di Carlo Benedetti

MOSCA. Grande ma scomodo e ingombrante, autore di opere letterarie ma anche di preghiere, figura carismatica fuori dal tempo attuale, spirito inquieto, slavofilo ottocentesco, mistico ortodosso, anni di lager e poi tonnellate di soldi con venti anni di pace nel Vermont. Ora Aleksàndr Isaevic Solgenitsin - nato a Kislovodsk l’11 dicembre 1918 - se ne è andato ad 89 anni nella notte del 3 agosto. La notizia è stata data dal figlio Stepan e secondo le sue parole la scomparsa è avvenuta per un “improvviso arresto cardiaco'', alle 23,45 ora di Mosca (le 21,45 italiane). Lo scrittore è così morto in Russia - come voleva - e cioè nel suo paese dal quale era stato espulso nel 1974. Ma era sempre riuscito - pur nell’esilio americano - a restare ancorato alle vicende sovietiche e russe. Aveva infatti consegnato alla storia opere di forte contenuto sociale e letterario, valide tutte per una rivisitazione delle vicende del Paese: dagli anni della Rivoluzione ad oggi, dai lager alle proposte per ricostruire la società.

di Carlo Benedetti

Se ne vanno in silenzio, come nella tragica ritirata sul Don del 1943, quegli uomini che erano stati mandati al fronte, in Russia, con le squadre dell’Armir che avrebbero dovuto unirsi ai nazisti per marciare sulla piazza Rossa. Ora se ne è andato Mario Rigoni Stern. Aveva 86 anni e con il suo capolavoro “Il sergente della neve” - la nuda e umana storia autobiografica di un alpino in Russia - ha contribuito a tener viva la memoria di un periodo duro ed infame, complesso ed acuto. La sua vicenda e le pagine scritte in tutti questi anni restano - come notò Vittorini dopo aver letto l’opera di Rigoni Stern - “l’unica testimonianza del genere da cui si ricava un’impressione più di carattere estetico che sentimentale o polemico”. E lo scrittore - proprio per sottolineare la continuità storica con le vicende drammatiche della guerra - era poi tornato in Unione Sovietica per un viaggio-pellegrinaggio nei luoghi della disfatta dell’Armir.

di Giuseppe Zaccagni

Aveva alle spalle una ben nutrita serie di novelle e romanzi brevi tutti ambientati nella natìa Kirghisia, terra lontana e misteriosa, repubblica asiatica dell’immensa Unione Sovietica. Si era impegnato in un grande lavoro di ricerca storica ed intellettuale per collegare - forte di letture valide ed affascinanti - la vita e l’epopea nazionale del suo popolo kirghiso alla più moderna esperienza letteraria dell’Urss e dei suoi diversi gruppi sociali. Guardava a Mosca e scriveva sia in kirghiso che in russo. E nella Russia sovietica aveva fatto un ingresso clamoroso pubblicando un romanzo - “Il patibolo” - dove uno dei maggiori personaggi era Gesù Cristo. Un fatto insolito in un paese ateo e soggetto ad una severa censura soprattutto nei confronti delle tematiche religiose. Ma lui era riuscito a superare gli scogli dell’ottusità dei censori.

di Saverio Monno

Questa é una storia che comincia molto tempo addietro: precisamente il 14 Novembre 2006, quando Sigrid, lettrice della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Trieste, moriva suicida. Dopo dodici anni di lotta contro il disagio psichico che periodicamente l’affliggeva, la drammatica decisione di porre fine alle proprie sofferenze. Sigrid amava il suo lavoro e, a dispetto del misero stipendio percepito, nell’insegnamento trovava la forza di andare avanti, di combattere la malattia. L’amore per i suoi studenti la spronava più di qualsiasi ricompensa, ed i suoi ragazzi ricambiavano questo affetto con grande tenerezza. “Alla fine però - scriveva il marito Giorgio, in una lettera aperta al magnifico rettore - il suo senso della giustizia e della dignità avevano prevalso sul suo naturale rifiuto del conflitto ed aveva intentato una causa all’Università per veder riconosciuto il suo diritto ad uno stipendio almeno parzialmente rapportato alla sua attività.” Vince la causa per il periodo 1992-1995, ma l’università, consigliata dall’Avvocatura dello Stato, decide di tornare sui propri passi, e prende nuovamente a riconoscerle “una retribuzione da lavavetri”. Sigrid decide di battersi ancora. Questa volta però, l’ateneo triestino non transige. Il nuovo “affronto” va punito. La donna ha bisogno di “una lezione”.

di Carlo Benedetti

Ha visto e vissuto - da vero passeggero del tempo - tutti gli sconvolgimenti storici, politici, culturali e sociali della vecchia Europa nel secolo folle. Testimone e scrittore nato nel cuore del continente e poi lanciatosi nel vortice della intellighentsija mitteleuropea. Ora di questo grande personaggio della storia e della politologia dei nostri secoli restano le opere e le memorie che aumentano in modo vertiginoso il suo prestigio, la sua autorevolezza. Francois (Ferenc) Fejto era nato a Nagykanizsa nel 1909, in Ungheria (tra il lago Balaton e la frontiera croata), ed è morto a Parigi all’età di 98 anni. Ne aveva cinque quando scoppiò la prima guerra mondiale e da ebreo cristianizzato ungherese (si era convertito negli anni Trenta), imparentato con grandi famiglie friulane, amico di infanzia di Rajk e Lukacs, quasi portava nella sua vita concreta tutti i simboli di quel multiculturalismo che l'impero astroungarico racchiudeva mentre aumentavano le fiamme dell’incendio generale.


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