di Carlo Benedetti

Quella “fredda” (ammesso che ci sia stata perché l’altra era pur sempre una tragica presenza, continuazione palese del secondo conflitto mondiale) è ora un ricordo. Domina, infatti, la vera e attuale guerra “calda”. Quella che in termini geostrategici si misura a colpi di missili, a raffiche di mitraglia, a invasioni ed annessioni, ad attentati. Con operazioni economiche segnate da speculazioni epocali che portano sempre più a far aumentare quell’arroganza del potere che è, di volta in volta, made in Usa o in Russia. “La guerra - lo ricorda Heidegger - è diventata una sottospecie dell’usura della terra che viene continuata in tempo di pace, nel tentativo di accaparrarsi tutti i fondi e tutte le materie prime utili al proprio potenziamento”. Guerra, quindi. Ma è anche vero che quando si parla di “venti di guerra” rispunta sempre quella teoria dell’antiamericanismo che molti considerano come una moda da radical chic. Una “teoria” che torna a prendere più che mai piede proprio in seguito alla politica americana che non fa altro che presentare il suo volto negativo ed odioso - Bush docet - in ogni angolo della terra.

di Alessandro Iacuelli

I militari turchi hanno "carta bianca" per attuare, se e quando lo riterranno necessario, un intervento in Nord Iraq al "solo fine" di liquidare i campi di montagna da cui muovono i ribelli curdi del PKK per compiere attacchi armati in Turchia. Lo dice una mozione approvata dal Parlamento turco, con 507 voti a favore e appena 19 contrari. Un plebiscito. Gli unici voti contrari sono stati quelli dei deputati del movimento filocurdo del Dtp (Partito per una società democratica). L'approvazione della mozione è condizione necessaria per un'operazione militare oltre confine. La prima reazione, preoccupata, viene da Washington, dove il presidente Bush ha subito dichiarato che "le incursioni non sono la soluzione e non sono nell'interesse della Turchia". Bush ne ha anche approfittato per rimproverare i deputati americani che la scorsa settimana hanno approvato in Commissione, con una maggioranza larghissima che ha visto concordi democratici e repubblicani, la risoluzione sul genocidio degli armeni, provocando le ire dei turchi. "Il Congresso non dovrebbe occuparsi della storia dell'Impero Ottomano. Ha meglio da fare che contrapporsi ad un alleato democratico nel mondo musulmano, che fornisce sostegno vitale ogni giorno alle nostre forze armate", ha detto il presidente americano.

di Eugenio Roscini Vitali

Che la Striscia di Gaza sia una grande prigione a cielo aperto è una cosa ormai assodata, come è risaputo che in un’area di 360 kmq vive una popolazione di un milione e quattrocentomila palestinesi e che, dall’inizio della seconda Intifada, l’Intifada di al-Aqsa, i bulldozer israeliani hanno raso al suolo tremila case, rendendone inagibili altre quattromila. Purtroppo è altrettanto vero che negli ultimi sette anni sono morti più di tremila palestinesi - 500 dei quali bambini - e che la vita lungo la Striscia è diventata insopportabilmente pericolosa. Questi sono numeri, solo numeri che descrivono una tragedia che ormai sembra non avere più fine e che sembra essere entrata nella quotidianità. Numeri che considerati come fenomeno statistico dovrebbero essere meglio compresi da chi è indifferente a questa catastrofe umanitaria e vuole giustificate una strage come il risultato di uno scontro politico-religioso, una guerra tra fazioni, la lotta all’estremismo palestinese o quella al terrorismo jihadista. Per coloro che includono queste morti nella categoria dei “danni collaterali” è comunque insignificante che gran parte dei tremila morti non ha mai avuto una militanza politica, ne guerrigliera, ne è ha mai svolto un ruolo attivo nell’intifada.

di Carlo Benedetti

Cambia la geopolitica asiatica e nasce una nuova alleanza che ha come campo d’azione un mare strategico: il Caspio. E’ un bacino di circa 400.000 chilometri quadrati sul quale si affacciano cinque paesi che si incontrati a Teheran e accordati per non concedere le proprie basi per eventuali attacchi militari contro un altro Stato rivierasco. Ed è un momento di svolta destinato a segnare l’inizio di una nuova epoca nei rapporti tra l’Asia e gli Usa. E ancora una volta è la capitale iraniana la città dei patti storici. Ma se nel lontano 1943 ad incontrarsi qui, per decidere le sorti dell’Europa occidentale, erano stati i tre grandi - l’americano Roosevelt, l’inglese Churchill e il sovietico Stalin - ora sono altri leader a dettare piani e programmi per il futuro e per dire all’Occidente che questa “cortina del Caspio” che sta nascendo servirà come un ammonimento rivolto a chi volesse mettere le mani sull’oro nero della regione. Questa volta mancano all’appello - volutamente - americani e inglesi. Dei vecchi alleati c’è solo la Russia di Putin. E così al tavolo dell’incontro, accanto al presidente del Cremlino (che, in pratica, si svincola da un temporaneo matrimonio di interessi con l’Occidente) siedono altri nuovi grandi. Sono i capi dell’Iran, Mahmud Ahmadinejad; dell’Azerbaigian, Ilcham Aliev; del Kazakhstan, Nursultan Nazarbayev e del Turkmenistan Gurbanguly Berdymuchammedov.

di Bianca Cerri

E’ stato un applauso planetario quello che è scrosciato una settimana fa quando l’ex-vice presidente degli Stati Uniti, Al Gore, si aggiudicava il Nobel per la pace riuscendo a primeggiare su diecimila monaci buddisti, un eroe dell’olocausto e due benefattori del rock come Bob Geldof e Bono. Gore ha accettato il premio dicendosi onorato ma, subito dopo, è subito tornato a ribadire che il surriscaldamento globale è una vera emergenza contro la quale non si sta facendo abbastanza e solo l’impegno collettivo potrà evitare la catastrofe. Secondo i giornalisti più disincantati, l’ex-presidente sta solo cercando la leva giusta per spiccare il volo verso quella vittoria elettorale sfuggitagli per un pelo nel 2000. Ma Hillary Clinton, la cui antipatia nei confronti di Gore è storia antica, ha detto con toni alquanto gelidi che di candidati ce ne sono già a sufficienza. D’altra parte, i due si odiavano già negli anni in cui lei era semplicemente la first lady, figuriamoci cosa accadrebbe se dovessero ritrovarsi a contendersi la Casa Bianca. Sia come sia, Al Gore è riuscito a portarsi a casa un premio Oscar e il Nobel per la pace in meno di due anni.


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