Domenica 25 Giugno si sono svolte le elezioni in Guatemala, il più popoloso e povero tra i Paesi dell'area centroamericana. Una terra che a partire dal crudele colpo di stato contro il Presidente progressista Jacobo Arbenz organizzato nel 1954 dalla CIA e dalla tristemente celebre United Fruit Company,  non ha più conosciuto pace.

Le votazioni sono state precedute da vaste mobilitazioni popolari che hanno denunciato le innumerevoli frodi e irregolarità messe in atto da istituzioni corrotte e prive di ogni credibilità, legate a triplo filo alle passate feroci dittature militari e al Dipartimento di Stato USA.

Il Governo di Washington ha messo in campo tutta la propria influenza terrorizzato dalla possibilità che un altro pezzo di ciò che veniva considerato il proprio "patio trasero", il giardino di casa degli USA, sfuggisse al loro controllo.

Il tentativo fallito di rivolta o colpo di stato del numero uno di Wagner Group, Evgeny Prigozhin, continua a far discutere sostenitori e oppositori del Cremlino circa i veri motivi dell’operazione e gli eventuali contraccolpi che potrebbero verificarsi per il governo di Vladimir Putin. Negli Stati Uniti, i fatti del fine settimana sembrano essere stati interpretati, almeno a livello pubblico, come un segno di debolezza del presidente russo. Gli eventi seguiti all’accordo che ha messo fine alla vicenda, con la mediazione del presidente bielorusso Lukashenko, non lasciano tuttavia intravedere per ora seri problemi per Putin e le forze armate russe impegnate in Ucraina. Anzi, sono in molti a credere che la sostanziale liquidazione della Wagner e del suo scomodo leader possa contribuire a stabilizzare ulteriormente il presidente russo in un frangente eccezionalmente delicato per il futuro del suo paese.

La cosiddetta marcia su Mosca di Prigozhin si è rapidamente interrotta. La mediazione del presidente bielorusso russo, amico ventennale del fondatore della Wagner e molto legato anche a Vladimir Putin, è risultata determinante. Del resto Prigozhin non aveva molte altre alternative. I combattenti della sua compagnia che lo accompagnavano non erano oltre i cinquemila su venticinquemila aderenti, ovvero altri ventimila avevano ascoltato l’appello di Putin e si erano distanziati dal loro comandante.

E' presto per un esame approfondito e dettagliato di quanto avvenuto, ma l’inizio di qualunque lettura non può prescindere da una domanda: cosa voleva ottenere Prigozhin? Davvero pensava di poter rovesciare il Cremlino con 5.000 uomini? Ce ne sono voluti 5 volte di più per aver ragione di Bakhmut in tre mesi di combattimenti.

Sulla stampa americana circola con insistenza negli ultimi giorni la notizia di un possibile imminente “mini-accordo” tra Iran e Stati Uniti per riportare un minimo di stabilità nei rapporti tra i due paesi nemici ed evitare l’esplosione di un nuovo conflitto in Medio Oriente. Questi sviluppi sarebbero il risultato di colloqui segreti diretti iniziati a partire dallo scorso mese di maggio a Muscat, la capitale del sultanato dell’Oman. I contenuti della possibile intesa non sono del tutto chiari, ma, se i negoziati dovessero andare a buon fine, è probabile che possa avere luogo uno scambio di detenuti. In seguito Teheran potrebbe impegnarsi a non superare una certa soglia nel processo di arricchimento dell’uranio in cambio della sospensione di almeno una parte delle sanzioni economiche imposte da Washington.

La gigantesca macchina della propaganda creata da governi e media occidentali in concomitanza con l’esplosione del conflitto in Ucraina sta accelerando sensibilmente il processo di (auto)censura in atto da tempo sulla stampa “mainstream”. L’invasione russa ha trasformato giornali, siti e canali radio-televisivi in veri e propri organi di diffusione della versione ufficiale, imposta dal regime di Kiev e dai suoi sostenitori, dei fatti relativi alla guerra. Ogni minimo scostamento da questa linea è perciò oggetto di una feroce azione repressiva che riconduce qualsiasi frammento di verità a una presunta campagna di disinformazione orchestrata dal Cremlino. Questo è in sostanza il contesto della vicenda che riguarda il giornalista di Radio New Zealand (RNZ), Michael Hall, la cui unica colpa è stata di offrire al pubblico del suo paese un’informazione più equilibrata e oggettiva degli eventi ucraini.


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