C’è una ragione di fondo che impone alla sinistra la formazione di un governo giallo-rosso: la necessità, prima di porre termine alla legislatura, di disintossicare la società italiana dai veleni in essa immessi da oltre un anno di politiche ferocemente disumane contro i migranti. La Lega di Salvini intende «capitalizzare il consenso» ottenuto a tali politiche pretendendo nuove elezioni e chiedendo al popolo «pieni poteri».

 

L’idea elementare della democrazia sottostante a questa pretesa - poco importa se per analfabetismo istituzionale o per programmatico disprezzo delle regole - è la concezione anticostituzionale dell’assenza di limiti alla volontà popolare incarnata dalla maggioranza e, di fatto, dal suo capo: dunque, l’esatto contrario di quanto voluto dalla Costituzione, cioè la negazione del sistema di vincoli, di controlli e contrappesi da essa istituito a garanzia dei diritti fondamentali delle persone e contro il pericolo di poteri assoluti e selvaggi.

 

Non dimentichiamo quanto scrisse Hans Kelsen contro questa tentazione del governo degli uomini, e di fatto di un capo, in alternativa al governo delle leggi: «la democrazia», egli scrisse, «è un regime senza capi», essendo l’idea del capo al tempo stesso non rappresentativa della complessità sociale e del pluralismo politico, e anti-costituzionale perché in contrasto con la soggezione alla legge e alla Costituzione di qualunque titolare di pubblici poteri.

 

Di fronte a queste pretese, il dovere delle forze democratiche - di tutte quelle che si riconoscono non già nell’idea dell’onnipotenza delle maggioranze ma in quella dei limiti e dei vincoli ad esse imposte dalla Costituzione - è quello di dar vita a un governo che ripari i guasti prodotti proprio da chi quelle politiche velenose contro la vita e la dignità delle persone ha praticato e intende riproporre con più forza ove vincesse le elezioni.

 

Dunque un governo di disintossicazione dall’immoralità di massa generata dalla paura, dal rancore e dall’accanimento - esibito, ostentato - contro i più deboli e indifesi.

Non un governo istituzionale o di transizione, che si presterebbe all’accusa di essere un governo delle poltrone, ma al contrario un governo di esplicita e dichiarata difesa della Costituzione che ristabilisca i fondamenti elementari della nostra democrazia costituzionale: la pari dignità delle persone, senza differenze di etnia o di nazionalità o di religione, il diritto alla vita, il rispetto delle regole del diritto internazionale, prima tra tutte il dovere di salvare le vite umane in mare, il valore dei diritti umani e della solidarietà, il rifiuto della logica del nemico, come sempre identificato con i diversi e i dissenzienti e immancabilmente accompagnato dal fastidio per la libera stampa e per i controlli della magistratura sull’esercizio illegale dei poteri.

 

Su questa base non ha nessun senso condizionare il governo di svolta a un no a un Conte-bis o alla riduzione del numero dei parlamentari.

 

L’alternativa possibile è un governo Salvini, preceduta dalla riduzione dei parlamentari ad opera di una rinnovata alleanza giallo-verde, e poi chissà quante altre e ben più gravi riforme in tema di giustizia, di diritti e di assetto costituzionale.

 

Una probabile maggioranza verde-nera eleggerebbe il proprio capo dello Stato e magari promuoverebbe la riforma della nostra repubblica parlamentare in una repubblica presidenziale. Di fronte a questi pericoli non c’è spazio per calcoli o interessi di partito.

 

fonte: il manifesto

Hai voglia a fare smorfie, a dedicare ogni secondo alle telecamere senza le quali il nulla coprirebbe il peggio: esibendo il suo braccialetto di Salvini premier, che più di un progetto a breve termine ormai sembra un epitaffio, quella andata in onda ieri è stata una debacle politica e persino televisiva per Matteo Salvini. L’uomo-felpa ha chiesto pieni poteri ma se il percorso di un nuovo governo sostenuto da PD e 5 Stelle avrà seguito, non  avrà nemmeno quelli relativi alla funzione istituzionale. Ancora ieri si diceva pronto ad asserragliarsi al Viminale, finché qualcuno gli ha spiegato che è proprio da lì che deve sbrigarsi a uscire. Inutili e patetici i tentativi di innestare la marcia indietro per provare a riprendere il rapporto con Di Maio e restare sull’onda. La relazione del Primo Ministro Conte ha dato la misura di come un capitolo si sia chiuso ed ha avvertito i più lesti a cogliere i flussi che l’era del re Mida dei media è diventata quella del bauscia.

L’Iva aumenterà perché è caduto il governo o il governo è caduto perché l’Iva aumenterà? La seconda opzione è più convincente, ma poco importa. Il punto è che, a meno di miracoli all’italiana o di improbabili accordi con Bruxelles, dal primo gennaio 2020 l’imposta sui consumi salirà. E non di poco: l’aliquota ridotta passerà dal 10 al 13% e quella ordinaria dal 22 al 25,2%, per poi arrivare al 26,5% nel 2021.

Di chi è la colpa? Salvini e Di Maio hanno già iniziato a scaricare il barile sul Pd e su Forza Italia: “È un regalino ricevuto in eredità dai governi precedenti”, ripete da un anno e mezzo il leader della Lega. In linea di principio non ha torto: le clausole di salvaguardia furono introdotte dal governo Berlusconi nel 2011 per garantire all’Europa che l’Italia avrebbe rispettato gli impegni sui conti pubblici. Da allora, ogni anno l’esecutivo di turno le ha disinnescate (compensandole con tagli alla spesa o maggiori entrate fiscali), ma nessuno le ha mai cancellate: ogni volta la minaccia viene solo rinviata di 12 mesi.

Con la crisi agostana, Matteo Salvini si è procurato un inedito conflitto d’interessi. Niente di irrisolvibile, intendiamoci, ma il Capitano dovrà (forse) rinunciare a uno spicchio di quel potere assoluto che va costruendosi. Almeno per un po’. Se tutto andrà come il leader leghista si augura – e come al momento sembra inevitabile – si tornerà a votare per le elezioni politiche entro la seconda metà di ottobre (non più il 13, come si era detto all’inizio, ma più probabilmente il 20, se non il 27). Questo significa che, in mezzo a tanto caos, ci toccherà anche rispolverare il Rosatellum.

Ed è qui che nasce il dilemma. La legge elettorale vergata dal pretoriano di Renzi, infatti, impone alle forze politiche di nominare un “capo”. Non viene chiamato ufficialmente “candidato premier”, perché la Costituzione non lo prevede, ma ufficiosamente è proprio di questo che si tratta.

Il Governo del Cambiamento è cambiato talmente tanto da implodere. Lo strapotere comunicativo di Salvini – amplificato da un sistema mediatico incapace di criticarlo – alla fine ha ridotto in poltiglia l’alleato a 5 Stelle, sempre più simile a una compagnia d’improvvisazione teatrale che a una forza politica. “Andiamo subito in Parlamento per prendere atto che non c'è più una maggioranza, come evidente dal voto sulla Tav, e restituiamo velocemente la parola agli elettori”. Dopo un’ora di colloquio con Giuseppe Conte, giovedì sera il leader della Lega ha scelto queste parole per dichiarare ufficialmente la morde dell’Esecutivo.  


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