di Eena Ferrara

I test atomici - per i quali sono spesi miliardi e miliardi - continuano, mentre i danni provocati dalle alluvioni aumentano di giorno in giorno. Ma il regime nordcoreano di Pyongyang fa finta di niente e cerca di nascondere la vera tragedia. Perché il paese è alla fame. E l’Onu lancia l’allarme: su una popolazione totale di 23 milioni - quella che vive a nord del 38mo parallelo - la fame sta divorando circa 7 milioni di abitanti. Le notizie che arrivano dal regno del silenzio coreano sono impressionanti ed assurde. Il governo locale (che continua a presentare il paese come uno Stato multipartitico guidato secondo l'ideologia politica dello “Juche”, ovvero dell'autosufficienza) non accetta interferenze e insiste negli sprechi propagandistici. Nessuna apertura di credito nei confronti dell’occidente o della vicina Cina. Le statue dei “padri della rivoluzione” continuano ad essere costruite in ogni località e sono sempre più grandi, più alte e realizzate con materiali preziosi.

di Luca Mazzucato

Una riunione in un luogo segreto a Damasco, senza giornalisti e sotto strette misure di sicurezza: l'ex presidente americano Jimmy Carter ha incontrato Khaled Meshal, leader di Hamas in esilio in Siria. I due hanno discusso per cinque ore a porte chiuse di tutti i punti scottanti del conflitto israelo-palestinese: il controllo dei confini di Gaza, il negoziato per la liberazione del soldato rapito Gilad Shalit, la fine dell'embargo che Israele impone da dieci mesi alla Striscia, un cessate-il-fuoco tra Israele e Hamas a Gaza. L'incontro è il culmine del viaggio di Carter, che come un tornado sta attraversando il Medioriente per rompere lo stallo in cui si sono arenate le iniziative diplomatiche. “Non v'è alcun dubbio che, se Israele vorrà raggiungere pace e giustizia nelle relazioni con i vicini Palestinesi, Hamas dovrà essere incluso nel processo.” Con questa dichiarazione d'intenti, Carter ha creato il subbuglio nell'amministrazione americana e nel governo israeliano, la cui strategia di isolare Hamas sembra forse mostrare qualche cedimento.

di Michele Paris

Con 7 voti a favore e 2 contrari, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha confermato la costituzionalità del procedimento utilizzato dallo Stato del Kentucky nella somministrazione dell’iniezione letale per le esecuzioni capitali. Il caso in questione (“Baze contro Rees”) era stato avviato lo scorso anno dai legali di due detenuti nel braccio della morte in Kentucky, Ralph Baze e Thomas C. Bowling, i quali avevano sollevato dubbi circa la conformità all’Ottavo Emendamento della Costituzione, che vieta di infliggere ai condannati punizioni inutilmente crudeli e dolorose, del metodo con cui viene eseguita tale condanna. In attesa del pronunciamento del supremo tribunale americano, negli ultimi mesi si era assistito ad una moratoria di fatto di tutte le condanne a morte, situazione che aveva alimentato le speranze di quanti si auguravano un passo importante verso la definitiva abolizione della pena capitale negli USA. Nonostante il parere dei giudici dia invece il via libera alla ripresa delle esecuzioni, tra le pieghe della sentenza è possibile tuttavia cogliere qualche segnale di speranza.

di Carlo Benedetti


Ignoriamo le gaffes berlusconiane, mettiamo da parte le passerelle da varietà anni ’50, lasciamo ai diplomatici il giudizio su quanto avvenuto nel teatrino di Villa Certosa nella Costa Smeralda, stendiamo un velo sulla “mitragliata” del nostro Cavaliere in direzione della giornalista russa Natalia Melikova, della Nezavisimaya Gazeta, che ha trovato la forza per chiedere al suo Putin notizie in merito alle (eventuali) storie d’amore con la affascinante campionessa di ginnastica artistica (ora onorevole alla Duma) Alina Kabaeva. Entriamo, invece, nella politica e nei rapporti bilaterali Russia-Italia. Cominciamo con Putin. Il personaggio ha lasciato alle spalle la presidenza e si sente già (senza che nessuno lo abbia eletto) premier di una Russia completamente assoggettata al volere del Cremlino. E così comincia la sua nuova campagna acquisti con l’obiettivo di realizzare un impero di tipo nuovo, tutto economico. Pensa infatti - e non da ora - al ruolo che dovrà avere quella piovra industriale e commerciale che si chiama “Gazprom” e che si sta estendendo in ogni continente.

di Elena Ferrara

Uno scrittore che denunciava le gesta della malavita locale eliminato a colpi di pistola, un boss dell’industria nucleare implicato in grandi affari internazionali, un ministro dell’Interno che si dimette mentre la magistratura l’accusa di collusione con la criminalità organizzata, un “uomo d’affari” che nuota nel mare della mafia locale aiutato da banche e banditi… E’, in sintesi, il teatro di una Bulgaria che in questi giorni vede riemergere con forza e con sempre maggiore prepotenza la sua mafia mentre si alza lo scontro a livello politico. E l’allarme scatta non solo nel vertice di Sofia, ma anche negli ambienti comunitari di Bruxelles, che chiedono ai bulgari di adottare misure immediate per combattere la criminalità, condizione che era stata posta come essenziale all'ingresso nell'Ue nel 2007. Ma la Bulgaria non è riuscita a rispettare le regole proprio per il fatto che il sistema era corrotto all’inizio e che, col passare del tempo, si è andato sempre più caratterizzando per i suoi rapporti mafiosi. Ed ecco l’escalation delle ultime ore che aggiunge nuovi e drammatici dati alle statistiche ufficiali.


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