di Carlo Benedetti

A Mosca i “russi-sovietici” della vecchia nomenklatura comunista lo ricordano per quel lavoro “fondamentale” intitolato “L’insegnamento di Lenin nell’esperienza e nella prospettiva del Pci”. Un intervento del 22 aprile 1970 pronunciato nel corso di una seduta pubblica del Cc del Partito comunista e ripreso immediatamente dall’agenzia di Mosca, Tass: tradotto e riprodotto. E sempre a Mosca si ricordano altre tappe come la visita in Ungheria avvenuta nel 2006 dopo aver manifestato, nel 1956, posizioni filosovietiche. Ora tutto questo è alle spalle. E per il presidente Giorgio Napolitano il viaggio delle prossime ore a Mosca e a San Pietroburgo - su invito del capo del Cremlino Dmitry Medvedev - sarà un fatto epocale anche per il fatto che sarà la prima volta che un presidente italiano (che i russi ricordano come “comunista”) arriverà in una Russia che non è più sovietica e che, anzi, fa dell’antisovietismo e dell’anticomunismo la sua ideologia.

di Valentina Laviola

“Good news for people in Darfur”. Così i gruppi ribelli hanno salutato la notizia, ormai confermata dal dipartimento di Stato americano e da fonti Onu e diplomatiche, che il procuratore generale del tribunale delle Nazioni Unite, il magistrato argentino Luis Moreno-Ocampo, emetterà lunedì un mandato d’arresto nei confronti del presidente sudanese al-Bashir. Le prove a carico saranno presentate ai giudici dell’Aia, i quali, se le riterranno sufficienti, dovranno incriminarlo ufficialmente entro un paio di mesi. I reati ipotizzati sono genocidio e crimini contro l’umanità. La reazione di Khartoum non si è fatta attendere e il mandato d’arresto è stato già definito un “piano criminale”. L’ambasciatore sudanese presso le Nazioni Unite, ‘Abdalmahmoud ‘Abdalhaleem Mohamad, ha dichiarato che “Moreno-Ocampo gioca con il fuoco....accusare il simbolo dell’autorità nel nostro paese è una faccenda seria e ci saranno gravi ripercussioni”. Se l’incriminazione dovesse divenire ufficiale, al-Bashir - generale che salì al potere con un colpo di stato nel 1989 - sarebbe il primo Capo di Stato in carica a sedere davanti ai giudici del Tribunale dell’Aia.

di Ilvio Pannullo

Quando si finisce di vedere Zero si rimane quasi impietriti. Ci si riscopre persi tra l’incredulità per quello che si è visto e l’impotenza di reagire. Quando si finisce di vedere Zero si riscopre la voglia di parlare, di confrontarsi, ma è l’angoscia a dominare la scena. L’angoscia di quanti si fermano a ragionare sulle conseguenze di una simile affermazione: quanto ci è stato detto dalla commissione ufficiale sui fatti dell’ 11/9 è un falso. E’ questa, infatti, la dura realtà dei fatti che siamo chiamati ad affrontare. E questo non certo per quello che il film dovrebbe lasciar intendere attraverso supposizioni e teorie, secondo quanto sostenuto da quanti sono soliti abdicare ad un vaglio attento delle critiche semplicemente nascondendosi dietro il termine “complottisti”, ma quanto piuttosto per le ineludibili certezze scientifiche che sono emerse dopo oramai quasi 7 anni di lavoro. Dopotutto è stato lo stesso George J. Tenet, direttore della CIA dal 1997 al 2004, a dire: “Solo un ingenuo può credere che gli attentati dell’11/9 siano stati opera di 19 dirottatori suicidi”.

di Michele Paris

Stanno suscitando non pochi malumori tra i suoi sostenitori le recenti prese di posizione di Barack Obama su alcune questioni al centro del dibattito politico statunitense, questioni che sembrano delineare una svolta moderata in vista delle elezioni presidenziali di novembre. Che la nuova strategia del Senatore dell’Illinois, peraltro già difficilmente inquadrabile in rigidi schemi ideologici, segua l’esempio di molti dei precedenti candidati democratici alla Casa Bianca, quasi costretti a fare appello agli elettori di centro durante la campagna elettorale una volta conquistata la nomination del proprio partito, è fuori discussione. Tuttavia, le sue recenti dichiarazioni sull’Iraq, sulle sentenze della Corte Suprema circa il possesso di armi e la limitazione della pena di morte, nonché il suo avvicinamento agli evangelici, rischiano di far affievolire almeno in parte l’entusiasmo che era riuscito a sollevare nella prima fase delle primarie, soprattutto tra i giovani americani sedotti dalla promessa di cambiamento.

di Michele Andalini

“Io penso che non debba essere rilasciato perché è stato un alto funzionario e leader nel regime della ex Kampuchea Democratica. La gente vuole che venga processato. Se ha commesso dei crimini, è legittimo che sia giudicato”. Sono i giovani studenti universitari che, insieme a gente comune, protestano e si accalcano al di fuori dei locali del Tribunale per i crimini dei Khmer Rossi vicino Phnom Penh. Ieng Sery, 82 anni, ex Ministro degli Esetri dei Khmer, tramite i suoi avvocati ha fatto sapere di non essere processabile in quanto già graziato dal Re Norodom Sihanouk nel 1996, e dunque il suo sarebbe un caso di “double jeopardy”, di un reato già giudicato. Accusato di crimini contro l’umanità e crimini di guerra, Sary si è dichiarato anche malato e i suoi avvocati si sono appellati al giudice della corte perché sia liberato il prima possibile. Certo che di anni ne sono passati e l’età di questo criminale è indiscutibile; ma liberare quest’uomo - che ha ricevuto la grazia secondo il codice cambogiano per aver spinto i suoi sostenitori e compagni Khmer ad unirsi alle forze governative - agli occhi di molti appare come una sconfitta del diritto internazionale ed un fallimento della Corte voluta dall’Onu.


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