di Luca Mazzucato


Dopo una settimana di scontri cruenti, che hanno lasciato sul campo un centinaio di vittime, finisce la guerra civile nella Striscia di Gaza: il movimento islamico di Hamas sbaraglia le milizie di Fatah, facendo saltare in aria il loro quartier generale a Gaza City. Gli uomini di Fatah sono in fuga dalla Striscia, mentre lentamente torna la normalità per le strade di Gaza, dopo un anno di scontri armati. In West Bank, il presidente dell'ANP Abu Mazen scioglie il governo di unità nazionale di Haniyeh e tenta il colpo di stato, formando un nuovo governo con a capo Salam Fayyad, uomo di fiducia dell'amministrazione americana, mentre a Gaza rimane in carica il premier di Hamas. Bush riconosce subito il nuovo governo palestinese di Fatah e decide di rimuovere l'embargo all'ANP, in vigore dalla vittoria elettorale di Hamas lo scorso anno, con lo scopo di trasferire soldi e armi a Fatah in West Bank. Negli ultimi giorni di caos, La Repubblica e il Ministero degli Esteri diffondono la notizia che tutti i cooperanti italiani sono stati evacuati dalla Striscia: una menzogna per non irritare la diplomazia israeliana, perché nella Striscia è ancora presente Meri, una cooperante italiana a cui le forze di Occupazione hanno rifiutato l'ingresso in Israele e che si trova ancora imprigionata a Gaza.

di Carlo Benedetti

La Russia cambia bandiera. E’ una decisione ufficiale e la vecchia insegna nazionale – rosso sangue e falcemartello in oro, che era restata privilegio dell’Armata – entra nelle vetrine dei musei come una reliquia. Lo ha deciso (con un diktat che farà discutere) il capo del Cremlino Putin il quale, con le sue continue giravolte, cerca di accontentare i nazionalisti, i monarchici e tutti i revisionisti che abitano in Russia. Bandiera rossa, quindi, addio. La storia ricorderà che nel 1848 era stata innalzata dal popolo di Parigi sulle barricate e che poi, nel 1871, i comunardi l’avevano elevata a simbolo nazionale della rivoluzione. Nell’Unione Sovietica era arrivata nel 1917 divenendo bandiera nazionale, pansovietica. Aveva accompagnato i soldati dell’Urss sino a Berlino. Aveva ornato la capsula spaziale di Gagarin ed era stata sempre alla testa delle parate civili e militari sulla piazza Rossa. Ed ora punto e fine. Lo annuncia a tutta pagina (anche con una certa ironia) il quotidiano moscovita Izvestija che così titola: “La bandiera zarista al posto di quella sovietica”.

di Elena Ferrara

Ora è alla sbarra. Si chiama Charles Taylor. Ha 59 anni. Di professione “massacratore di popoli” (con un master in economia nel Massachusetts negli Stati Uniti) e allo stesso tempo “Presidente della Liberia”. Per cinque anni, dal 1997 al 2002 ha seminato il terrore (50.000 vittime) sia nel suo paese che in Sierra Leone. E' accusato di aver sostenuto i ribelli che per undici anni hanno devastato il paese uccidendo o menomando migliaia di civili. Ora il Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, così commenta l’avvio del processo: “E’ una giornata significativa per la comunità internazionale perché rappresenta un contributo nella lotta contro l’impunità non solo nell'Africa occidentale, ma nel mondo intero». Quali, quindi, i motivi che hanno portato questo ex presidente dinanzi ad un Tribunale internazionale? Nell'atto d'accusa la Procura recepisce una stretta connessione tra la guerra civile in Liberia e quella in Sierra Leone, entrambe legate al commercio illegale dei diamanti e di altre materie prime delle quali i due Paesi sono ricchi: commercio che ha garantito ingenti entrate nelle casse dei signori della guerra e dei commercianti internazionali di armi.

di Bianca Cerri

Ronald Reagan morì il cinque agosto 2004. La ricorrenza è caduta proprio mentre George Bush era in Europa, e i suoi funerali sono stati celebrati molti giorni dopo proprio per dare tempo al presidente di tornare negli Stati Uniti. Nel frattempo, è iniziata una campagna mediatica tesa a pennellarne l’immagine fino a trasformarla in quella di un eroe. In realtà, Reagan non fu altro che l’espressione peggiore di un’America guerrafondaia all’estero e patriarcale e razzista all’interno; che segregava le donne con il pretesto di proteggerle e sottometteva con la forza i migranti che osavano oltrepassare i suoi confini. Come ha osservato un grande poeta, ci sono uomini simili ai porcospini, che sanno essere furbi solo quando conviene. Il segreto di Ronald Reagan fu tutto qui, nel saper capitalizzare a proprio vantaggio lo scontento del suo paese. Tutti gli attribuiscono oggi doti oratorie che in realtà non ebbe mai. Sono semmai le sue gaffes, che lo resero celebre in tutto il mondo. L’uomo era dotato, soprattutto, di una crassa ignoranza riguardo i temi con i quali un uomo di stato dovrebbe avere confidenza; ma forse proprio questa fu in qualche modo la sua fortuna.

di Raffaele Matteotti

Era Natale quando l’Etiopia cominciò l’invasione della Somalia su richiesta degli USA. Il dittatore etiope Zenawi giustificò l’invasione con il timore di una invasione dell’Etiopia da parte degli islamici somali; una scusa simile nella sostanza a quella delle armi di distruzione di massa per l’Iraq. L’Etiopia è la potenza militare regionale, un paese di sessantacinque milioni di abitanti che aveva ben poco da temere dalle forze somale, forze che peraltro a malapena controllavano parte della Somalia e che non pensavano certo, neppure nei sogni dei più malmessi, di attaccare l’Etiopia. Era capodanno, quando Zenawi espresse la volontà di ritirare le sue truppe in modo che potessero essere sostituite da quelle dell’Unione Africana; truppe che dovevano essere composte da ottomila uomini di diversi paesi, ma che alla fine si sono materializzate in poco più di mille soldati dell’Uganda, uno di quei paesi retti da un autocrate che con Bush va d’amore e d’accordo. Degli altri nessuna traccia, nemmeno di quelli che alcuni stati si erano impegnati ad inviare.


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