di mazzetta

Due anni fa le armate etiopi del dittatore Meles Zenawi invadevano la Somalia appena pacificata sotto il governo delle Corti Islamiche, il primo dopo quindici anni di vuoto assoluto di potere e di faide tra signori della guerra. Il pretesto etiope era l'impossibile attacco somalo all'Etiopia, potenza regionale, da parte degli stessi somali male in arnese e piegati da tre lustri di distruzioni continuate. La più classica “guerra preventiva” contro una minaccia inesistente, la brutta copia dell'invasione dell'Iraq. Ma allora ci fecero caso in pochi, anche se la Somalia è considerata il paese potenzialmente più ricco di petrolio del continente dopo il Sudan. La realtà è quella di un'invasione per procura americana e nessuno ha mai creduto realmente che in Somalia qualcuno abbia mai pensato a suicidarsi aggredendo il potente vicino.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Continua e si estende la ostpolitik vaticana nei confronti della Russia, mentre si evidenzia sempre più che i due “polmoni” d’Europa - Est ed Ovest - hanno davanti a se l’occasione di ricomporre la secolare frattura fra Occidente e Oriente cristiano. Prima il cardinale Dionigi Tettamanzi, poi l'arcivescovo di Napoli, cardinale Crescenzio Sepe (latore di un messaggio di Ratzinger ad Alessio II) quindi il cardinale francese André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi e presidente della Conferenza dei vescovi di Francia. Quest'ultimo é personaggio di spicco, esperto negoziatore. Tutte nuove tappe nelle relazioni tra Chiesa ortodossa russa e Chiesa cattolica. Sembra quindi superata la crisi intercorsa a motivo della riorganizzazione delle strutture ecclesiastiche cattoliche in Russia, nei primi mesi del 2002, che segnò il punto più alto delle tensioni che avevano caratterizzato tutti gli anni Novanta e che erano andati a condensarsi attorno a due questioni: la presenza di strutture ecclesiastiche cattoliche nei territori ex sovietici, soprattutto nella Federazione Russa, con la conseguente accusa da parte ortodossa di proselitismo, e la rinascita della Chiesa greco-cattolica ucraina.

di Fabrizio Casari

Le elezioni amministrative in Nicaragua hanno prodotto una schiacciante vittoria del Frente Sandinista de Liberaciòn Nacional. Il risultato elettorale, in qualche modo prevedibile data l’inversione di tendenza netta del governo sandinista dai precedenti governi ultraliberisti, tanto in termini di politiche sociali come di collocazione internazionale del paese, conferma - anzi aumenta - la già rimarchevole presenza sandinista al governo nella maggioranza delle amministrazioni locali. Erano 146 i municipi chiamati al voto e, secondo i dati forniti dal CSE, in 101 hanno vinto i sandinisti, oltre ad essersi aggiudicati 11 su 17 capoluoghi di provincia. La capitale, Managua, e tutte le più popolose città del paese, sono ora governate dal Fsln. Quella sandinista é una vittoria che sembra premiare i due anni di attività del governo guidato da Daniel Ortega. Il candidato dell’estrema destra, Eduardo Montealegre, ex funzionario somozista e candidato sconfitto alle presidenziali di due anni orsono, si é però rifiutato di riconoscere la sconfitta ed ha invitato i suoi squadristi ad invadere le strade. Il Consiglio Supremo Elettorale, unica autorità istituzionale ad aver titolo per dichiarare i risultati ufficiali, ha assegnato la vittoria al partito rojojnegro respingendo reiteratamente le accuse di brogli che l’opposizione liberale filo-statunitense denunciava già da diversi mesi prima del voto.

di Carlo Benedetti

Non è certo un ritorno a Bretton Woods, a quella conferenza che si tenne dal 1 al 22 luglio del 1944 nella piccola cittadina statunitense del New Hampshire (dove si stabilirono regole e linee fondanti per le relazioni commerciali e finanziarie tra i principali paesi industrializzati del mondo), ma è certo che ora, a Washington, dove i leader del G20 (un club di Paesi che insieme determinano l'82 per cento dell'economia mondiale e oltre il 60 per cento della popolazione del pianeta) si sono riuniti per ricercare quella cosiddetta “via d’uscita” da una crisi violenta - vero tsunami generale - si scopre che l’avventura non è finita pur se si notano all’orizzonte alcuni progressi. Washington, quindi, come sede di nuovi mercanteggiamenti e di nuove fasi di studio?

di Eugenio Roscini Vitali

Secondo Teheran è colpa del prezzo del petrolio, passato dai 147 dollari al barile di luglio ai 64 dollari di fine ottobre. Sta di fatto che in Iran si iniziano a vedere i primi segni di stretta creditizia, difficoltà che si aggiungono allo stato di malessere che attraversa il mondo politico ed istituzionale e che dipendono solo marginalmente dalla crisi economica mondiale. Riserve per 175 miliardi di dollari e una grande voglia di spendere si scontrano infatti con una paurosa crescita dell’inflazione e una forte svalutazione del rial, la moneta iraniana. Il quotidiano Kargozaran denuncia che l’aumento dei prezzi è un fatto del tutto irrazionale e in un articolo pubblicato il 29 settembre scorso parla di un’impennata del costo della vita pari a circa il cinquanta per cento, valore registrato in un solo mese su un paniere di 45 prodotti alimentari.


Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy