di Mario Braconi


Secondo Yazid Sabeg, uomo d’affari francese nato in Algeria chiamato da Sarkozy a dirigere la Commissione per la diversità e le pari opportunità, “al giorno d’oggi, [in Francia] le discriminazioni basate su pretesti etnici hanno raggiunto un livello intollerabile. Occorre a questo punto misurarle per poterle meglio combattere”. Sabeg, per domare il mostro del razzismo, potrebbe essere utile rimozione del veto che attualmente impedisce alle rilevazioni demografiche francesi di acquisire dati sulla fede religiosa e sull’origine etnica dei cittadini. Dal punto di vista scientifico, l’idea non è inaccettabile: in fondo si tratta di un principio illuministico, coerente con una visione del mondo in cui il progresso scientifico è la base su cui costruire il progresso sociale.

di Michele Paris


Il colpevole silenzio dell’amministrazione Obama ha accompagnato il recente ritiro della candidatura a guidare il Consiglio Nazionale di Intelligence da parte dell’ex ambasciatore americano in Arabia Saudita, Charles W. “Chas” Freeman. Un’inerzia aggravata dal fatto che a far naufragare la candidatura dello stimato diplomatico sono state le reazioni stizzite di influenti lobby pro-Israele e di parlamentari di entrambi gli schieramenti, inquietati dalle posizioni anti-israeliane espresse dallo stesso Freeman. Se il nuovo inquilino della Casa Bianca non è stato in grado di fronteggiare i falchi di Washington per difendere una voce critica della politica statunitense in Medio Oriente, sembrano più che legittimi i dubbi sollevati da più parti circa le effettive possibilità del presidente di imporre il proprio punto di vista nei confronti del nascente governo israeliano di Benjamin Netanyahu e Avigdor Lieberman.

di Rosa Ana De Santis


Ratzinger parte per l’Africa il prossimo 17 marzo. Andrà in Angola e in Camerun per abbracciare l’immenso continente nero. Una visita di alto valore simbolico con in testa l’unico fine di annunciare l’avvento custodito nel messaggio evangelico. La novella riconciliatrice del Cristo in un paese tormentato da divisioni e conflitti permanenti. La Chiesa non lavora a obiettivi politici, economici o sociali. A cuore ha soltanto il messaggio di fede e di conversione. Questo dichiara il papa alla prima pagina del suo diario di bordo. Sua Santità non ha visto o non ricorda le memorie dell’Africa e le sue cronache cariche di ingiustizia. Non ha ascoltato una parola dei suoi più fidi colleghi e non ricorda nemmeno più i suoi comizi domenicali. Così pare.

di Eugenio Roscini Vitali


Contro le manifestazioni organizzate nelle province di Sindh e Punjab dalla Lega musulmana-N, il presidente Asif Ali Zardari usa il pugno di ferro e, tanto per far capire che in Pakistan la musica non è cambiata, applica la Section 144, la norma che vieta a più di quattro persone di dar vita ad ogni forma di assembramento pubblico e limita il diritto di protesta. Vietata la lunga marcia che si oppone al verdetto della Corte suprema che dallo scorso 25 febbraio ha interdetto dalla vita politica il capo dell’opposizione Nawaz Sharif e suo fratello Shahbaz; limitata la loro libertà di movimento e fermati molti esponenti del partito, tra cui Raja Zafarul Haq; arrestati più di mille tra attivisti, difensori dei diritti umani e avvocati che chiedono il reinserimento dei giudici sospesi dall’ex presidente Pervez Musharraf; irruzioni della polizia nelle abitazioni di molti esponenti dell’opposizione, compresa quella del leader del partito Tehreek-e-Insaaf, Imran Khan, e di una famosa attivista per i diritti umani che da tempo lavora per l’indipendenza del sistema giuridico, Tahira Abdullah.

di Michele Paris


Tra le pieghe del bilancio federale per il 2009, licenziato con grande ritardo dal Congresso americano qualche giorno fa, è stata approvata una norma che favorirà gli spostamenti di persone e gli scambi commerciali verso Cuba. Anche se è stato necessario l’intervento del Segretario al Tesoro Tim Geithner per assicurare due senatori recalcitranti che la sostanza degli attuali rapporti tra i due paesi non cambieranno, le misure adottate – che cesseranno peraltro a fine settembre – appaiono a molti come un primo timido passo verso un disgelo a poco più di un anno di distanza dall’abbandono ufficiale della guida dell’isola caraibica di Fidel Castro. La palla passa ora alla Casa Bianca, da dove si attende che Barack Obama mantenga la promessa fatta in campagna elettorale di muoversi verso una normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Cuba.


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