di Michele Andalini

E’ proprio il caso di dire che c’è poco da ridere. Sì perché hanno arrestato anche lui, il più celebre comico e attore birmano Maung Thura, in arte Zarganar, già noto per essere stato detenuto tre settimane a settembre del 2007 per aver sostenuto la rivolta dei monaci buddisti nella loro protesta antigovernativa. Ne ha dato notizia settimana scorsa la famiglia dell’attore, detenuto nel famigerato carcere Insein di Rangoon, dopo aver tentato anche lui, insieme a diversi altri donatori privati birmani, di portare aiuto alla popolazione civile dopo che il devastante ciclone Nargis ha distrutto le coste birmane e il delta del fiume Irrawaddy. La giunta militare parla di 78 mila vittime accertate e circa 56 mila dispersi. Secondo le Nazioni Unite 1 milione di persone ha tutt’oggi bisogno di cibo, assistenza medica e un tetto. Ma la conta delle vittime è difficile, perché il territorio su cui si è abbattuto il ciclone è molto ampio e la popolazione che vi abita vive in casette di legno o palafitte, approssimative e sparse senza un nucleo centrale vero e proprio.

di Eugenio Roscini Vitali

“Go Musharraf, go!”; è questo il grido che risuona per le vie di Lahore, Karachi, Rawalpindi, è questo lo slogan che migliaia di dimostranti inneggiano per le vie della capitale, è quanto i deputati della maggioranza chiedono a gran voce. L’ex generale però non molla e mentre il Paese scivola inesorabilmente verso la paralisi istituzionale lui resta aggrappato al potere, deciso a resistere, quasi certo che nulla potrà scalfire la sua immagine di leader. Musharraf non sembra scomporsi neanche di fronte all’oceanica dimostrazione organizzata dagli avvocati pakistani, decine di migliaia accorsi da ogni angolo del Paese per manifestare contro il presidente e per chiedere la riammissione dei giudici sospesi dal loro incarico prima delle elezioni dello scorso febbraio. Nonostante l’esercito abbia creato un cordone di sicurezza che comprende la residenza presidenziale, il Parlamento, la Corte suprema e il quartiere delle ambasciate, ad Islamabad la situazione rimane comunque tesissima: la scorsa settimana un attacco suicida contro la missione diplomatica danese aveva causato la morte di sei persone.

di Elena Ferrara

Il “no” irlandese scotta ancora e subito si profila all’orizzonte un nuovo e possibile “no”. Piccolo, anzi piccolissimo, ma pur sempre un “no”. Viene da una regione quasi sconosciuta e precisamente dall’arcipelago delle isole Aland (6.500 abitanti tra scogli e isolotti nel cuore del mar Baltico, regione autonoma, demilitarizzata) che si prepara a non ratificare il testo di riforma delle istituzioni europee per protestare contro le istituzioni di Bruxelles. L’accusa che viene dagli isolani (quasi tutti di madrelingua svedese) può sembrare banale, ma è destinata - proprio in questo particolare momento - a cadere sull’Unione Europea come un macigno. Il fatto è che nell’arcipelago, ora interessato al referendum sull’Ue, la protesta è notevole: tutti sono contro le istituzioni di Bruxelles ritenute “irrispettose” degli interessi degli abitanti. Nessuna motivazione geopolitica o geostrategica, no. Il fatto è che a Brando, la “capitale” si stanno scatenando sempre più le ire delle popolazioni dell’intero arcipelago - Lemland, Sund e Geta - contro la decisione dell’Ue di vietare l’uso e il commercio dello “snus”.

di Carlo Benedetti

Il presidente americano George W. Bush, già pronto a cambiare casacca dopo la consultazione del prossimo novembre, chiude la sua campagna acquisti nella vecchia Europa. Scalda i motori dell’Air Force One e si prepara a sistemare negli archivi quel poco che ha raccolto nell’ultima fase diplomatica in aree geopolitiche che stanno sempre più sfuggendo al controllo statunitense. In questi giorni ha passato in rassegna paesi e gruppi dirigenti, politiche e strategie, progetti e idee con un tentativo di decifrare un mondo che non mostra più piattaforme comuni. Ha raccolto ben poco. C’è stato, comunque, l’onore delle armi che i suoi alleati gli hanno riservato a tutti i livelli. Due, comunque, le benedizioni. L’ultima, in ordine di tempo, quella in Vaticano da Benedetto XVI e impartita a rate: prima alla Torre di San Giovanni e poi nello studio papale. Colloquio faccia-a-faccia, ma non si è compreso chi fosse “Dio in terra”. E, tra l’altro, i fedeli non hanno avuto modo di ascoltare le rivelazioni e gli annunci.

di Marco Montemurro

Il più grande sindacato britannico “Unite” e il sindacato americano “United Steelworkers” hanno annunciato un accordo per la nascita della prima organizzazione dei lavoratori intercontinentale. Si terrà a Las Vegas l’incontro per delineare la nuova formazione, città da dove prenderà il via la globalizzazione, questa volta non dei mercati, ma delle lotte dei lavoratori. Di fronte all’avanzare delle multinazionali i sindacati intendono superare i confini nazionali per poter agire su scale mondiale. La nuova sigla infatti è considerata dai promotori un primo passo verso la creazione di un sindacato globale nel quale potranno far parte in futuro anche le organizzazioni dei lavoratori dei paesi emergenti nell'est Europa, in America Latina e in Asia. “Unite” rappresenta oltre due milioni di lavoratori britannici e irlandesi e la “United Steelworkers”, con circa 850.000 iscritti, è radicata soprattutto nell’industria siderurgia e manifatturiera in America e Canada.


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