di Marco Dugini

Mentre la polemica sul testo dell'Ucoii, che ha paragonato le stragi in Libano a quelle di sterminio razziale della Shoah, ha nuovamente infiammato il dibattito sull'integrazione dei cittadini non comunitari, Berlusconi parla in termini nostalgici di "Italia agli italiani", il ministro Amato propone una "Carta dei valori" democratici da sottoscrivere per ottenere la cittadinanza, alcune forze politiche minacciano prossime "invasioni", e si torna pure a parlare di politiche dell'integrazione, assimilazionismo, multiculturalismo, cioè concetti e modelli da lungo tempo dibattuti in sociologia. In questo caso il campo sociologico è assai interessante, in quanto scevro dalle strumentalizzazioni e dall'ideologia della paura più o meno politically correct cui ci ha abituato la politica, in particolare le formazioni dalle fondamenta culturali populiste e/o xenofobe.La distinzione tra i due campi, l'uno sociologico, l'altro politico, si vede bene attraverso le prese di posizione di chi li batte entrambi.

di Alessandro Iacuelli

Il quadrimotore B-29 battezzato Enola Gay dal nome della madre del suo comandante, il colonnello Paul W. Tibbets, era partito alle 2.45 del 6 agosto 1945 dalla pista di Tinian, nelle isole Marianne.
Con il B-29 di Tibbets erano partiti altri due aerei, muniti di apparecchiature per rilevare gli effetti prodotti dallo scoppio; a loro volta i tre quadrimotori erano stati preceduti da altri ricognitori, che avevano il compito di segnalare a Tibbets, in base alle condizioni atmosferiche, su quale delle 4 città individuate come possibili obiettivi occorreva dirigersi.
A bordo sapevano di portare un carico eccezionale, come eccezionali erano le disposizioni date per quel bombardamento, diverso dai precedenti. Tra le misure prescritte c'era quella di indossare, alcuni attimi prima del lancio, occhiali scurissimi da tenere fino ad esplosione avvenuta. La contraerea giapponese non entrò in azione, si trattava di un solo aereo, ad altissima quota. A quota talmente elevata da non potere fare danni, con delle bombe convenzionali. Non fu neanche azionato l'allarme antiaereo per allertare la popolazione civile. Di solito, gli aerei americani che volavano a quote così alte erano dei semplici ricognitori.

di Giorgio Ghiglione e Matteo Cavallaro

Infuria da qualche tempo al di là dell'atlantico una strana passione per Roma e il suo impero, questa passione riguarda in principal modo il domino che la civiltà dei Cesari è riuscita ad ottenere in gran parte del mondo conosciuto.
Nell'eccezione statunitense, gli USA rappresentano la versione moderna dell'impero Romano e della sua missione civilizzatrice.
Principali animatori di questo dibattito sono le fondazioni di ispirazione neocon. In questi anni, infatti molti analisti e think-tank vicini al governo centrale hanno sterzato verso i paragoni con l'Imperium di romanica memoria. Questa nuova retorica delle elites conservatrici ha trovato spazio, anche da noi, in un articolo di qualche mese fa sul Il Riformista, in un editoriale intolato "L'america faccia sua la lezione dell'Impero Romano". L'autore è nientemeno che Rufus Fears,il presidente di quella Heritage Foundation legata a doppio filo con il partito repubblicano e la figura di Ronald Regan.

di Bianca Cerri

Come tutti i ragazzi di 14 anni, Hasan avrebbe voluto diventare un uomo forte, leale e coraggioso. Invece percorreva ogni sera lo stesso reticolo di strada a Baghdad, vendendo i suoi favori a chiunque volesse acquistarli. A volte lo pagavano con un po' di cibo e qualche spicciolo, ma lui s'illudeva che nell'Iraq "liberato" del futuro la sua vita non sarebbe stata più il disastro che era. Una mattina lo hanno ritrovato steso a terra con due proiettili sparati da un'arma militare nel cranio. Non ha avuto neppure un funerale, perché la sua famiglia, rimasta senza mezzi, non ha potuto offrirgliene uno e il suo corpo è finito in una fossa comune. I giovani che come Hasan si avventurano ogni notte nelle strade di Baghdad per vendere il loro corpo, sono oggi circa 4.000. La polizia alleata dei militari li bracca e la gente li considera degli omosessuali, una categoria che nell'Iraq "liberato" è circondata da ostilità. Privi di qualsiasi punto di riferimento e senza più una famiglia che li sostenga, gli adolescenti che incrementano il mercato del sesso non hanno a disposizione altro che il proprio corpo per sopravvivere, perché le "autorità" si sono da tempo chiamate fuori dal problema in modo alquanto spiccio.

di Sara Nicoli

Il 10 luglio 1976 i cittadini di Seveso si svegliarono dentro un film dell'orrore: i loro animali erano tutti morti nei cortili, gli alberi completamente spogli con le foglie a terra, alcuni dei loro figli si stavano lentamente ricoprendo di piaghe misteriose. Era successo un disastro, ma ci sarebbero volute settimane prima di capire che tutto dipendeva da una fabbrica chimica distante poche centinaia di metri dal centro abitato. Un operaio dell 'Icmesa, di proprietà della svizzera Givaudan e partecipata dal colosso farmaceutico Roche, per un errore tecnico aveva causato l'esplosione di un reattore interno e provocato la fuoriuscita nell'ambiente di una nuvola di gas a cui al momento non si dette un nome, ma era diossina. Seveso, trent'anni dopo, è ancora una ferita aperta. Ma al di là della cronaca, dei sopravvissuti e dei loro risarcimenti troppo esigui rispetto alla sciagura che li ha segnati per sempre, di un paese raso al suolo per bonificarne il terreno fino a decine di metri di profondità, quella nuvola di diossina rappresenta un momento, nella storia del lavoro in Italia, che ha fatto da spartiacque nella gestione del sindacato e delle aziende nei confronti della sicurezza sul lavoro e delle politiche ambientali.


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