In sostanza, pur potendo eccepire sulle modalità, si tratta di richieste che possono essere configurate come tentativi di ricusazione di alcuni arbitri da un lato e richiesta di partecipazione di quelli meno ricattabili e meno sospetti di legami con il clan di Moggi e Giraudo dall’altro.

Per essere precisi si può citare una conversazione del Maggio 2005, nella quale Bergamo propone di affidare la gara all’arbitro Bertini (di cui Facchetti si era lamentato per via di diverse decisioni sbagliate e sempre a danno dell’Inter); Bergamo si offre d’istruire a dovere Bertini per un arbitraggio che finisca con la vittoria dell’Inter e Facchetti risponde invece di volere un arbitraggio giusto. Non certo contenuti e toni da assimilare alle altre miriadi di telefonate che i designatori avevano con Moggi. Su questo non è possibile equivocare, se non in malafede.

E’ bene comunque ricordare che all’epoca dei fatti non era proibito (come invece lo è oggi) parlare con i designatori. Lo facevano tutti, e molti tra questi perseguivano l’obiettivo di difendere le proprie squadre dagli assalti della cupola che intendeva determinare non solo le vittorie della Juventus, ma anche il resto del campionato. Ma un conto è parlare e un altro è tramare; un conto è chiedere garanzie di qualità nell’arbitro, un altro è dare ordini ai designatori.

Facchetti, infatti, chiedeva tutela dalla malafede e dall’incapacità già dimostrata da parte di alcuni fischietti verso i nerazzurri, e lo faceva sapendo bene con chi e di cosa stesse parlando, viste le informazioni che aveva avuto da un ex-arbitro (Nucini) su come funzionasse il sistema. Ma, a differenza di Moggi, Facchetti non organizzava le griglie con Bergamo e Pairetto, non decideva chi punire e chi promuovere tra i fischietti, non distribuiva le sim-card estere per parlare con arbitri e designatori senza essere intercettati, non ordinava risultati a la carte. Mettere quindi sullo stesso piano la condotta di Moggi e del suo clan con quella di Facchetti è improponibile dal punto di vista della ricostruzione oggettiva della vicenda e pessimo dal punto di vista “politico”.

Che le accuse di Palazzi diventino tout-court sentenze su alcuni giornali sportivi è parte di un’altra faccenda. Essi, infatti, oltre ad avere nei tifosi juventini un bacino importante di lettori, appartengono ai gruppi editoriali che fanno capo, indirettamente o direttamente, alla Fiat e alla Fininvest, cioè le società proprietarie - direttamente o tramite controllate - di Juventus e Milan, già condannate proprio per Calciopoli. Addirittura scatenati, in preda a crisi isteriche, i giornalisti vicini a Moggi, che oggi inneggiano invece alla relazione di Palazzi come fosse la sentenza di un tribunale. Per conto dell'ex dg juventino furono ventriloqui fin troppo attivi e per questo sanzionati dall’Ordine dei Giornalisti. Imperversano ormai solo nelle radio private che con alcuni dei condannati hanno particolare familiarità.

L’intento di dimostrare che l’agire era comune a tutti serve in primis alle loro vendette personali, giacchè la fine di Moggi ha comportato la loro entrata nel cono d’ombra. Ma, soprattutto, si vuole smontare l’idea che l’Inter fosse diversa dalle altre: non lo scudetto del 2006, ma lo “scudetto degli onesti” è quello che proprio non sopportano. Ovviamente, poi, da parte di costoro non viene citata la parte della relazione di Palazzi dove si confermano per Moggi e soci le accuse di essere “un vero e proprio sistema organizzato” destinato a favorire sul campo e fuori dal campo le vittorie alla Juventus.

La richiesta, subdola, che viene da più commentatori, è che l’Inter rinunci di sua iniziativa allo scudetto del 2006. Non costerebbe niente rinunciarvi, non fosse altro che questo sarebbe come ammettere che le accuse di Palazzi sono giuste. Questo sì che offrirebbe alle ineffabili penne “neutrali” la stura per poter chiudere il cerchio con una sentenza di colpevolezza generale che metta tutti sullo stesso piano. Moggi come Facchetti, Meani come della Valle, Lotito come Foti e via amalgamando ingredienti, vicende, persone e fatti che non hanno nessun elemento comune.

Pur nella lettura generale che vede comportamenti illeciti, tra chi altera la regolarità dei tornei e chi cerca di difendersi da ciò è difficile riscontrare elementi di verosimiglianza negli scopi e nel conseguente agire. Va detto, peraltro, che è lo stesso Palazzi a chiedere l’archiviazione della richiesta juventina relativa alla non assegnazione dello scudetto 2006, perché gli eventuali illeciti dell’Inter sono comunque prescritti.

Ed ecco allora che un’altra richiesta viene fatta all’Inter: quella di rinunciare alla prescrizione ed andare a processo. Palazzi lo propone a mo’ di sfida, spogliandosi così platealmente dal ruolo istituzionale per assumere le vesti autentiche. Peccato che l’eventuale imputato sia deceduto e, dunque, non si capisce chi dovrebbe essere a rinunciare alla prescrizione, dal momento che le accuse sono rivolte direttamente a Facchetti e non a Moratti, peraltro non tesserato all’epoca.

Si vorrebbe un processo mediatico, sostenuto dai giornali e dalle tv amiche che vedrebbe l’Inter sola contro tutto e tutti. Ma come mai la stessa richiesta - quella cioè di non avvalersi della prescrizione di fronte ad accuse d’illecito sportivo - non venne mai indirizzata alla Juventus in occasione del processo per doping? La Juventus, infatti, accusata dal procuratore Guariniello, evidentemente certa della sua colpevolezza, si guardò bene dal rinunciare alla prescrizione. E dunque fa bene Moratti ad avvertire sulle sicure azioni dell’Inter a tutela della sua immagine e dei danni verso chi è tentato dal ribaltone dei fatti.

Per carità, l’Italia è il Paese dove i ladri si mettono a fare politica e i politici si danno da fare per le loro aziende; dove i giudici vengono confusi con gli imputati e dove i repubblichini vengono messi sullo stesso piano dei partigiani. E' il Paese dove la verità paga dazio ai potenti, da sempre. L'importante, però, é che la verità non vada persa nel regno dell'indistinto. Gigi Riva, il più grande dei bomber azzurri, ha detto: “Tutti quelli che oggi parlano su Giacinto farebbero meglio a stare zitti: lui era pulito. Facchetti era una persona semplice, pulita, onesta, il nostro angelo. Ora provo una grande rabbia”. Moggi, per quanto possa dolere alle sue numerose vedove, variamente parcheggiate nei giornali, nelle radio e nelle Tv, resterà sempre l’emblema del gioco sporco, della corruzione e della slealtà sportiva, così come Facchetti verrà ricordato sempre come un gentiluomo dello sport. Ingenuo, forse, ma onesto.

 

 

 

di Fabrizio Casari

Sarà dunque Gasperini il nuovo allenatore dell’Inter. Che fosse in testa alla lista dei papabili italiani era evidente da diversi giorni a tutti, salvo che ad un quotidiano sportivo che continuava ad indicare in Mihajilovic il prescelto. In effetti, quella di Gasperini potrà anche sembrare una scelta di ripiego, ma invece così non è. In primo luogo é una scelta logica: ottimo allenatore, libero da vincoli, capace di far giocare bene le sue squadre, ha già allenato con successo Milito, Thiago Motta, Ranocchia e Karjia, che ora ritroverà in nerazzurro. Uno per ogni reparto, così da trovare trasmettitori utili al resto della squadra sugli schemi che intende applicare.

Oltre a ciò, a far salire le quotazioni dell’ex allenatore del Genoa sono state le referenze ottime offerte da Mourinho, che lo considera l’unico allenatore capace di metterlo in difficoltà in Italia. Infine, Gasperini è un allenatore cui si può proporre un contratto di un anno e, dunque, la funzione di traghettatore in attesa del ritorno per il prossimo anno del vincente in assoluto che ha lasciato sanguinanti i cuori nerazzurri.

La stampa sportiva si è dilettata nelle scorse settimane con ironia e paradossi contro Moratti, che avrebbe incassato rifiuti ripetuti. Ma gli insulti al presidente dell’Inter sono parte del circo Barnum delle vedove di Moggi parcheggiati nelle radio private, ormai unico luogo oltre ai bar sotto casa dove qualcuno li ascolta. In realtà le cose non stanno proprio così. Moratti ha sempre chiesto un contratto breve e, nella logica del fair-play finanziario, non particolarmente oneroso; ma, soprattutto, non ha offerto campagne acquisti clamorose, proprio per lo stesso motivo. Ritiene, infatti, che un progressivo svecchiamento della squadra debba anche accompagnarsi ad una compressione dei costi potendo contare, comunque, su un’intelaiatura di squadra che in questi ultimi anni ha vinto tutto quello che era possibile vincere. Però in serata ha già annunciato due colpi: l’acquisto del brasiliano Jonathan, terzino destro del Santos e di Viviano, il portiere azzurro, dal Bologna.

Moratti è stato costretto a muoversi in una direzione molto diversa da quella cui pensava. Invece di ragionare su cessioni e acquisti di calciatori, si è trovato all’improvviso a dover congelare il tutto per dedicarsi alla guida tecnica della squadra. L’abbandono di Leonardo, per il quale Moratti aveva immaginato un anno ancora da allenatore e poi un ruolo importante nella società, ha spiazzato il presidente.

E’ possibile che il brasiliano avesse compreso questo ed è possibile anche che l’offerta milionaria del PSG abbia ispirato, da sola, l’inversione a “U” del giovane allenatore. Ma il fatto è che l’uscita di Leonardo dal progetto tecnico dell’Inter ha obbligato la società a riconsiderare alla svelta tutto il cammino da fare, in primo luogo rimettersi a caccia di un tecnico di valore ed affidabile ma senza pretese particolari.

I rifiuti non ci sono stati, giacchè i sondaggi non sono mai divenuti offerte concrete. Bielsa aveva già un accordo con l’entrante nuovo presidente dell’Atletico Bilbao e Capello, come Spalletti e Hiddink, hanno contratti che non potevano essere rescissi con le rispettive società. Quanto a Villa Boas, l’unico cui Moratti avrebbe potuto offrire un percorso diverso, la clausola rescissoria e l’intenzione di accasarsi al Chelsea, ha reso impossibile il concretizzarsi dell’ipotesi.

E bene ha fatto il Presidente dell’Inter a non accedere alle pretese del Porto: pagare 15 milioni di Euro per un campione è lecito, ma per un allenatore che peraltro ha vinto un solo anno ed in un campionato molto, molto particolare, come quello portoghese, sarebbe stato un insulto all’intelligenza. Quanto a Capello, Moratti ha avuto fortuna: se la federazione inglese avesse dato il via libera, i tifosi nerazzurri non l’avrebbero certo accolto a braccia aperte, visti i suoi trascorsi e le sue - anche recenti - dichiarazioni.  Sarebbe stata una riedizione di Lippi.

La verità è che Moratti avrebbe consegnato un progetto ampio come quello del rinnovamento e del rilancio dell’Inter solo a due o tre allenatori al mondo: Mourinho, Guardiola o, forse, Capello. In assenza di possibilità di questo tipo, ha scelto il meglio che si potesse trovare sulla piazza italiana. E Mihajilovic, cui pure non difettano qualità, ha forse pagato una sua eccessiva “vicinanza” con Mancini, che negli anni in nerazzurro ha seminato, insieme alle vittorie, anche molti dissapori nello spogliatoio e questo può aver inciso non poco nella scelta finale.

In questo contesto Gasperini appare dunque la scelta migliore. Sa far giocare un ottimo calcio e appare decisamente un gradino sopra Mihaijlovic, pur ottimo allenatore. E’ più a suo agio in ambienti “caldi” di quanto non lo sia Delio Rossi e non è “segnato” da mille sconfitte come Ranieri, pure grandissimo professionista. Nello staff dovrebbe portare il suo vice storico Bruno Caneo e il tattico Luca Trucchi. Non varcheranno invece i cancelli della Pinetina il preparatore dei portieri Rampulla e il preparatore atletico Ventrone, quest’ultimo troppo legato alla Juventus del Dottor Agricola e a Lippi.

Che qualcuno si affretti ora a stabilire il coefficiente di difficoltà di Gasperini attiene alle banalità da bar dello sport. Ovvio che per l’allenatore di Grugliasco è la grande occasione ed altrettanto ovvio è che c’è una notevole differenza tra allenare Milanetto o Cambiasso. Naturale dunque che il cammino non sarà rose e fiori, ma se un allenatore ha fatto bene con giocatori di discreta qualità, perché non dovrebbe far bene con campioni?

Qualcuno per caso riteneva che Allegri avrebbe vinto il campionato prima che arrivassero Ibrahimovic, Boateng e Robinho? E lo avrebbe vinto se non fossero sopraggiunti Cassano e Van Bommel? Allegri ha dimostrato invece che i buoni allenatori italiani possono vincere esattamente come gli stranieri: la differenza nei risultati non deriva dall’esoticità del nome, ma dalla squadra che hanno a disposizione.

A questo proposito sarebbe bene appunto ricordare che Conte alla Juventus (come, prima di lui, Ferrara) o Luis Enrique alla Roma (che fino a un mese fa allenava nella serie B spagnola) vivranno esattamente le stesse difficoltà. Gasperini arriva forse a fari spenti, alla fine di una settimana di voci, trattative e accreditamenti diversi da parte di personaggi diversi. Ma l’idea che sarebbe stato scelto senza il pieno convincimento di Moratti sembra una solenne idiozia.

Le sue parole di stima verso il neotecnico nerazzurro, espresse prima ancora della comunicazione ufficiale apparsa sul sito dell’Inter, hanno voluto rappresentare un modo per “metterci la faccia” e sgombrare ogni voce incontrollata al riguardo. Ma, più che una dichiarazione, che potrebbe anche essere interpretata come un atto dovuto, a garantire che la scelta di Gasperini sia stata condivisa completamente da Moratti risiede nel fatto che solo chi non lo conosce può pensare che ingaggi qualcuno senza esserne convinto.

Quello che invece appare più significativo nelle parole del presidente interista, è l’aver speso parole generose su Leonardo: “Non è un traditore - ha detto Moratti - e vorrei che i tifosi lo capissero. Ha solo accettato una proposta che era difficilissimo rifiutare, ma fino all’ultimo momento è rimasto a disposizione dell’Inter”. Un modo giusto di ricordare a tutti la differenza di stile con chi, pochi giorni prima, è stato deferito proprio per gli insulti a Leo. Aver ricordato a tifosi e sportivi in generale il senso della misura e della realtà, è un buon modo di dare il via al nuovo campionato.

di Roberto Giardina

BERLINO. Adesso che il campionato è finito e che anche la Coppa Italia è stata assegnata, si può parlare di calcio, al di là del tifo. Si spera. Anche in Germania si attende la prossima stagione. Da noi ha vinto il Milan, squadra del presidente del Consiglio, come si prevedeva, nell'anno delle fatali elezioni locali. In Germania hanno vinto i gialloneri del Dortmund, squadra di giovani, all'inizio poco valutati. I rossoneri hanno giocato su un campo spesso spelacchiato, in uno stadio di rado esaurito.

A Dortmund, città di 400mila, lo stadio è un gioiello architettonico, l'erba verdissima pur nel cuore della Ruhr, e la media degli spettatori è stata appena sotto gli 80mila. Il calcio può servire come punto di partenza per un confronto tra i nostri paesi. La Germania perde quasi sempre contro gli azzurri, ma nel resto - quel che conta - ci batte tre a zero.

Cominciamo dagli arbitri, com´è inevitabile. Qual è la differenza tra un arbitro e uno Schiedsrichter, che sarebbe il suo collega tedesco? Il crucco arbitra, l'italiano interpreta. I fischietti della Bundesliga commettono errori colossali ma, come si dice, “n'do cojo cojo”. Sbagliano perché non sono bravi, o stanchi, a favore di questo o di quello. Per il debole Sankt Pauli, che non si può concedere neanche uno straniero, finito in Serie B, o per il potente Bayern di Monaco. Giocatori e allenatori a volte li contestano con violenza, ma nessuno dubita mai che il fischietto sia in mala fede.

Gli arbitri nostrani sentono il fascino dei potenti. Le aeree di rigore si allargano o si restringono, a seconda, e i falli di mano diventano involontari anche se il difensore placca la palla come un autentico rugbista, purché indossi la maglia rossonera o neroazzurra o bianconera. Banti, l'arbitro del Milan di Berlusconi e del mio (lo confesso subito) Palermo, in Germania non avrebbe arbitrato più fino a Natale, quello del 2011. Gli hanno inflitto una settimana di pausa, rara punizione, e questo dovrebbe dimostrare che non parlo da tifoso.

Una frase fatta, e sempre meno attuale, vorrebbe che favori e torti alla fine del campionato si compensano. Sarà stato vero nel secolo scorso. All´inizio del secolo scorso. Quest'anno, fatti i calcoli degli errori, il Milan avrebbe una decina di punti in meno, come la Roma. La Juve avrebbe rischiato di retrocedere. Penalizzati per una dozzina di punti sono state invece le meridionali, il Napoli, e il mio Palermo. E non perché lo dica Zamparini. Sarebbe stato un campionato fantastico, con più gente allo stadio.

Ma, quasi sempre, i nostri fischietti arbitrano benissimo all'estero. Paradossalmente, è una prova a carico: fuori non hanno complessi reverenziali. C'é un particolare fondamentale che distingue gli arbitri di Silvio e di Frau Angela. I tedeschi alla fine della partita possono parlare. Il telecronista gli fa vedere al replay le madornali cappellate prese pochi minuti prima. Che ci dice Herr Schiedsrichter? Mi dispiace, voi avete la moviola, io sto sul campo. Mi sono sbagliato. Chiedo scusa. E tutto finisce. Certo, come farebbe a giustificare di aver sbagliato sempre a favore di una squadra? E di fischiare una volta in un modo, la seguente in un altro? Anche negli errori, ci vorrebbe coerenza.

I politici si comportano alla stessa maniera. Frau Angela era a favore del nucleare a settembre. Oggi ha cambiato idea, quando ha visto le immagini di Fukushima: “Se neanche i giapponesi, così affidabili, così bravi, non riescono a garantire una sicurezza assoluta, allora bisogna cambiare strada.” Come dire: ho sbagliato, scusatemi. Ed ha chiuso le centrali nucleari.

Da noi, un premier esperto di calcio, ha detto che vorrebbe veder giocare i suoi in uno stadio senza spettatori della squadra avversa. Quando vince è merito suo, quando perde è colpa degli altri. Una mancanza di fairplay che qui non gli sarebbe perdonata. Quando si vota, un minuto dopo l'esito, il perdente ammette la sconfitta, e di solito si dimette: “E' colpa mia”, ammette il capo, anche se i suoi l´hanno tradito. I conti, caso mai, si regolano nello spogliatoio.

Da queste parti, un arbitro con il debole per i forti, non è gradito neanche da un Bayern. Favori immeritati rendono antipatici e danneggiano gli affari, come spiega il mitico Beckenbauer. Perché negare quello che vedono milioni di telespettatori? Il suo Bayern guadagna una quindicina di milioni con il merchandising. Un arbitro furbetto verrebbe disprezzato dagli amici e criticato in famiglia. Forse esagero, ma solo un poco.

Non voglio sembrare ingenuo. Anche in Germania qualcuno conta di più, ma fino a un certo punto. Margot Kässman, la papessa della Chiesa evangelica, fu sorpresa ubriaca al volante, e si dimise all´istante, nonostante i fedeli volessero perdonarla. Un poliziotto italiano non sarebbe stato tentato di chiudere un occhio, e dire “per questa volta passi”? E quale politico tedesco oserebbe chiamare una stazione di polizia per chiedere clemenza a favore di una nipotina un po' birichina? Tanto gli direbbero di no.

E questo vale anche per i miei colleghi giornalisti. Quando la passata stagione, il Bayern segnò  alla Fiorentina in fuorigioco evidente, il telecronista sbottò. “Un goal vergognoso.” Perfino i tifosi furono d'accordo.

Nel seguire da Berlino le partire italiane su Sky, mi ero stupito dei commenti dei miei colleghi e degli ex calciatori che li spalleggiano. Ma che dicono? Mi hanno spiegato, che i giudizi cambiano in rapporto al bacino di utenza. La Lombardia ha più abbonati del Molise, dunque…Ma io, da esule in  Prussia, non ci vorrei credere. Se leggo il resoconto di una partita tra Lazio e Inter, sul Corriere dello Sport o sulla Gazzetta, mi sembra che parlino di due incontri diversi.

E' vero, bisogna essere sensibili e pensare ai lettori e alla tiratura. Ma ci dovrebbe essere un limite. Naturalmente, il rilievo non riguarda solo i colleghi dello sport. Anche nelle partite della politica, non si dovrebbe perdere in credibilità, parteggiando ciecamente per questo o per quello. Forse anche per questo tutti i nostri quotidiani messi insieme vendono poco più della sola Bild Zeitung (4,5 milioni di copie).

In un Fiorentina-Palermo, il "Flaco", cioè Pastore, caracollò per mezzo campo, saltando gli avversari e segnò a porta vuota. Il pubblico fiorentino - mi disse un amico gigliato - si alzò in piedi per applaudire. Davanti alla TV, a Berlino, ascoltai Causio commentare: ma come si fa? Dovevano fargli fallo a centro campo. Bella prova di sportività, proprio da un ex campione. In Germania lo avrebbero licenziato all'istante, com’è avvenuto in Gran Bretagna: due commentatori che avevano ironizzato su una guardalinee donna hanno perso il posto.

Ai campionati del mondo in Usa, Stefan Effenberg, pilastro della difesa, alzò il dito medio in faccia agli spettatori tedeschi che lo fischiavano. Il presidente della federazione teutonica lo rispedì a casa: non è un esempio da dare ai giovani, commentò. Un moralista? Una decisione retorica? Sarà.

Come si può giocare alla pari, se un Moratti o un Berlusconi a fine anno possono firmare un assegno per 180 milioni di euro e pareggiare il bilancio? E le altre squadre cercano saggiamente di non andare in rosso? Quest´anno, il grande acquisto del Bayern è stato un certo Petersen, attaccante del Cottbus, serie B. Prezzo? Due milioni e mezzo di euro. Non vincerà la Coppa dei Campioni ma rispetta una sana amministrazione. Magari l'anno venturo lo venderanno per venti milioni a qualche miliardario di casa nostra.

Ma perché parlare di calcio? Perché, ovviamente, è lo specchio della società. In Germania, gli stadi sono splendidi e sempre colmi. Ci vanno le famiglie con i bambini, e non sanno neanche che cosa sia la tessera del tifoso. L'Hoffenheim, squadra di un paesetto di tremila abitanti, ha rischiato di vincere lo scudetto. Come se da noi il Capalbio, sempre che abbia una squadra, batta a San Siro l´Inter. Da noi sarebbe possibile?

E questo vale per tutti i campi. Un imprenditore che abbia una buona idea riuscirà in Italia a farsi finanziare dalle banche e conquistare il suo mercato? Un ricercatore geniale avrà la sua cattedra all´Università? E un giovane politico potrà giungere in Parlamento, anche se è piccolo, grasso, con gli occhiali, ma ha un gran cervello? Da noi si sono aboliti concorsi interni nei grandi enti, perché stavano vincendo gli outsider. Si è preferito promuovere tutti, alla faccia del merito.

Nella vita siamo tutti calciatori e sogniamo che la partita si svolga in modo leale. Qualcuno trova sulla sua strada un arbitro all'italiana. Altri, uno Schiedsrichter. La Germania gioca in Serie A in Europa, in testa alla classifica. Gli azzurri rischiano di retrocedere. Sarà un caso?

 

di Fabrizio Casari

Si è concluso il campionato meno esaltante degli ultimi anni. L’ultima giornata non aveva niente da dire circa vincitori, retrocessi e promossi dalla serie B, ma doveva decidere la quarta squadra che arriva alla Champions League via preliminari.  Ebbene sarà l’Udinese di Guidolin a disputare l’Europa, giacchè pur arrivando con gli stessi punti della Lazio, la differenza negli scontri reti la vede prevalere. Roma e Juventus andranno, la parente povera della Champions; la Juventus arriva settima per il secondo anno consecutivo è fuori da ogni competizione internazionale. Insieme al campionato però, più di quanto mai avvenuto in passato, si chiudono anche gli armadietti di diversi allenatori di serie A.

Cambia panchina, infatti, la Roma, con il probabile arrivo di Bielsa, l’ex CT argentino, che sostituirà Montella. Dice ciao senza rimpianti alla Juventus Del Neri, candidato a guidare la neopromossa Atalanta e, con buone probabilità, anche l’altra neo promossa, il Siena, saluterà il suo allenatore Conte, che dovrebbe andare sulla panchina della Juve. E’ certa anche la partenza di Delio Rossi da Palermo e quella di Malesani da Bologna, forse destinazione Genova, sponda rossoblù. Sembrerebbe confermato Reja alla guida della Lazio mentre è ancora da verificare cosa succederà a Napoli con Mazzarri. Confermatissimo invece Leonardo e altrettanto confermato, ovviamente, Allegri.

L’Inter si congeda dal campionato battendo 3 a 1 il Catania dell’ex beniamino di San Siro, Diego Simeone. In attesa dell’ultimo impegno di stagione domenica sera a Roma nella finale di Coppa Italia, una vittoria è sempre un risultato confortante. E’ stata una buona gara, quella dei Leonardo boys, su un buon ritmo e con buone trame e ha portato il suo allenatore a raggiungere il record delle partite vinte di fila (12) e con il miglior attacco del campionato (69 gol). Ma la cosa più importante, per i nerazzurri, è certamente stata il rientro in campo di Walter Samuel, la cui assenza per quasi tutto il campionato è stata la tegola peggiore per la squadra: perché la pur gravissima assenza di Milito è stata in qualche modo risolta con i gol di uno stratosferico Eto’O e di un ottimo Pazzini, ma Ranocchia non vale certo - almeno per ora - il muro argentino.

L'Udinese pareggia contro il Milan neo campione in una partita che ha visto Amelia compiere interventi prodigiosi per permettere al Milan di non perdere l'ultima partita del torneo. Addirittura un rigore sbagliato dai bianconeri, che non ne hanno certo avuto molti e che comunque, non sono soliti sprecarli. Il Palermo, invece, che sfiderà proprio l’Inter nella finale di domenica, è andato a cercarsi una sconfitta casalinga contro il Chievo di cui non aveva certo bisogno. Non tanto e non solo perché, appunto, arrivare ad una finale con una sconfitta non fa bene all’autostima, ma anche perché i rosanero hanno mostrato difficoltà nella gestione della partita, facendosi rimontare e superare dopo essere stati in vantaggio. Le assenze non bastano a giustificare la sconfitta patita e a maggior ragione le sue proporzioni.

Il Napoli riesce a pareggiare a Torino contro una Juventus che non aspettava altro che il fischio finale. L’Udinese pareggia con il Milan, la Roma batte la già retrocessa Samp e la lazio maramaldeggia in casa del Lecce. Il Bari saluta la serie A rifilando una quaterna di gol al Bologna, mentre la Fiorentina chiude la sua stagione con un pareggio contro la già retrocessa Brescia e il Parma ottiene lo stesso risultato in una partita ricca solo di sbadigli contro il Cagliari. Il Genoa batte il Cesena: entrambe già soddisfatte per l’esito del rispettivo campionato non per questo si sono risparmiate e il punteggio finale di 3 a 2 lo racconta chiaramente..

La spaccatura in Lega tra le “grandi” e le “piccole” sulla ripartizione del 25% della quota oscillante sui diritti televisivi, con le relative minacce di guerra aperta anche sul mercato, la riunione di Lega che dovrà definire l’apertura o meno ad un altro extracomunitario al possibile tesseramento per le squadre e il calciomercato infinito saranno i temi del campionato che comincia da ora e si concluderà alla fine di agosto. Per chi soffre d’insonnia il calciomercato s’annuncia come una buona terapia: si preparano centinaia di interviste, migliaia di “voci di corridoio” e decine di migliaia di marchette giornalistiche ispirate dai procuratori dei calciatori. Per i palati raffinati, invece, si consiglia la visione della Copa America, dove il calcio sudamericano mostrerà il meglio di se. Per chi crede che il calcio sia tecnica e fisico, passione e sudore, un appuntamento da non perdere.

 


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