di Fabrizio Casari

Una giornata particolare quella appena giocatasi. La vittoria meritata della Lazio al fotofinish rompe il digiuno di Reja nei derby e fa giustizia dell’ironia fuori luogo di Totti alla vigilia. Solo quattro vittorie - Parma, Catania, Bologna e Lazio - poi un record assoluto di pareggi a reti inviolate con due cadute inaspettate: quella dell’Inter e quella del Napoli. Cenni di resurrezione invece da parte del Milan, che batte sonoramente il Palermo indicato alla vigilia come possibile rischio per i campioni d’Italia. Quella del Napoli è una caduta che indica come la continuità sia il problema principale della squadra di Mazzarri. Certo sarebbe bene non continuare a mettere in alternativa la Champions e il campionato nelle ambizioni, perché così facendo si rischia di pensare all’Europa quando si gioca il campionato e viceversa. La sconfitta di ieri dice invece che i partenopei faranno bene a cercare di concentrarsi su entrambi se non vogliono rischiare di perdere l’unico obiettivo davvero alla portata, quello nazionale. Per vincere in Europa ci vuole ben altro.

Ma la sconfitta del Napoli è un incidente di percorso, quella dell’Inter traccia una riga netta sotto la squadra che, fino a pochi mesi fa, vinceva coppe in ogni dove e che ora sembra decisamente seppellita dalle macerie di un crollo. E’ proprio la questione nerazzurra il tema di questo inizio di campionato. La crisi dell’Inter ha molti padri e qualche figlio degenere. Il figlio degenere è certamente il segno ormai evidente di una linea arbitrale che, iniziata con la Supercoppa e proseguita fino a ieri, indica con chiarezza come l’Inter paghi lo scontro estivo con il Palazzo.

Mai si era visto che una squadra ricevesse 4 rigori contro - tutti illegittimi, alcuni scandalosi - e due rigori netti negati in cinque partite. Fanno diversi punti e diversi gol di differenza che non rovescerebbero completamente la situazione, però certo direbbero cose più giuste. E la linea della protesta a caldo e dell’abbassare i toni 24 ore dopo indica come proprio l’Inter sia conscia che una guerra è in corso ma che, purtroppo, non si è capaci di sostenerla. Ma detto ciò, c’è una crisi di gioco e di risultati che, pur in questa condizione, si evidenzia anche dall’incapacità di tenuta caratteriale della squadra, che appena subisce un gol si prepara a prenderne come minimo un altro.

La crisi in campo riflette quella negli uffici e comincia dal rifiuto di prendere atto dell’usura fisica e quindi anche tecnica di molti dei suoi campioni e finisce con innesti decisamente non solo a livello dell’Inter e dei suoi obiettivi, ma addirittura giunti a prezzi elevati. Nella squadra che giocava a Catania, infatti, non c’era solo il pesante capitolo delle assenze - Julio Cesar, Ranocchia, Chivu, Snejider, Forlan, Coutinho, Obi - ma anche quello delle imbarazzanti presenze - Milito, Muntari e Alvarez - a dare l’idea di una stagione difficilmente recuperabile.

Certo, l'assenza dell'olandese é durissima per la costruzione del gioco interista (e figuriamoci cosa sarebbe successo se fosse stato ceduto), ma non sarà solo il suo rientro a permettere l'inversione di marcia. Ci si chiede se la mancanza di un gioco comporta anche la mancanza di tecnica, ma il fatto è che le due cose, all’Inter si sommano e, su queste, campeggia la mancanza di condizione fisica. La squadra che vinse il triplete ha ormai esaurito il suo ciclo, e il canto del cigno l’ha espresso lo scorso anno con Leonardo in quella rimonta straordinaria.

Oggi non ha più benzina, non ha più anima e non ha più ambizioni. L’idea dei vertici societari di modulare pochi innesti di qualità lasciando partire i giocatori più anziani è stata, appunto, solo un’idea. Alla fine, i più sfiniti sono rimasti e il solo Eto’o è partito. Ma quando si lascia partire l’attaccante più forte al mondo e, pur avendo preso Castanois, non si ha il coraggio di mandare via Milito (la cui ultima partita all’altezza resta quella del Bernabeu); quando si abbandonano tutti gli obiettivi di mercato in Italia e all’estero mentre si acquistano Alvarez e Jonathan, allora c’è poco da recriminare contro le condizioni esterne e molto da dover ammettere. La società Inter non ha più un governo da quando Mourinho ha preso la via di Madrid e Oriali è stato defenestrato per far contento Branca.

Moratti dovrà farsene una ragione: almeno otto giocatori sui tredici-quattordici titolari non sono, ad oggi, all’altezza dell’Inter. Da qui due strade: o una rivoluzione con relativo investimento a caccia di giocatori che segnano il livello e le ambizioni di una grande, oppure una politica impostata davvero sui giovani che però, come insegnano Arsenal e Ajax, non fa vincere niente pur giocando un buon calcio. Ma la terza, quella di temporeggiare, sarebbe quella suicida.

La differenza non è tra spendere o non spendere, ma tra spendere bene e spendere male. E comunque, invocare il fair-play finanziario che imporrebbe austerità, pena il non poter disputare la Champions, non ha molta logica, perché così la Champions non la si disputa lo stesso, al più si lotta per un posto nelle prime sei del campionato. Sta dunque a Moratti, che dicono furioso, decidere se proseguire o mollare, perché di questo, alla fine, si tratta.

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