di Elena Ferrara

Gli slogan potrebbero anche essere: “Futuristi di tutto il mondo, unitevi” oppure “Futuristi avanti verso il passato”. E tutto questo perchè dopo quell’evento top del 1986 - la mostra estiva “Futurismo & Futurismi” a Palazzo Grassi a Venezia - le idee che Marinetti illustrò sul Le Figaro del 20 febbraio 1909, in quel suo celebre manifesto, tornano ad agitare il mondo degli storici, degli artisti e, in generale, della cultura mondiale. E non è un caso se la “sveglia” arriva - ancora una volta - da due paesi che sono stati al centro dell’avventura futurista: l’Italia e la Russia. Tutti impegnati ora a mettere in campo le vecchie eredità presentando una mostra globale sulle “due facce” del futurismo. E ancora una volta - pur se i tempi sono notevolmente mutati - si registra una sfida intellettuale al mondo e alla cultura per un riesame di quella che può essere ancora considerata come una rivoluzione culturale che ha fatto epoca aprendo nuove strade e prospettive.

di Elena Ferrara

E’ rivoluzione all’Osservatore Romano. L’edizione del 15 agosto segna una svolta nel quotidiano, un tempo paludato e noioso organo prodotto dalla macchina propagandistica d’Oltretevere. Ora, con un Papa nuovo e un direttore nuovo, arriva in prima pagina la riproduzione a colori di una copertina classica della serie “Tex”, quella con Tex “sul sentiero dei ricordi”. E così l’organo di Ratzinger rompe una consolidata tradizione che voleva sbattute in prima solo le immagini dei Papi, dei Santi, delle monache e di tutto il repertorio iconografico prettamente religioso. Arriva Tex e sbaraglia tutti con un titolo forte che lo indica come un personaggio che difende i più deboli e che fa della giustizia la sua missione. Eccolo, quindi, il nostro eroe narrato dal giornalista Roberto Genovesi che riempie varie colonne del quotidiano vaticano.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Grande ma scomodo e ingombrante, autore di opere letterarie ma anche di preghiere, figura carismatica fuori dal tempo attuale, spirito inquieto, slavofilo ottocentesco, mistico ortodosso, anni di lager e poi tonnellate di soldi con venti anni di pace nel Vermont. Ora Aleksàndr Isaevic Solgenitsin - nato a Kislovodsk l’11 dicembre 1918 - se ne è andato ad 89 anni nella notte del 3 agosto. La notizia è stata data dal figlio Stepan e secondo le sue parole la scomparsa è avvenuta per un “improvviso arresto cardiaco'', alle 23,45 ora di Mosca (le 21,45 italiane). Lo scrittore è così morto in Russia - come voleva - e cioè nel suo paese dal quale era stato espulso nel 1974. Ma era sempre riuscito - pur nell’esilio americano - a restare ancorato alle vicende sovietiche e russe. Aveva infatti consegnato alla storia opere di forte contenuto sociale e letterario, valide tutte per una rivisitazione delle vicende del Paese: dagli anni della Rivoluzione ad oggi, dai lager alle proposte per ricostruire la società.

di Carlo Benedetti

Se ne vanno in silenzio, come nella tragica ritirata sul Don del 1943, quegli uomini che erano stati mandati al fronte, in Russia, con le squadre dell’Armir che avrebbero dovuto unirsi ai nazisti per marciare sulla piazza Rossa. Ora se ne è andato Mario Rigoni Stern. Aveva 86 anni e con il suo capolavoro “Il sergente della neve” - la nuda e umana storia autobiografica di un alpino in Russia - ha contribuito a tener viva la memoria di un periodo duro ed infame, complesso ed acuto. La sua vicenda e le pagine scritte in tutti questi anni restano - come notò Vittorini dopo aver letto l’opera di Rigoni Stern - “l’unica testimonianza del genere da cui si ricava un’impressione più di carattere estetico che sentimentale o polemico”. E lo scrittore - proprio per sottolineare la continuità storica con le vicende drammatiche della guerra - era poi tornato in Unione Sovietica per un viaggio-pellegrinaggio nei luoghi della disfatta dell’Armir.

di Giuseppe Zaccagni

Aveva alle spalle una ben nutrita serie di novelle e romanzi brevi tutti ambientati nella natìa Kirghisia, terra lontana e misteriosa, repubblica asiatica dell’immensa Unione Sovietica. Si era impegnato in un grande lavoro di ricerca storica ed intellettuale per collegare - forte di letture valide ed affascinanti - la vita e l’epopea nazionale del suo popolo kirghiso alla più moderna esperienza letteraria dell’Urss e dei suoi diversi gruppi sociali. Guardava a Mosca e scriveva sia in kirghiso che in russo. E nella Russia sovietica aveva fatto un ingresso clamoroso pubblicando un romanzo - “Il patibolo” - dove uno dei maggiori personaggi era Gesù Cristo. Un fatto insolito in un paese ateo e soggetto ad una severa censura soprattutto nei confronti delle tematiche religiose. Ma lui era riuscito a superare gli scogli dell’ottusità dei censori.


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