di Bianca Cerri

Gli agenti CIA in forza all'antiterrorismo ormai non ne possono più della tortura: non tanto per la sofferenza che comporta, bensì per le eventuali denunce che possono derivare dall'aver violato le leggi internazionali sui diritti umani. Sottoporre prigionieri ed individui sospetti a maltrattamenti e coercizioni fisiche indegne di un paese civile, può significare dover sborsare miliardi di risarcimento. Da quando è stato approvato il Federal Tort Claim Acts, il Dipartimento di Giustizia USA non è più tenuto a rispondere del comportamento dei singoli agenti. Come dipendenti statali, la legge americana riconosce loro il diritto di usare i metodi che ritengono più opportuni nell'esercizio delle funzioni lavorative, purché questi siano "in sintonia con gli obiettivi del governo"; ma se un petulante di avvocato tira fuori le solite storie delle false confessioni estorte con la tortura, devono risponderne di persona.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Questa è una cronaca che getta luce fredda su una serie di "fatti" che si registrano nella capitale russa. E' una sorta di copione che va letto così come è: il cronista che lo descrive si attiene alle regole più elementari prendendo spunto dalla famosa regola del "Who? What? Where? When? How?". Parte dal "dove" e dal "quando", passa al "chi" e al "come" per arrivare al "perchè".
E così l'incipit è necessariamente diretto, asciutto. Con i fatti prima dei commenti. Il teatro della vicenda è Mosca con circa 10milioni di abitanti. Nodo di comunicazioni aeree e ferroviarie vitali per l'intera Russia; un porto fluviale che la collega a cinque mari; una metropolitana con oltre cento stazioni; un centro storico ricco di monumenti e di musei. L'intera realtà sociale ed urbanistica è, ovviamente, complicata e difficile da amministrare. Perchè anche qui sono esplosi, nel giro di alcuni decenni, i problemi tipici delle metropoli. Ma è a partire dal 1992 che la città si trova a vivere una nuova e sconvolgente rivoluzione.

di Luca Mazzucato

Sono tempi duri per il bilancio del Ministero della Difesa israeliano, a poche settimane dalla fine della guerra in Libano. Negli ultimi tre giorni prima del cessate il fuoco, Israele ha sganciato sul Libano del sud una quantità impressionante di bombe a grappolo. Ufficiali dell'Onu hanno denunciato la presenza di circa 350.000 bombe a grappolo inesplose, che giorno dopo giorno continuano a mietere vittime tra i profughi, che fanno ritorno tra le macerie dei villaggi a sud del fiume Litani. Il risultato di questo massiccio bombardamento è stato la trasformazione di tutta questa zona in un immenso campo minato, per la cui bonifica le truppe UNIFIL stimano un lavoro di almeno trenta mesi. Finita la guerra, il governo israeliano deve metter mano al bilancio per ripristinare l'arsenale bellico che ormai langue e, forse per un fortuita coincidenza, mercoledì le truppe di occupazione in West Bank hanno messo a segno una serie di operazioni che sarebbe difficile definire diversamente da "rapine a mano armata".

di Cinzia Frassi

"A volte mi chiedo perché siamo lì". Il riferimento è all'Iraq e le parole sono di George W. Bush. Un'affermazione che suona come una beffa, dopo che lo stesso Senato americano ha ufficializzato ciò che era da tempo innegabile, ma per alcuni versi ancora impronunciabile: non c'era alcun rapporto tra Saddam e Al Qaeda e l'intervento in Iraq è stato ed è una guerra voluta per altri motivi, non per combattere il terrorismo. All'Iraq sembra aggiungersi il fronte Iran, con il rilancio in questi giorni della seconda fase della guerra preventiva alla Bush e del mix micidiale che è stato l'intervento in Iraq e che continua ad essere: torture, carceri segrete e soprattutto falsificazioni di prove, nel tentativo di precostituirsi un alibi alla guerra preventiva al terrore. L'Iran è un altro fronte caldo. Forse il prossimo, a giudicare dal costante riproporsi da parte degli Stati Uniti di pressioni sul Consiglio di sicurezza per infliggere sanzioni a Teheran affinché sospenda tout court il suo programma nucleare. Una questione, questa, che ciclicamente riempie le colonne dei giornali nazionali e internazionali e che si concentra sul pericolo "atomico" che l'Iran, con il suo programma nucleare, costituirebbe.

di mazzetta

Con un colpo di stato non troppo a sorpresa, il generale Sonthi Boonyaratglin ha preso ieri il potere in Thailandia, defenestrando il primo ministro Thaksin.
Approfittando dell'assenza del premier, impegnato in una Assemblea dell'ONU, i militari hanno preso il potere e destituito il governo in carica. Il generale Sonthi ha comunicato che i militari manterranno il potere per non più di due settimane, affidando in seguito il governo ad un'amministrazione civile incaricata di condurre il paese fino a nuove elezioni, previste per l'anno prossimo.
Il golpe, portato a termine senza violenze e senza incontrare alcuna resistenza, ha visto i vertici dell'esercito e della polizia intervenire in nome del "bene della Thailandia" al fine di rimuovere il discusso Thaksin dopo mesi di melina istituzionale. Thaksin, salito al potere grazie ad uno stile fortemente populista, è stato spesso paragonato a Silvio Berlusconi, perché come il magnate italiano è salito al potere potendo contare sul controllo dei media dei quali è proprietario.


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