di Nena news

Ramallah. Migliaia di palestinesi rendono omaggio oggi a Yasser Arafat, morto l’11 novembre 2004 a causa di una misteriosa malattia del sangue mai identificata dai medici, non solo quelli palestinesi ed arabi che lo ebbero in cura ma anche quelli dell’attrezzato ospedale di Parigi dove il presidente palestinese e premio Nobel per la Pace (nel 1994) venne ricoverato nell’estremo tentativo di salvargli la vita.

In queste ore centinaia di persone, anche straniere, stanno visitando il mausoleo di Arafat alla Muqata di Ramallah dove presto aprirà un museo dedicato alla memoria di «Abu Ammar», il nome di battaglia con cui era conosciuto in vita l’uomo che portò stabilmente la questione palestinese nell’agenda della politica e della diplomazia internazionale.

A Gaza invece non è in svolgimento alcuna cerimonia pubblica. Hamas, pur rendendo onore ad Arafat, ha vietato la manifestazione indetta oggi da Fatah (il movimento politico fondato da leader scomparso) per «ragioni di sicurezza».

A sei anni dalla morte, un sondaggio rivela che l’81% dei palestinesi rimpiange Arafat, non solo in Cisgiordania dove Fatah raccoglie i maggiori consensi ma anche a Gaza. Un dato parallelo alle forti perplessità che i palestinesi manifestano verso la leadership di Abu Mazen che si avvia a completare il suo secondo anno alla presidenza dell’Anp oltre il suo mandato scaduto nel gennaio 2009.

Arafat in vita commise non pochi errori - a cominciare dalla firma di accordi di pace ad interim con Israele (quelli di Oslo nel 1993) che si sono poi rivelati del tutto fallimentari per le aspirazioni palestinesi - e non fece passi concreti per combattere la corruzione dilagante nel suo entourage e nell’Autorità nazionale palestinese.

Tuttavia i palestinesi gli riconoscono il merito di essere morto «difendendo i diritti del suo popolo» e di «non essersi arreso» alle condizioni che Israele dettava con i suoi carri armati che, dal 2001 al 2004, prima attaccarono, poi distrussero in buona parte e infine circondarono stabilmente la Muqata. Un dato di fatto che oggi non negano anche i dirigenti più anziani di Hamas, per anni rivali accesi di Arafat.

Molti sono gli interrogativi che circondano la morte di «Abu Ammar». I palestinesi sono convinti che ad ucciderlo lentamente sia stata qualche sostanza chimica preparata dai servizi segreti israeliani, su ordine dell’allora premier Ariel Sharon,e fatta ingerire ad Arafat con la collaborazione di «spie» infiltrate nel suo ufficio.

La prova a conferma di questo sospetto non si è mai trovata ma i medici che ebbero in cura il leader palestinese continuano a ripetere di non aver potuto individuare la patologia che fece precipitare in modo irreversibile e letale il numero di globuli rossi e piastrine nel sangue di Arafat.

Bassam Abu Sharif, un consigliere del leader scomparso, sostiene che Arafat fu avvelenato da Israele e che l’ex presidente francese Jacques Chirac sarebbe a conoscenza di tutti i dettagli. Arafat, spiega Abu Sharif, fu ucciso con un sistema analogo a quello utilizzato da Israele contro il dirigente del Fronte popolare Wadia Haddad, nella Germania Est nel 1978, che morì nel corso di un mese dopo aver ricevuto una tavoletta di cioccolata «biologicamente infetta». Nel sangue di Arafat, come in quello di Haddad, cessò all’improvviso la produzione di globuli rossi e piastrine.

Secondo Abu Sharif, Chirac e tre medici francesi che curarono Arafat durante la sua agonia in un ospedale di Parigi conoscono il tipo di veleno che provocò la morte di Arafat, ma mantengono il segreto in quello che ritengono essere «l’interesse della popolazione palestinese».

L’ombra di un ruolo d’Israele dietro la fine di Yasser Arafat viene avvalorata anche da Nasser Qidwa, ex ambasciatore dell’Olp alle Nazioni Unite e nipote del leader scomparso. «Israele è responsabile della morte di Arafat, noi restiamo convinti che egli sia stato avvelenato», afferma  Qidwa.

Ma non manca chi vede un coinvolgimento di esponenti palestinesi di primo piano nella morte di Arafat. Un anno fa l’Anp ordinò la chiusura temporanea dell’ufficio in Cisgiordania della televisione araba al Jazeera , accusando l’emittente di raccogliere «provocazioni» e diffondere «menzogne».

A suscitare la collera dei vertici palestinesi fu la diffusione da parte di al Jazeera di dichiarazioni di Faruq Kaddumi - storico alto dirigente di Fatah e dell’Olp da sempre contrario agli accordi di Oslo - in cui questi imputò ad Abu Mazen di aver provocato la morte di Arafat complottando con uomini del suo entourage e con Israele per avvelenarlo e, quindi, eliminarlo, dalla scena politica.

Lo scorso gennaio peraltro si rialzarono i toni della polemica fra palestinesi e governo tunisino perché non fu consentito ad emissari dell’Anp di fotocopiare gli archivi di Arafat. Si tratta di foto, lettere con partiti e movimenti politici stranieri, verbali di riunioni e anche documenti finanziari contenuti nella palazzina del quartiere di Mutueville a Tunisi che fu abitazione e ufficio di Arafat per oltre dieci anni dall’esilio dal Libano nel 1982 alla partenza per la Cisgiordania dopo gli accordi di Oslo.

Tra i tanti misteri c’è anche quello del ruolo avuto dalla moglie di Arafat, Suha Tawill, scomparsa totalmente dalla scena (assieme alla figlia Zahwa) e che secondo l’opinione di molti palestinesi sarebbe a conoscenza di elementi importanti legati alla morte di «Abu Ammar». Più di tutto, custodirebbe il segreto di alcuni investimenti finanziari effettuati  dall’Olp per ordine di Arafat e mai recuperati dopo la sua morte.

 

di Barbara Antonelli

Gerusalemme. La nuova ricerca di Whoprofit.org: il coinvolgimento diretto delle banche israeliane nelle attività di colonizzazione della Cisgiordania e del Golan. Sono le banche israeliane a fornire il supporto finanziario a tutte le attività che perpetuano l’occupazione illegale dei territori palestinesi e del Golan. Senza tale supporto, l’espansione delle colonie non sarebbe possibile. Se è vero infatti che la colonizzazione israeliana ha dietro di sé motivazioni di ordine politico ed ideologico, è anche vero che tale sistema comporta implicazioni economiche estremamente importanti, in base a cui le banche e gli istituti finanziari israeliani risultano essere i primi attori a trarne benefici economici.

Nelle 46 pagine del dettagliato rapporto presentato in questi giorni da Whoprofit.org, un progetto di ricerca della Coalition of Women for peace, un’organizzazione pacifista femminista israeliana, vengono analizzate le diverse forme di coinvolgimento delle banche israeliane nel sistema di occupazione, laddove tale coinvolgimento possa essere esplicitamente e chiaramente documentato. La ricerca si basa su documenti pubblici, alla portata di tutti, sia ufficiali che governativi, sia estratti dai report informativi che le stesse banche pubblicano annualmente. Prima della sua pubblicazione, i ricercatori di Whoprofit hanno fatto recapitare il documento a tutte le banche interessate e coinvolte: nessuna risposta ufficiale, tranne quella della Bank Discount.

Ma come avviene in concreto il supporto finanziario delle banche all’occupazione? In primo luogo, le banche forniscono due tipi di mutui agevolati: il primo riguarda i singoli individui, che desiderano acquistare unità abitative nelle colonie illegali della Cisgiordania. Il governo israeliano infatti prevede incentivi economici per quelle che vengono definite Aree Prioritarie e cioè le zone periferiche di Israele come il Golan e gli insediamenti sul territorio palestinese. Sei banche elargiscono mutui agevolati a futuri coloni: nel caso gli acquirenti non riescano a ripagare il mutuo, la banca diventa a tutti gli effetti proprietaria dell’immobile.

Lo stesso avviene per i mutui garantiti alle imprese di costruzione che operano nelle colonie. La maggior parte dei progetti edilizi in Cisgiordania non vedrebbe la fine senza il supporto finanziario delle banche: questo tipo di prestiti viene regolamentato secondo “accordi di accompagnamento” (Heskemay Livuy). Accordi che garantiscono cioè che la banca sia direttamente e interamente responsabile del progetto edilizio: la banca infatti è proprietaria del progetto e degli immobili, fino a quando tutte le unità abitative non vengano vendute. E’ la banca che fissa i prezzi degli appartamenti e detta legge sui tempi di costruzione; una vera e propria partnership tra la banca e l’impresa edile, in cui è la prima a trarne i maggiori benefici: anche in questo caso se l’impresa dichiara bancarotta, la banca diventa l’unica proprietaria di terreni e immobili.

Non è stato facile ottenere le informazioni relative a questo tipo di relazioni bancarie: quando Whoprofit, in base al Freedom Act, ha chiesto al Ministero delle Costruzioni, i nomi delle banche che forniscono tali programmi di “accompagnamento”, il Ministero ha risposto di non esserne al corrente. I ricercatori hanno dovuto pertanto ottenere le informazioni direttamente dalla industrie edili. Un esempio del coinvolgimento di tali banche risulta dal rapporto annuale del gruppo Hadar, il maggiore responsabile dei progetti residenziali all’interno di Ma’aleh Adumin. Tra i progetti più recenti c’è quello tra la B. Yair Building Corporation e la Bank Discount per la costruzione di 55 appartamenti a Har Homa (tra Gerusalemme e Bethlemme).

Quasi tutte le banche poi forniscono servizi finanziari alle autorità e ai municipi locali degli insediamenti illegali, sia nel Golan che in Cisgiordania, elargendo prestiti utilizzati per sviluppare nuove infrastrutture, costruire edifici pubblici come pure per la gestione della fornitura di servizi che il municipio mette a disposizione dei coloni.  Per esempio la Banca Hapoalim ha fornito nel 2010 prestiti al consiglio municipale di Giv’at Ze’ev e a quello di Megilot nel 2009.

Vi sono inoltre 34 filiali operative nelle colonie illegali: la maggior parte delle banche israeliane ha aperto nel corso degli anni diverse filiali all’interno degli insediamenti israeliani, filiali che forniscono ogni tipo di servizio finanziario ai coloni e alle imprese commerciali che vi hanno sede. Come per esempio l’apertura di prestiti e conti bancari alle imprese che sono presenti nelle aree industriali, vedi l’area Barkan o la Top Greenhouses, una compagnia che produce serre, nella zona di Ariel, che ha ricevuto prestiti negli ultimi 10 anni dalle banche Discount, Leumi, Hapoalim e Mizrahi Tefahot. O il consorzio CityPass, quello che sta realizzando il contestato progetto della rete tranviaria a Gerusalemme, che riceve finanziamenti sia da Leumi che Hapoalim.

Due istituti finanziari beneficiano infine dell’accesso al mercato monetario palestinese; in seguito alle regolamentazioni previste dagli Accordi di Oslo, e sottoscritte sia da parte palestinese che israeliana, il mercato palestinese non utilizza una propria valuta. Ne deriva che le banche palestinesi sono dipendenti da altri istituti bancari per accedere ai mercati finanziari. Nonostante nei mercati palestinesi siano attualmente in uso 4 valute (oltre allo shekel israeliano, l’euro, il dollaro americano e il dinaro giordano), è in realtà lo shekel  a dominare i mercati, dal momento che il sistema di occupazione ha creato una stretta dipendenza (sottomissione) finanziaria del mercato palestinese a quello israeliano.

Questa interdipendenza fa si che le politiche monetarie decise dalla Banca di Israele si applichino in modo assolutamente non democratico nella Palestina occupata, generando un sistema distorto. Qualche dato che dimostra il disequilibrio commerciale tra Israele e Palestina: su 20 miliardi di shekel di trasferimenti annuali, l’80% (16 miliardi) sono trasferiti da Israele al mercato palestinese e solo il 20% riguarda il contrario.

Anche nei rapporti con banche non-israeliane, le banche palestinesi devono appoggiarsi (dal momento che trattano lo shekel) agli istituti israeliani, che funzionano per il trasferimento fondi. In questo caso, secondo fonti palestinesi, le banche israeliane chiedono dei tassi di interesse altissimi e garanzie in cambio dei servizi offerti. Inoltre le commissioni applicate alla fornitura di tali servizi sarebbero enormi e imporrebbero limitazioni (in termini di quantità) sul trasferimento di denaro.

Le banche israeliane hanno inoltre rapporti commerciali solo con alcune banche palestinesi: negli accordi attuali ad esempio non sono incluse le banche costituitesi recentemente nei Territori, la cui operatività risulta ampiamente ridotta, dal momento che non possono trasferire denaro alle banche  israeliane e devono appoggiarsi ad altri istituti palestinesi.

Il risultato è che il mercato monetario palestinese non potrà mai crescere e svilupparsi autonomamente. Senza considerare Gaza: alla fine del 2008, Israele ha interrotto qualsiasi relazione con le banche di Gaza, cessando la fornitura di tutti i servizi, causando il totale collasso del mercato finanziario della Striscia.

Le banche israeliane non solo forniscono il supporto finanziario alla costruzione delle colonie ma anche alla sostenibilità e al mantenimento dell’intero sistema che vi ruota attorno. Nessuna delle attività portata avanti da individui, organizzazioni, governo e compagnie commerciali in Israele, potrebbe andare avanti senza il supporto attivo delle banche, che sono pertanto gli attori principali del ritorno economico delle attività di colonizzazione della Cisgiordania e del Golan.

da Nena news

(foto da Life)

 

di Cubadebate

Il Tea Party si presenta come un movimento rivoluzionario, spontaneo e diversificato, un'ondata di fervore cittadino contro Washington. Le sue finanze, però, danno un’immagine molto più ambigua degli interessi corporativi e politici molto più tradizionali. Il Tea Party non è un partito; é un movimento la cui incertezza strutturale ha permesso a molti di penetrare le crepe. Nella nebbiosa piattaforma ultra-conservatrice sono emersi nuove piattaforme ideologiche che hanno raccolto considerevoli somme di denaro a favore dei candidati e finanziato discorsi di commentatori ed esperti nel creare opinione.

Dietro gli annunci, le manifestazioni, i raduni, si sono andati consolidando gruppi altamente organizzati. C’è il Tea Party Express, un'organizzazione con sede a Sacramento (California) creata da Sal Russo, ex consigliere di Ronald Reagan; poi Freedom Works a Washington, guidata da Dick Armey, ex rappresentante del Texas, uno dei leader rivoluzione conservatrice degli anni '90. Quindi American Crossroads, dell'ex stratega di Bush, Karl Rove; il Club for Growth, un'associazione di imprese per la deregulation fiscale e, soprattutto, la più discreta e ancora più potente American for Prosperity Foundation, dei fratelli miliardari David e Charles Koch, che sostengono l'abolizione di quasi tutti i governi.

I Koch sono l'esempio più estremo. A capo di un conglomerato industriale del valore di 35 miliardi di dollari (superano le fortune di Bill Gates e Warren Buffet) le loro attività di ultras non erano realmente conosciute, fino alla pubblicazione di un profilo nella rivista The New Yorker dello scorso agosto. Fino ad allora, ai newyorkesi il nome Koch suonava solo per il loro lavoro filantropico e per i cento milioni di dollari donati al Theatre di New York.

Frank Rich, editorialista del New York Times, ha collegato Koch con "uomini d'affari che finanziano l'estrema destra da quando i fratelli Du Pont (il gigante della chimica) sostennero l'American Liberty League nel 1934 per rovesciare Roosevelt." Le associazioni ultraconservatrici non si sono raggruppate sotto la definizione giuridica del Political Action Commitee (comitato di azione politica), usata dai candidati elettorali per incanalare denaro, ma sotto la molto meno restrittiva legge 501 (c) (4), come se si trattasse di un’organizzazione no-profit che permette di raccogliere quantità illimitate di denaro e che non ha l'obbligo di rivelare l'identità dei collaboratori. Essi non possono coordinarsi con le campagne ufficiali né sostenere diretto ai candidati, ma possono discutere di argomenti che li interessano.

Frank Miller, candidato sostenuto da Sarah Palin, ha battuto nella primarie repubblicane in agosto, l’attuale senatrice dell'Alaska, Lisa Murkowksi, grazie in parte ai 550.000 dollari forniti dal Tea Party Express in pubblicità elettorale. Lo stesso è stato fatto nel mese di settembre, quando si sono spesi 200.000 dollari in sostegno alla controversa Christine O'Donnell, in una corsa che ormai sembrava persa per il seggio al Senato in Delaware.

Hanno investito ancora di più, quasi un milione di dollari, secondo il Center for Responsive Politics, nella difesa Sharron Angle, la candidata conservatrice che minaccia di strappare il seggio del Nevada al senatore democratico Harry Reid. In totale, il Tea Party Express hanno raccolto oltre cinque milioni di dollari dal gennaio 2009.

Inoltre hanno noleggiato un bus che ha lasciato Reno (Nevada) lunedi scorso; attraverseranno il Paese, organizzando manifestazioni in distretti selezionati con cura e alla fine, il giorno prima delle elezioni, si fermeranno nel New Hampshire, dall'altra parte degli Stati Uniti. Sarà un viaggio per criticare le politiche di Barack Obama e cercare di canalizzare nelle urne l'ira dei loro sostenitori.

La Manna del denaro conservatore è stata facilitata dalla decisione della Corte suprema, che all'inizio di quest'anno ha dato alle società gli stessi diritti degli individui a contribuire alle campagne elettorali. In realtà, Freedom Works riconosce che il 15 e il 20% del capitale proviene da grandi imprese.

E quest'anno sono stati abbattuti tutti i record. Il Washington Post ha riferito che in questa elezione, gruppi correlati ma al di fuori dei due grandi partiti, per lo più conservatori, hanno speso 80 milioni di dollari in campagne dei loro candidati rispetto ai 16 milioni spesi nel 2006. Non è da sottovalutare l’entusiasmo dei cittadini. Sharron Angolo, la candidata del Tea Party per il Nevada, è riuscita a raccogliere 14 milioni di dollari negli ultimi tre mesi grazie a piccoli contributi di meno di cento dollari ognuno.

Alcuni nel Tea Party non sono felici per il massiccio afflusso di fondi conservatori. "Stanno facendo quello che molti temevano facessero: utilizzare il movimento per raccogliere fondi per i propri interessi privati", ha dichiarato recentemente Mark Merckle, co-fondatore dei Tea Party Patriots, un’organizzazione più "genuina" all’interno della corrente ultra-conservatrice. "Quando vedranno che non siamo più un tema caldo, passeranno a qualcosa d'altro. Questa è modo tradizionale di raccogliere il denaro da parte dei politici, il tipo di cose contro cui protestare”.

di Barbara Antonelli -Nena news

Si è aggiudicato 18 seggi su 40, il più grande partito di opposizione sciita, Al Wefak, al primo turno delle elezioni legislative che si sono svolte sabato in Barhein: questo quanto dichiarato dalla commissione elettorale domenica, mentre nove seggi rimangono disponibili per il secondo turno, previsto per il 30 ottobre.

Il 67% è la percentuale dell’affluenza alle elezioni, le terze da quando si è costituito l’attuale parlamento. Il Barhein è uno dei pochi Stati Arabi a maggioranza sciita (circa il 70% della popolazione), una maggioranza che però non ha alcun potere reale e anzi è soggetta alle discriminazioni attuate dal potere nelle mani di famiglie e dinastie sunnite. La maggioranza sciita, infatti, da anni lamenta le discriminazioni in termini di accesso al mondo lavorativo, alla compravendita e locazione d’immobili e ai posti d’influenza nelle forze di sicurezza.

Il voto di sabato, che segue mesi di tensioni tra le autorità e l’opposizione, è stato caratterizzato da numerose irregolarità. Il portavoce di Al Wefak, lo sceicco Ali Salman ha rilevato che almeno 890 votanti sarebbero stati mandati via dalle cabine elettorali (soprattutto in aree sciite) perché i loro nomi “erano scomparsi” dalle liste elettorali. Numeri che sembrano irrilevanti ma che sono cruciali in un paese in cui gli aventi diritto al voto sono circa 319.000.

Secondo i leader sciiti, che hanno più volte posto l’accento su come il governo adotti politiche che consentono a sunniti provenienti da tutta la regione di ottenere facilmente la cittadinanza, in modo da aumentare demograficamente la presenza sunnita, i brogli elettorali sarebbero stati una manovra delle autorità governative per indebolire la presenza sciita. Al-Wafaq ha denunciato la scomparsa in un solo seggio di 400 nomi di elettori registrati.

Le autorità del Barhein non hanno consentito il monitoraggio di osservatori internazionali e le denunce riguardanti i brogli sono state avanzate dai 292 osservatori delle ONG locali che hanno presenziato i seggi. Enormi misure di sicurezza sono state adottate dal governo che ha dispiegato elicotteri per la sorveglianza aerea e pattugliamenti della polizia, soprattutto nei distretti considerati a rischio violenza. Secondo quanto riportato dalla stampa non ci sono state particolari manifestazioni di violenza ma  alcuni attivisti della comunità sciita hanno protestato contro le irregolarità elettorali, dando alle fiamme pneumatici e altri oggetti.

La campagna elettorale è stata caratterizzata da un’ondata di arresti e intimidazioni nel corso dei mesi passati da parte delle autorità, a danno dell’opposizione sciita: 23 attivisti sciiti sono stati arrestai e accusati di complotto contro il governo. Secondo quanto denunciato dall’organizzazione in difesa dei diritti umani, Amnesty International, oltre 250 attivisti sciiti sono stati arrestati nei giorni pre elezioni.

Con i risultati di domenica Al Wafak rafforza la propria presenza all’interno del Parlamento “Basso” (o Camera Minore) che, lo ricordiamo, ha il potere di esaminare e approvare i decreti legislativi proposti dal re o dal gabinetto, ma che ha comunque poteri limitati dato che è la Camera Alta o consiglio legislativo (i cui membri sono nominati direttamente dal re) ad avere il potere ultimo sull’iter legislativo.

Secondo gli analisti politici, il risultato elettorale di sabato potrebbe modificare la stabilità a lungo termine del Barhein, un partner strategico degli Stati Uniti, che ospita la Quinta Flotta americana e che gioca un ruolo centrale negli sforzi dell’amministrazione di Washington di controllare l’espansione militare dell’Iran nel Golfo. L’opinione di Christopher Davidson, professore dell’Università di Durham (Regno Unito) ed esperto della regione è che il risultato elettorale non muterà l’enorme divario che permane tra ceti poveri, sciiti e ceti ricchi, cioè le famiglie sunnite che detengono il potere.

Malgrado il Parlamento abbia poteri limitati e possa essere rovesciato in qualsiasi momento dal re Hamad bin Isa Al-Khalifa e il suo circolo dinastico, l’aver guadagnato un maggior numero di seggi rappresenta per gli sciiti almeno la speranza di non vedere ulteriormente ignorate le proprie richieste.

 Nena news

(foto www.gulfnews.com)

 

di Thierry Meissan - Voltairenet.org

Nel 2006, il Cremlino ha denunciato il proliferare di associazioni straniere in Russia, alcuni dei quali presumibilmente coinvolte in un piano segreto per destabilizzare il paese, orchestrato dalla Fondazione Nazionale per la democrazia (National Endowment for Democracy - NED). Per evitare una "rivoluzione colorata", Vladislav Surkov ha sviluppato una severa regolamentazione di queste "organizzazioni non governative” (ONG). In Occidente, questo provvedimento amministrativo è stato descritto come un nuovo attacco del "dittatore" Putin e del suo consigliere alla libertà di associazione. Questa politica è stata seguita da altri Stati che, a loro volta, sono stati presentati dalla stampa internazionale come "dittature".

Il governo degli Stati Uniti garantisce che lavora per "promuovere la democrazia in tutto il mondo." Sostiene che il Congresso può sovvenzionare la NED e che può, a sua volta e in modo indipendente, direttamente o indirettamente portare assistenza a associazioni, partiti politici o sindacati, lavorando in tal senso in tutto il mondo. Le ONG essendo, come suggerisce il nome, "non governative" possono prendere iniziative politiche che le ambasciate non potrebbero prendere senza violare la sovranità degli stati che le ospitano. L’intera questione è dunque questa: la NED e la rete di ONG che finanzia, sono esse iniziative della società civile ingiustamente punite dal Cremlino o coperture dell’intelligence statunitense colte in piena interferenza?

Per rispondere a questa domanda, torniamo alle origini e dal funzionamento del National Endowment for Democracy. Ma soprattutto, dobbiamo analizzare cosa significa il progetto ufficiale degli Stati Uniti. per “l’esportazione della democrazia”.

Quale democrazia?

Gli statunitensi, come popolo, rispettano l’ideologia dei loro padri fondatori. Si pensano come una colonia giunta dall’Europa per fondare una città obbediente a Dio. Vedono il loro paese come "una luce sulla montagna", secondo le parole di S. Matteo, ripresa da due secoli nei discorsi politici della maggior parte dei loro presidenti. Gli Stati Uniti sarebbero una nazione modello, che brillando dalla cima della collina, illumina il mondo. E tutti gli altri popoli del mondo hanno la speranza di copiare questo modello, per raggiungere la loro salvezza.

Per gli statunitensi, questa fede ingenua da per scontato che il loro paese è sia una democrazia esemplare, che hanno il dovere messianico di estendere al resto del mondo. Mentre San Matteo prevedeva la propagazione della fede solo con l’esempio di una vita retta, i padri fondatori degli Stati Uniti pensavano all’accensione e alla propagazione dell’incendio come a un cambiamento di regime.

I puritani inglesi decapitarono Carlo I prima di fuggire in Olanda e nelle Americhe, ed i patrioti del Nuovo Mondo respinsero l’autorità del re Giorgio III d’Inghilterra proclamando l’indipendenza degli Stati Uniti. Immersi nella mitologia nazionale, gli statunitensi non percepiscono la politica estera del loro governo come imperialista. Ai loro occhi, è ancora più legittimo rovesciare un governo che aspira a incarnare un modello diverso dal loro, dunque malefico. Allo stesso modo, sono convinti che investiti della loro missione messianica, siano riusciti a imporre con la forza la democrazia nei paesi che hanno occupato.

Imparano, per esempio, nelle loro scuole, che i GI hanno portato la democrazia in Germania. Non sanno che la storia è esattamente l’opposto: il loro governo ha aiutato Hitler a rovesciare la Repubblica di Weimar e a stabilire un regime militare per combattere i sovietici. Questa ideologia irrazionale impedisce loro di mettere in discussione la natura delle loro istituzioni e l’assurdità del concetto di "democrazia forzata". Ora, secondo le parole del presidente Abraham Lincoln "La democrazia è il governo del popolo, dal popolo, per il popolo."

Da questo punto di vista, gli Stati Uniti non sono una democrazia ma un sistema ibrido, in cui l’esecutivo proviene da un’oligarchia, mentre il popolo ne limita l’arbitrio attraverso i contropoteri legislativi e giudiziari. Infatti, se il popolo elegge il Congresso e alcuni giudici, sono gli Stati federati ad eleggere l’esecutivo e quest’ultimo nomina gli alti magistrati. Anche se i cittadini sono chiamati a votare sulla scelta del loro presidente, il loro voto sulla questione è solo consultiva, come ricordato dalla Corte Suprema nel 2000, nel caso Gore contro Bush. La Costituzione degli Stati Uniti non riconosce la sovranità del popolo, perché il potere è condiviso tra lui e gli Stati federati, vale a dire tra i leader della comunità.

Per inciso, osserviamo che la Costituzione della Federazione Russa è, al contrario, democratica - almeno sulla carta - come dice: "Il portatore della sovranità e l’unica fonte del potere nella Federazione Russa è il suo popolo multinazionale" (Titolo I, Cap. 1, articolo 3). Questo contesto intellettuale spiega che gli statunitensi sostengono il loro governo quando annuncia di voler "esportare la democrazia", anche se il loro paese non lo è costituzionalmente.

Ma non si vede come si possa esportare ciò che non si ha e non si vuole avere a casa. Negli ultimi trenta anni, questa contraddizione è stata sostenuta dalla NED ed s’è concretizzata con la destabilizzazione di molti Stati. Migliaia di attivisti e ONG creduloni hanno violato la sovranità dei popoli con il sorriso beato della buonafede.

 

Una Fondazione pluralista e indipendente

Nel suo famoso discorso dell’8 giugno 1982 davanti al Parlamento britannico, il presidente Reagan ha denunciato l’Unione Sovietica come "L’impero del male" e si offrì di aiutare i dissidenti lì e altrove. "Si tratta di contribuire a creare le infrastrutture necessarie per la democrazia: la libertà di stampa, di sindacato, di partiti politici e delle università, i popoli saranno liberi di scegliere la strada che gli converrà per sviluppare la loro cultura e risolvere le controversie con mezzi pacifici", aveva detto. Sulla base di questo consenso per la lotta contro la tirannia, una commissione di riflessione bipartisan auspicò l’istituzione a Washington della National Endowment for Democracy (NED). Fu fondata dal Congresso nel novembre del 1983 e immediatamente finanziata. La Fondazione supporta quattro strutture indipendenti che ridistribuiscono denaro all’estero, mettendolo a disposizione di associazioni, sindacati e padronati, partiti di destra e di sinistra. Esse sono:

L’Istituto dei Sindacati Liberi (Free Trade Union Institute - FTUI), ora rinominato Centro Americano per la Solidarietà Internazionale dei Lavoratori (American Center for International Labor Solidarity – ACILS), gestita dal sindacato AFL-CIO;

Il Centro Internazionale per le Imprese Private (Center for International Private Enterprise - CIPE), gestito dalla Camera di Commercio degli Stati Uniti;

L’Istituto Repubblicano Internazionale (International Republican Institute - IRI), gestito dal Partito Repubblicano; 
L'’Istituto Nazionale Democratico per gli Affari Internazionali (National Democratic Institute for International Affairs - NDI), gestito dal Partito Democratico.

Presentati in questo modo, la NED e i suoi quattro tentacoli appaiono basati sulla società civile, riflettendo la diversità sociale e il pluralismo politico. Finanziate dal popolo statunitense, attraverso il Congresso, avrebbero lavorato a un ideale universale. Esse sarebbero completamente indipendenti dall’amministrazione presidenziale. E l’azione trasparente non potrebbe nascondere operazioni segrete che servano a interessi nazionali inconfessati. La realtà è completamente diversa.

 

Una messa in scena della CIA, dell’MI6 e dell’ASIS

Il discorso di Ronald Reagan a Londra si svolse dopo gli scandali che circondarono la rivelazione delle commissioni sugli sporchi trucchi della CIA. Il Congresso aveva vietato all’agenzia di condurre ulteriori colpi di stato per conquistare dei mercati. Alla Casa Bianca, il Consiglio di Sicurezza Nazionale cercò di sviluppare altri strumenti per aggirare questo divieto.

La Commissione di riflessione bipartisan fu costituita prima del discorso di Ronald Reagan, anche se dopo ha ufficialmente ricevuto un mandato dalla Casa Bianca. Pertanto, essa non è conseguente alle grandiose alle ambizioni presidenziali, ma le precede. Pertanto, il discorso è solo un abbellimento retorico di decisioni già concordate a grandi linee e destinate ad essere messe in scena dalla commissione bipartisan. Fu presieduta dal rappresentante speciale degli Stati Uniti per il Commercio, indicando che essa non prevedeva la promozione della democrazia ma, secondo una terminologia attuale, la "democrazia di mercato". Questo concetto strano è il modello degli Stati Uniti: una oligarchia economica e finanziaria impone le sue scelte politiche attraverso il mercato e lo Stato federale, mentre i parlamentari e i giudici eletti dal popolo proteggono le persone da un governo arbitrario.

Tre delle quattro agenzie periferiche del NED sono state formate per l’occasione. Tuttavia, non è stato necessario creare la quarta, l’organizzazione del lavoro (ACILS). Essa esiste dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, anche se ha cambiato nome nel 1978, quando si dimostrò la sua subordinazione alla CIA. Quindi si può dedurre che CIPE, IRI e NDI non nascono per generazione spontanea, ma egualmente sotto la guida della CIA. Inoltre, anche se la NED è un’associazione di diritto statunitense, non è uno strumento della sola CIA, ma uno strumento comune con i servizi britannico (il motivo per cui fu annunciata da Reagan a Londra) e australiano. Questo punto centrale è sempre stato ignorato. Eppure è confermato dai messaggi di congratulazioni inviati dai primi ministri Tony Blair e John Howard per il ventesimo anniversario della cosiddetta "ONG". La NED e i suoi tentacoli sono organi del patto militare anglo-sassone che collega Londra, Washington e Canberra, nonché la rete di intercettazione elettronica Echelon. Questo dispositivo può essere richiesto non solo dalla CIA, ma anche dall’MI6 britannico e dall’australiano ASIS.

Per nascondere questa realtà, la NED ha suscitato preso gli alleati la creazione di organizzazioni che lavorino con essa. Dal 1988, il Canada ha un centro per i diritti e la democrazia, che ha privilegiato Haiti e l’Afghanistan. Nel 1991, il Regno Unito ha istituito la Westminster Foundation for Democracy (WFD). Il funzionamento di questo organismo pubblico è modellato su quello della NED: l’amministrazione è affidata ai partiti politici (otto delegati, tre per il Partito Conservatore, tre per il Partito Laburista, uno per il Partito Liberale, e uno per gli altri partiti rappresentati in Parlamento). La WFD ha lavorato a lungo in Europa orientale. Infine, nel 2001, l’UE ha lo strumento europeo per la democrazia e i diritti umani (EIDHR), che desta meno sospetti rispetto alle sue controparti. Questo ufficio è l’Europe Aid, guidato da un alto funzionario tanto sconosciuto quanto potente, l’olandese Jacobus Richelle.

 

Direttiva Presidenziale 77

Con il voto per la fondazione della NED, il 22 novembre 1983, i parlamentari non sapevano che già esistesse in segreto, con una direttiva presidenziale del 14 gennaio.
Questo documento, che è stato declassificato vent’anni dopo, organizza la "diplomazia pubblica", termine politicamente corretto per indicare la propaganda. Esso crea alla Casa Bianca dei gruppi di lavoro interni al Consiglio di Sicurezza Nazionale, tra cui uno con la responsabilità di guidare la NED.

Di conseguenza, il consiglio d’amministrazione della Fondazione non è che una cinghia di trasmissione del Consigli di sicurezza nazionale. Per mantenere le apparenze, si decise che, in modo generale, agenti ed ex agenti della CIA non potessero essere nominati amministratori.

Le cose sono tuttavia trasparenti. La maggior parte dei funzionari che hanno giocato un ruolo centrale nel Consiglio di sicurezza nazionale, sono stati amministratori della NED. Questo è per esempio il caso di Henry Kissinger, Frank Carlucci, Zbigniew Brzezinski e Paul Wolfowitz; personalità che non passeranno alla storia come l’ideale della democrazia, ma della strategia cinica della violenza.

Il bilancio della Fondazione non può essere interpretato in modo isolato, ricevendo istruzioni dal Consiglio di Sicurezza Nazionale per intraprendere azioni all’interno di ampie operazioni inter-agenzie. I fondi soprattutto provengono dall’Agenzia per lo Sviluppo Internazionale (USAID) e passano senza che figurino nel bilancio del NED, proprio per "non-governalizzarli”. Inoltre, la Fondazione riceve soldi indirettamente dalla CIA, dopo essere stata riciclata da intermediari privati, come la Smith Richardson Foundation, la John M. Olin Foundation o la Lynde and Harry Bradley Foundation. Per valutare la portata di questo programma, dobbiamo combinare il bilancio della NED con le corrispondenti voci di bilancio del Dipartimento di Stato, dell’USAID, della CIA e del Dipartimento della Difesa. Tale stima è impossibile.

Tuttavia, alcuni elementi noti consente di avere un ordine di grandezza. Gli Stati Uniti hanno speso negli ultimi cinque anni, un miliardo di dollari per le associazioni e i partiti in Libano, un piccolo paese di 4 milioni di abitanti. Nel complesso, la metà di questa manna è stata pubblicamente rilasciato da Dipartimento di Stato, USAID e NED, e l’altra metà è stata versata segretamente dalla CIA e del Dipartimento della Difesa.

Questo esempio viene utilizzato per estrapolare il bilancio generale della corruzione istituzionale da parte degli Stati Uniti, che è nell’ordine delle decine di miliardi di dollari ogni anno. Inoltre, il programma equivalente dell’Unione europea, che è interamente pubblico e propone l’integrazione delle azioni degli Stati Uniti, è di 7 miliardi di euro all’anno.

In definitiva, la struttura giuridica della NED e il volume del suo bilancio ufficiale sono solo delle esche. In sostanza, non è un organismo indipendente per le azioni legali precedentemente assegnate alla CIA, ma è una vetrina a cui il Consiglio di sicurezza nazionale da l’incarico di eseguire gli elementi legali delle operazioni illegali.

 

Strategia trotskista

Durante la sua fase di attuazione (1984), la NED è stata presieduta da Allen Weinstein, poi per quattro anni da John Richardson (1984-88) e, infine, da Carl Gershman (dal 1998). Questi tre uomini hanno tre cose in comune. Sono ebrei, sono stati attivi nel partito trotskista SocialDemocratici USA e hanno lavorato presso la Freedom House.

C’è una logica in ciò: per odio allo stalinismo, alcuni trotskisti si sono arruolati nella CIA per lottare contro i sovietici. Hanno portato con loro la teoria di acquisizione globale, recependo le "rivoluzioni colorate" e la "democratizzazione". Hanno semplicemente spostato la vulgata trotzkista applicandola alla lotta culturale analizzata da Antonio Gramsci, il potere si esercita più con la mente che con la forza. Per governare le masse, l’élite deve prima inculcare un’ideologia che programma l’accettazione del potere che le domina.

 

Il Centro Americano per la Solidarietà dei Lavoratori (ACILS)

Conosciuto anche come Solidarity Center, l’ACILS, ramificazione della NED, è di gran lunga il suo principale canale. Distribuisce più della metà delle donazioni della Fondazione. Ha sostituito le organizzazioni precedenti che sono servite, durante la guerra fredda, ad organizzare sindacati in tutto il mondo non comunista, dal Vietnam all’Angola, passando per la Francia e il Cile. Il fatto di scegliere dei sindacati per coprire un programma della CIA è un fatto di rara perversione. Lontano dallo slogan marxista "Proletari di tutti i paesi, unitevi!", l’ACILS unisce i sindacati statunitensi all’imperialismo che schiaccia i lavoratori di altri paesi.

Questo settore è stato diretto da un personaggio pittoresco, Irving Brown, dal 1948 fino alla sua morte nel 1989. Alcuni autori assicurano che Brown era figlio di un russo bianco, compagno di Alexander Kerensky. Quel che è certo è che è stato agente dell’OSS, il servizio d’intelligence degli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale, ed ha partecipato alla creazione della CIA e della rete Gladio della NATO.

Si rifiutò di prenderne la direzione, preferendo concentrarsi sulla sua specialità, i sindacati. Abitò e lavorò a Roma e Parigi, non a Washington, così ha avuto una particolare influenza sulla vita pubblica italiana e francese. Alla fine della sua vita, si vantava di non aver smesso di dirigere da dietro le quinte il sindacato francese Force Ouvrière, di aver diretto le fila del sindacato studentesco UNI (dove militarono Nicolas Sarkozy e i suoi ministri François Fillon, Xavier Darcos, Herve Morin e Michèle Alliot-Marie e il presidente dell’Assemblea nazionale Bernard Accoyer e il presidente del gruppo parlamentare della maggioranza, Jean-Francois Cope) e di aver creato personalmente a sinistra un gruppo scissionista trotzkista, tra cui i membri vi erano Jean-Christophe Cambadelis e il futuro primo ministro Lionel Jospin.

Nei tardi anni ’90, i membri della confederazione AFL-CIO hanno chiesto conto della reale attività dell’ACILS, mentre la sua natura criminale, in molti paesi è stata ampiamente documentata. Si sarebbe potuto pensare che le cose sarebbero cambiate dopo questa grande svelamento. Non è stato così. Nel 2002 e nel 2004, l’ACILS ha partecipato attivamente al fallito colpo di stato in Venezuela contro il presidente Hugo Chavez, e in quello riuscito ad Haiti, che rovesciò il presidente Jean-Bertrand Aristide.
Oggi l’ACILS è diretto da John Sweeney, ex presidente della confederazione AFL-CIO, che proviene anch’egli dal partito trotskista dei Social-Democratici USA.

 

Il Center for International Private Enterprise (CIPE)

Il Center for International Private Enterprise (CIPE) si concentra sulla diffusione dell’ideologia liberale capitalista e della lotta contro la corruzione.
Il primo successo del CIPE fu la trasformazione, nel 1987, dell’European Management Forum, un club del grande padronato europeo, nel club-transnazionale World Economic Forum. Il grande raduno annuale del gotha politico ed economico mondiale, presso la stazione sciistica svizzera di Davos, che ha contribuito a forgiare una classe dell’appartenenza esterna alle identità nazionali.

Il CIPE assicura che non ha alcun legame strutturale con il Forum di Davos, e non è possibile -per ora- dimostrare che il World Economic Forum è uno strumento della CIA. Al contrario, i responsabili di Davos troverebbero difficile spiegare perché alcuni leader politici hanno scelto il loro Economic Forum, per svolgervi degli eventi della massima importanza, come se si trattasse di operazioni previste dal Consiglio di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti d’America. Ad esempio, nel 1988, a Davos, e non alle Nazioni Unite, la Grecia e la Turchia hanno fatto la pace.

Nel 1989, a Davos le due Coree, da un lato e la Germania dall’altro, tennero il loro primo vertice a livello ministeriale per gli uni, e il primo vertice sulla riunificazione per gli altri. Nel 1992, è ancora a Davos che Frederik de Klerk e Nelson Mandela presentarono per la prima volta il loro progetto comune per il Sud Africa. Ancora più inverosimile è che a Davos, nel 1994, dopo l’accordo di Oslo, Shimon Peres e Yasser Arafat negoziarono e firmarono la sua applicazione a Gaza e a Gerico.

È notorio che il contatto tra il Forum e Washington passi per Susan K. Reardon, ex direttrice della Associazione dei lavoratori professionisti del Dipartimento di Stato, che è diventata direttrice della Fondazione della Camera di Commercio degli Stati Uniti, che gestisce il CIPE.

L’altro successo del Center for International Private Enterprise è Transparency International. Questa "ONG" è stata ufficialmente creata da un ufficiale dei servizi segreti militari degli Stati Uniti, Michael J. Hershman, che è anche direttore del CIPE e ora direttore del reclutamento degli informatori dell’FBI, nonché l’Amministratore Delegato dell’Agenzia d’Intelligence privata Fairfax Group.
Transparency International è in primo luogo una copertura per l’attività d’intelligence della CIA. E’ anche uno strumento mediatico per costringere gli Stati a modificare la loro legislazione, in linea con l’apertura dei loro mercati.

Per nascondere l’origine di Transparency International, il CIPE ha utilizzato l’esperienza dell’ex direttore ufficio stampa della Banca Mondiale, il neo-conservatore Frank Vogl. Quest’ultimo ha istituito un comitato di persone che hanno contribuito a dare l’impressione di un’associazione nata dalla società civile. Questo comitato di facciata è animato da Peter Eigen, ex capo della Banca Mondiale in Africa orientale, la cui moglie è stata, nel 2004 e nel 2009, candidata dell’SPD per la presidenza della Repubblica Federale Tedesca.

Il lavoro di Transparency International serve gli interessi statunitensi e non è affidabile. Nel 2008, la pseudo ONG ha denunciato la corruzione della PDVSA, l’azienda statale petrolifera del Venezuela e, sulla base di informazioni false, è all’ultimo posto nella sua classifica mondiale delle aziende pubbliche. L’obiettivo era chiaramente quello di sabotare la reputazione di una società che è il fondamento economico del presidente anti-imperialista Hugo Chavez. Colto in flagranza d’intossicazione, Transparency International ha rifiutato di rispondere alle domande della stampa latino-americana, e di correggere la sua relazione. Inoltre, è sorprendente se si ricorda che il corrispondente del CIPE in Venezuela, Pedro Carmona, era stato brevemente portato al potere dagli Stati Uniti, durante il fallito colpo di stato del 2002 contro Hugo Chavez.
In qualche modo, concentrando l’attenzione dei media sulla corruzione economica, Transparency International maschera l’attività della NED: la corruzione politica delle classi dirigenti a favore degli Anglo-Sassoni.

 

L’Istituto Repubblicano Internazionale (IRI) e Istituto Nazionale Democratico per gli Affari Internazionali (NDI)

L’International Republican Institute (IRI) cerca di corrompere i partiti di destra, mentre la National Democratic Institute for International Affairs (NDI) tratta i partiti di sinistra. La prima è presieduta da John McCain, il secondo da Madeleine Albright. Queste due figure non dovrebbero essere considerate dei politici ordinari, un leader dell’opposizione e una decana in pensione, ma come i responsabili attivi dei programmi del Consiglio di Sicurezza Nazionale.

Per inquadrare i principali partiti politici del mondo, IRI e NDI hanno rinunciato al controllo delle internazionali liberale e socialista. Hanno creato delle organizzazioni rivali, l’Unione Democratica Internazionale (IDU) e l’Alleanza dei Democratici (AD). La prima è presieduta dall’australiano John Howard. Il russo Leonid Gozman di Just Cause ne è il vice-presidente. La seconda è guidata dall’italiano Gianni Vernetti e co-presieduto dall’italiano Francesco Rutelli.

L’IRI e NDI si basano anche sulle fondazioni collegate ai principali partiti politici in Europa (sei in Germania, due in Francia, uno nei Paesi Bassi e un altro in Svezia). Inoltre, alcune operazioni sono state esternalizzate a misteriose società private, come la Democracy International Inc. che ha organizzato le recenti elezioni truccate in Afghanistan. Ex vice di Rahm Emanuel e attuale capo del NDI, Tom McMahon arriva in Francia per organizzare le primarie del Partito Socialista. Tutto questo lascia un sapore amaro.

Gli Stati Uniti hanno danneggiato la maggior parte dei principali partiti politici e sindacati di tutto il mondo. In definitiva, la "democrazia" che promuovono consiste nel discutere di questioni locali in ogni paese, come le questioni sociali dei diritti delle donne o dei gay, e allinearsi a Washington su tutte le questioni internazionali.

Le campagne elettorali sono diventate eventi di cui il NED sceglie il cast, fornendo ad alcuni, e non ad altri, le risorse finanziarie di cui hanno bisogno. Anche il concetto di alternanza ha perso il suo significato, dato che il NED promuove alternativamente una parte o l’altra, a patto che continui la stessa politica estera e di difesa.

Ci si lamenta oggi, nell’Unione europea e altrove, della crisi della democrazia. Questo è causato dalla NED e dagli Stati Uniti. E come si può descrivere un regime come gli Stati Uniti, dove il leader dell’opposizione, John McCain, in realtà è un dipendente del Consiglio di sicurezza nazionale? Certamente non una democrazia.

 

Il bilancio del sistema

USAID, NED, le loro istituzioni satelliti e le loro fondazioni intermedie hanno creato nel tempo una vasta e avida burocrazia. Ogni anno il bilancio adottato dalla NED dal Congresso, dà luogo ad accesi dibattiti sull’inefficienza di questo sistema e sulle voci pervasive di appropriazione indebita di fondi da parte delle figure politiche statunitensi responsabili della loro amministrazione.

Ai fini di una buona gestione, molti studi sono stati commissionati per misurare l’impatto di questi flussi. Gli esperti hanno confrontato gli importi stanziati in ogni stato e la classificazione democratica di questi Stati da parte di Freedom House. Poi hanno calcolato quanto hanno dovuto spendere dollari pro capite per aumentare di un punto la classifica democratica di un governo. Naturalmente tutto questo non è che un tentativo di auto-giustificazione. L’idea di istituire un rating democratico non è scientifica. In un certo senso è totalitario, presuppone che vi sia una sola forma di istituzioni democratiche. E in modo infantile, stabilisce un elenco di criteri diversi che pondera con coefficienti immaginari per trasformare la complessità sociale in un’unica cifra.

Inoltre, la maggior parte di questi studi concludono che è un fallimento: anche se il numero di democrazie nel mondo è cresciuto, non ci sarebbe alcun nesso tra il miglioramento o peggioramento democratico da un lato, e le somme spese dal Consiglio di sicurezza nazionale dall’altro. Viceversa, conferma che i veri obiettivi non hanno nulla a che fare con quelli indicati. Funzionari dell’USAID, però, citano uno studio condotto dalla Vanderbilt University, secondo cui solo le operazioni co-finanziato da USAID e NED sono state efficaci, perché l’USAID ha una gestione rigorosa del bilancio. Ciò non sorprende, questo studio singolare è stato finanziato dall’USAID...

Comunque, nel 2003, in occasione del suo ventesimo anniversario, la NED fece un bilancio della sua azione politica dimostrando che ha finanziato più di 6.000 organizzazioni politiche e sociali nel mondo, un dato che è cresciuto costantemente da allora. Ha affermato di aver costruito interamente il sindacato Solidarnoc in Polonia, Carta 77 in Cecoslovacchia e Otpor in Serbia. Era contenta di aver creato da zero radio B92 o il quotidiano Oslobodjenje nella ex Jugoslavia, e una serie di nuovi media indipendenti nell’Iraq "liberato".
Cambiamenti di copertura.

Dopo un successo mondiale, la retorica della democrazia non è più convincente. Utilizzandolo in tutte le circostanze, il presidente George W. Bush l’ha esaurita. Nessuno può seriamente sostenere che le sovvenzioni versate dalla NED elimineranno il terrorismo internazionale. Non più di quanto si possa dire, a posteriori, che le truppe USA hanno rovesciato Saddam Hussein per dare la democrazia agli iracheni. Inoltre, i cittadini di tutto il mondo che lottano per la democrazia sono diventati sospettosi. Hanno capito che il sostegno offerto dalla NED e dai suoi tentacoli, è in realtà un modo per manipolare ed intrappolare il loro paese. Quindi si rifiutano sempre più le donazioni "disinteressate" offerte loro.

Anche i responsabili statunitensi dei diversi canali di corruzione hanno pensato di mutare nuovamente il sistema. Dopo i trucchi sporchi della CIA e la trasparenza del NED, hanno in programma di creare una nuova struttura che permetterà di rilanciare un’istituzione screditata. Non gestirebbe più sindacati, padronati ed i due maggiori partiti, ma sarebbero delle multinazionali sul modello della Fondazione Asia.

Negli anni ’80, la stampa ha rivelato che questa organizzazione era una copertura della CIA per combattere contro il comunismo in Asia. Fu poi dismessa e la sua gestione fu affidata alle multinazionali (Boeing, Chevron, Coca-Cola, Levi Strauss,... ecc). Questo restyling è stato sufficiente per far sembrare rispettabile un’organizzazione non governativa con una struttura che non ha mai smesso di servire la CIA. Dopo la dissoluzione dell’URSS, fu sdoppiata con un’altra, la Fondazione Eurasia, incaricata di portare avanti azioni sotto copertura nei nuovi stati asiatici.

Un altro tema discusso è se le donazioni per la "promozione della democrazia", dovrebbero assumere la forma di contratti per eseguire progetti specifici o delle sovvenzioni senza l’obbligo di un risultato. La prima opzione offre una migliore copertura giuridica, ma la seconda è molto più efficace nel corrompere.

Dato questo panorama, il requisito di Vladimir Putin e Vladislav Surkov per disciplinare il finanziamento delle ONG in Russia è legittimo, anche se la burocrazia che hanno sviluppato per questo è scandalosa e schizzinosa. Il dispositivo della NED, istituito sotto l’autorità del Consiglio di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti, non solo non incoraggia gli sforzi democratici nel mondo, ma li avvelena.

 


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