di Agnese Licata

Venerdì scorso, il giorno stesso in cui a Milano iniziava il processo sul sequestro di Abu Omar, al Consiglio Europeo spuntava fuori un rapporto a confermare il coinvolgimento diretto dell’Italia nella pratica - targata stelle e strisce - di sequestrare terroristi o presunti tali. Secondo quanto spiegato dal relatore svizzero Dick Marty, il 4 ottobre 2001, all’indomani dell’attentato alle Torri Gemelle, Gli Stati Uniti proposero agli alleati della Nato – tra i quali anche l’Italia - una serie di accordi per garantire il via libera di tutti i Paesi aderenti alle proprie operazioni clandestine anti-terrorismo. In particolare, durante quella seduta il Consiglio Atlantico (convocato per discutere di come contrastare l’attacco di al-Qaeda) approvò un’intesa con Washington in otto punti. Unico lo scopo: garantire totale libertà di movimento ai voli della Cia. Voli definiti esplicitamente “militari”, in quanto diretti a combattere una guerra senza fronti e confini nazionali. Secondo gli accordi, il via libera era garantito non soltanto agli aerei dell’aeronautica, ma anche a qualsiasi volo civile, magari con agenti della Cia in borghese diretti a prelevare e interrogare una rendition, una “consegna speciale” come l’ex imam di Milano. Non solo. I vari Paesi Nato decisero di mettere a disposizione degli americani porti e aeroporti per rifornimento e supporto logistico.

di Carlo Benedetti

Con l’Air Force One sette paesi in sette giorni. E’ il giro che Bush – tra baci, contestazioni e preoccupazioni - ha compiuto dal 4 all’11 giugno in Europa. Prima tappa quella di Praga, capitale della Repubblica Ceca (con il presidente Vaclav Klaus),; poi un volo nella Germania di Heiligendamm e della Merkel, per il G8. Quindi una rapida incursione a Danzica (con il premier polacco Kaczynski) e poi Roma (con Prodi e Napolitano), in Vaticano (con il papa tedesco Ratzinger), a Tirana (con il presidente Berisha) e, infine, Sofia (con il presidente Parvanov ed il premier Stanishev). Completata la tournee i grandi e Bush tirano le somme. Il presidente americano alla Casa Bianca e Putin al Cremlino dove convoca gli uomini che lo assistono in questa stagione di rapporti tempestosi. Cosa risulta, quindi, da questo panorama europeo? Messi da parte gli scontri ideologici (tradizionali) risulta ancora una volta che il diktat generale viene dagli Usa che continuano a ritenere il vecchio continente come una parte dei loro Stati Uniti. E, precisamente, Stati Uniti d’Europa come vere filiali della casa-madre.

di Luca Mazzucato


Il sindacato di ricercatori inglesi UCU ha lanciato a fine maggio una campagna per il “boicottaggio di tutte le istituzioni accademiche israeliane” nel quarantennale dell'Occupazione di Gaza e della West Bank, seguendo la precedente iniziativa dei giornalisti inglesi. Nel Regno Unito si sta allargando il fronte del boicottaggio, arrivando a coinvolgere persino la Chiesa anglicana, mentre il Sudafrica, che subì l'embargo ai tempi dell'apartheid, segue l'esempio inglese. Il governo israeliano denuncia il ritorno dell'antisemitismo in Europa e minaccia di lanciare negli USA una contro-campagna per il boicottaggio dei prodotti britannici. Il boicottaggio delle università è un argomento molto controverso, poiché spesso è proprio in questi luoghi che si dà voce al dissenso. La notizia ha turbato profondamente gli accademici di etnia ebraica, mentre la maggior parte dei palestinesi-israeliani, sia studenti che professori, appoggiano la mossa, facendo notare che le università palestinesi sono di fatto completamente isolate a causa dell'Occupazione, quando non persino attaccate o bombardate dall'esercito israeliano. Il tutto nella totale indifferenza dell'opinione pubblica e in particolare nel silenzio delle istituzioni universitarie israeliane, che invece sostengono attivamente le colonie nei Territori.

di Eugenio Roscini Vitali

Gli avvocati che rappresentano i 6mila parenti delle vittime di Srebrenica hanno annunciato che chiameranno in giudizio le Nazioni Unite e l’Olanda, accusate di essere state in parte responsabili della morte dei circa 9mila musulmani massacrati nel luglio del 1995 dalle truppe serbo-bosniache guidate dal generale Ratko Mladić. La notizia, pubblicata dalla Reuters, precisa che i rispettivi rappresentanti del governo olandese e dell’Onu dovranno comparire davanti al tribunale distrettuale dell'Aja. Nel documento di citazione, presentato il 5 giugno, i legali affermano che il governo olandese rifiutò l’autorizzazione al supporto aereo, indispensabile per la protezione dell’enclave e delle stesse truppe olandesi che, sotto mandato del Palazzo di Vetro, stavano difendendo Srebrenica. Gli avvocati Axel Hagedorn e Marco Gerritsen dello studio legale Van Diepen e Van der Kroef affermano che, poco prima della caduta dell'enclave in mani serbe, l'appoggio aereo alle truppe di terra fu ostacolato dallo stesso governo olandese. Privi di copertura aerea e sotto il fuoco delle milizie serbo- bosniache, i caschi blu lasciarono la popolazione nelle mani dei serbi di Mladić che, indisturbati, diedero il via a uno dei più sanguinosi stermini di massa avvenuti in Europa dai tempi della seconda guerra mondiale, un massacro che segnerà la vita di migliaia di persone e che verrà riconosciuto come genocidio e crimine di guerra.

di Elena Ferrara

A Sofia c’è aria di ristrutturazione politica e si può affermare che per “Sua Maesta Re Simeone di Sassonia-Coburgo-Gotha" (conosciuto anche come Simeon Sakskoburggotski) la missione in Bulgaria volge al termine. La sua nobile casata, nel 1946, fu allontanata dal paese dopo la vittoria del referendum tra monarchia e repubblica. E così nel 1955 il giovane Simeone se ne andò in Egitto,. Ma a diciotto anni, si ricordò delle origini e si autoproclamò Re della Bulgaria vivendo in Spagna sino al 2001. Poi la fulminazione. Perché non rientrare nel Paese, accettarne le nuove regole, formare un partito di nostalgici e arrivare al sospirato potere? Ottima idea. Fondò il “Movimento Nazionale Simeone Secondo” (NDSV) che vinse le elezioni parlamentari. Divenne capo di un governo di coalizione tra NDSV e DPS (Movimento per i diritti e per le libertà – minoranza turca) in cui entrarono anche alcuni rappresentanti del Partito Socialista Bulgaro (BSP).


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