di Elena Ferrara

L’Iran di Mahmud Ahmadinejad esporterà uranio e, poi, lo rimporterà “arricchito”. Il punto di arrivo di questa operazione internazionale - che dovrebbe tendere ad attenuare la complessa crisi iraniana in vista di risposte definitive - sarà la Svizzera. Poi, sempre sotto il controllo dell’Aiea, Teheran riavrà il “prodotto” e potrà continuare con tranquillità i suoi programmi. Tutto, per ora, è sulla carta e la questione, ovviamente, necessita di maggiori approfondimenti. Con il Board dell’Aiea che si è trovato ? Vienna per un esame delle diverse angolature della situazione. Ed è appunto nella capitale austriaca che l'alto rappresentante della politica estera ? della sicurezza comune dell'Unione ?ur????, Javier Solana, ha reso noto che il 30 novembre farà il punto ? Londra ??n il ???? negoziatore sul nucleare iraniano, Said Jalili. I due, quindi, esamineranno le possibilità relative all'ipotesi di arricchire l'urani? in centri ad hoc all'estero sotto sorveglianza internazionale. In tal senso Solana è stato estremamente preciso: «Oggi - ha detto - l'Unione ?ur???? è nella posizione migliore per avviare l? riflessione necessaria ? fare proposte concrete approfittando del fatto che da qualche tempo circola l'idea di centri internazionali di arricchimento dell'urani?, sotto sorveglianza internazionale.

di Carlo Benedetti

I russi che vanno alle urne il prossimo 2 dicembre per eleggere il nuovo Parlamento (la Duma) arrivano all’appuntamento (considerato come una vera e propria prova generale in vista delle presidenziali dell’anno prossimo) consapevoli di una situazione particolare. Da un lato vivono in una crisi generale che va dall’economia familiare alle condizioni sociali, dal caos del pluripartitismo al potere degli oligarchi; dall’altro si trovano a dover constatare che il Cremlino va, a poco a poco, assumendo un volto autoritario che spinge indietro l’orologio della vita locale. Piaccia o no, questo è il quadro che ci si presenta. Il Presidente Putin, classe 1952, dopo una serie di rimpasti governativi ed istituzionali cerca di garantirsi un vitalizio politico dal Cremlino pretendendo di manovrare a suo piacimento la vita del Paese. Si è organizzato mettendosi accanto una schiera di fedeli (allievi del vecchio Kgb e amici d’infanzia nella Leningrado sovietica) e dando vita ad un suo partito, che si avvale anche dell’apporto di pionieri-balilla-avanguardisti che si vanno mobilitando in qualità di agit-prop. Intanto - sempre su ordine del presidente - gli oppositori (i “dissidenti” di oggi) sono braccati, picchiati e arrestati. Tanto che l’Osce frena la missione che doveva portare in Russia i suoi osservatori per monitorare lo svolgimento delle elezioni.

di Giuseppe Zaccagni

Da Baden in Austria - dove per la questione del Kosovo si è riunita la trojka dei mediatori degli Usa, dell’Unione europea e della Russia - arrivano notizie che segnano, in negativo, lo stallo delle trattative. E tutto, di conseguenza, producendo instabilità, disordine e disgregazione, slitta verso un nuovo e breve periodo di consultazioni: prima del 10 dicembre quando il rapporto sullo stato della situazione dovrà arrivare sul tavolo del segretario delle Nazioni unite Ban Ki-moon. Fase finale, quindi? Punto di arrivo? Momento di scelta? Per ora c’è solo da registrare un’intesa sul non accordo con dichiarazioni di questo genere: “La Serbia non permetterà l’usurpazione di un millimetro del suo territorio” dichiara il presidente del governo della Repubblica di Serbia Vojislav Kostunica. “Il Kosovo non intende essere ostaggio degli avversari dell'indipendenza” risponde il presidente albanese-kosovaro Fatmir Sejdiu il quale fa notare che le posizioni delle parti - e cioè Belgrado e Pristina - “sono il più lontane possibile” e lancia, di conseguenza, una seria minaccia per la stabilità europea. Kostunica ribatte sottolineando che le trattative si chiuderanno solo davanti al Consiglio di sicurezza a New York: “E’ lì - dice - che sono cominciate ed è lì che devono concludersi”.

di Agnese Licata

Quando si dice: un marchio, una garanzia. Sul marchio - la firma in questione è quella di Geoffrey D. Miller - è lecito aspettarsi un po’ di tutto, ma mai niente di buono. Non sorprende, infatti, che in calce al documento destinato ai carcerieri di Guantanamo, ci sia proprio il suo nome. Nominato alla fine del 2002 comandante di una prigione al di sopra di tutte le leggi, costretto alla pensione nel 2006 dopo un’infinità di polemiche sulle variegate torture denunciate da alcuni ex prigionieri, Miller è passato alla storia per i risultati ottenuti ad Abu Ghraib, in Iraq. Risultati ampiamente documentati da foto scandalose, soprattutto per una nazione che si è data il ruolo di guida democratica del mondo. Risultati che a Miller hanno fruttato una medaglia al merito, la Distinguished Service Medal, a testimoniare il suo ruolo di “innovatore”. Del resto, come negare il carattere innovativo di molti dei metodi elencati nelle 238 pagine dirette a Cuba e datate 28 marzo 2003, poco dopo l’inizio della guerra in Iraq? Da alcuni giorni a questa parte, grazie a un sito – wikileaks.org – e a un cybernauta che ha scovato, postato e reso pubblico questo documento, le tecniche utilizzate a Guantanamo per convincere i detenuti a collaborare durante gli interrogatori sono sotto gli occhi di tutti. E lo rimarranno ancora, dato che la richiesta del Pentagono di censura è stata respinta dal sito.

di Luca Mazzucato


Una sorpresa dell'ultimo minuto nell'Accademia navale di Annapolis dà il via alle danze della conferenza di pace. Cinque minuti prima del discorso di Bush, il presidente dell'ANP Abbas e il premier israeliano Olmert raggiungono un'intesa su un documento inaugurale. Un George W visibilmente soddisfatto legge la dichiarazione: Israele e ANP si impegnano a raggiungere un accordo di stato finale entro la fine del 2008, cominciando il 12 dicembre prossimo. Olmert ha corretto il tiro subito dopo dichiarandosi scettico sulla effettiva conclusione entro il 2008. È possibile che questa dichiarazione iniziale sarà anche l'unico risultato del notevole sforzo diplomatico messo in campo dagli Stati Uniti: indire una conferenza per convocare conferenze future, in un nuovo gioco di rimpalli mediatici. Anche se nessun risultato viene raggiunto sul campo, l'importante è mostrare di essere “impegnati nella risoluzione del conflitto.” Con uno slancio di entusiasmo, Putin ha capito il trucco e si è subito candidato per ospitare la prossima conferenza di pace da tenersi in primavera a Mosca.


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