di Giuseppe Zaccagni

Da Belgrado parte un nuovo allarme per il Kosovo: “Se si dovesse giungere alla situazione estrema di concedere ad una parte del nostro territorio serbo l’indipendenza, sarebbero violati i principi cardine del diritto internazionale, si calpesterebbe la carta dell’Onu, si annullerebbero i risultati dell’Atto di Helsinki, sarebbe destabilizzata l’intera area occidentale dei Balcani e potrebbero scoppiare nuovi conflitti armati”. Parole forti. A pronunciarle è Goran Bogdanovic, uno dei massimi esponenti della direzione slava, membro del team negoziale per la questione kosovara. La sua dichiarazione arriva pochi giorni prima dell’incontro che inizia oggi a Vienna e viene valutata, dagli osservatori internazionali, come una vera e propria dichiarazione di guerra dal momento che non sono escluse azioni di rivolta che, ovviamente, sarebbero scatenate da quanti, a Pristina, non vogliono staccarsi dalla madrepatria serba. Secca la risposta che arriva da parte degli albanesi che, invece, soffiano sul fuoco della contrapposizione etnica. E così il presidente di Tirana, il veterinario Bamir Topi, esce allo scoperto per sostenere, in modo ufficiale, che il Kosovo “deve essere indipendente”. Esclude categoricamente un ritorno alla situazione preesistente al 1999 e prospetta una soluzione geopolitica completamente nuova.

di Raffaele Matteotti

Sospensione delle garanzia costituzionali, nomina d’autorità di un nuovo presidente della Corte Costituzionale, radio e Tv chiuse, stato d’assedio. Queste le ultime decisioni del dittatore pachistano Musharraf che vedono la situazione nel paese diventare di ora in ora sempre più critica. Ma non è che l’ultima delle performance alla quale il padrone del Pakistan ha abituato il mondo intero ad assistere. Negli ultimi anni, infatti, Musharraf ha dovuto superare molte difficoltà. Ma ha sicuramente le qualità necessarie per permanere al potere, visto che è riuscito a sopravvivere a più di sette attentati, alla minaccia di Bush di riportare il Pakistan all’età della pietra, all’ostilità talebana e di al Qaeda e anche allo scarso gradimento che riscuote presso il resto dei suoi compatrioti. Quest’anno Musharraf ha deciso un giro di vite contro i fanatici islamici, che si è concretizzato nell’ormai famosa distruzione della Moschea Rossa ad Islamabad. Da allora le cose per il suo governo sono decisamente peggiorate. Stretto tra gli americani che gli chiedevano durezza verso i santuari talebani in Waziristan e i partiti di ispirazione islamica che gli chiedevano conto dell’ostilità verso i correligionari, Musharraf sembrava aver accettato a malincuore un accordo per una parziale transizione del potere.

di Daniele John Angrisani

Che fine han fatto i prigionieri 'fantasma' della CIA? E' questa la domanda che si pongono in molti a Washington, non ultimo il principale quotidiano della capitale, il Washington Post, che proprio ieri ha pubblicato una inchiesta sul destino dei prigionieri dimenticati della guerra al terrorismo. Stiamo parlando di quei detenuti di alto grado che, sin dall'inizio della guerra, erano stati nascosti all'opinione pubblica e detenuti in alto segreto nelle carceri della CIA. Lì la gran parte di loro era stata sottoposta ad un regime di detenzione che, secondo tutte le norme internazionali, verrebbe definito di tortura e che solo i consulenti legali della Casa Bianca si ostinano ancora oggi a chiamare in modo diverso. Sta di fatto che poco più di un anno fa, il 6 settembre 2006, per rispondere alle proteste internazionali, il presidente Bush aveva deciso di chiudere definitivamente queste carceri segrete (o almeno affermare di averlo fatto) e trasferire 14 tra i più importanti detenuti di Al Qaeda nel carcere di Guantanamo. Tra questi il presunto organizzatore degli attentati dell'11 settembre 2001, Khalid Sheikh Mohammed, ed il suo vice, Ramzi Binalshib. Eppure, come fa notare il Washington Post, da allora all'appello mancano ancora circa 30 detenuti. Cosa è successo loro?

di mazzetta

Continua a peggiorare la situazione in Somalia, dove la violenza ha raggiunto livelli che non si vedevano da oltre dieci anni. Le truppe etiopi d’invasione e le bande dei signori della guerra ai quali è stato affidato il governo-fantoccio su indicazione del Dipartimento di Stato americano, hanno gettato nel caos il paese: Mogadiscio è un campo di battaglia e i suoi abitanti fuggono a centinaia di migliaia. Oltre quaranta organizzazioni umanitarie hanno redatto un appello, denunciando l’imminente pericolo di vita per oltre trecentomila persone; un po’ meno di quante ne sono morte nella tragedia del Darfur. Mentre la capitale somala è ridotta ad un campo di battaglia, sono scoppiati scontri anche tra le regioni semi-autonome del Puntland e Somaliland, lasciando ai somali ben poche aree del paese nelle quali rifugiarsi per sfuggire alla guerra. Il Governo Federale Transitorio, o chi per lui, rifiuta di distribuire il cibo nei campi-profughi, sostenendo che donne e bambini sono “terroristi”. Nell’ultima settimana è anche stato arrestato e detenuto per alcuni giorni il responsabile del Programma Alimentare Mondiale (PAM), accusato dalla banda governativa di sostenere i “terroristi islamici”: arrestato e detenuto senza che gli fosse contestata alcuna accusa.

di Giuseppe Zaccagni

Un socialismo reale, dal volto umano, democratico; un socialismo da inventare, maturo, un socialismo dell’era atomica, un socialismo scientifico, plurale, liberale, utopistico, scandinavo, britannico, dottrinario, un socialismo di Stato, costruttivo, cristiano, popolare”… Ed ora, a questo elenco di definizioni che fanno parte dell’armamentario ideologico del socialismo, si aggiunge, dalla Città proibita di Pechino - dove si è celebrato il XVII° congresso della Cina comunista - la teoria di un “socialismo dal volto cinese” che dovrebbe rispettare e valorizzare le esigenze delle etnie nazionali operando in un clima generale di riforme economiche, aperture e modernizzazioni. Non sarà, ovviamente, l’anticamera di una società perfetta (e solo pensarlo sarebbe una bestemmia) ma sarà pur sempre uno degli esperimenti più interessanti tentato nell’ambito dei paesi emergenti, anche se resterà difficilmente esportabile. E’ questa, comunque, la sfida che il rieletto segretario Hu Jintao (forte del voto dei 2213 delegati che rappresentano 73,36 milioni di iscritti su una popolazione di 1.313.973.713) lancia all’intera società, uscendo dai ristretti limiti dell’organizzazione politica e presentando un vertice rinnovato e ringiovanito con una buona schiera di cinquantenni.


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