di mazzetta

Gli avvenimenti degli ultimi giorni in Sudan hanno avuto una scarsa eco sui media, ancora meno a livello politico o tra i tanti personaggi che in questi anni si sono recati in pellegrinaggio in Darfur per apparire sulle televisioni di Roma, Parigi o Los Angeles. Uno dei principali gruppi di opposizione locale in Darfur ha attaccato la capitale del Sudan; un attacco robusto con centinaia di automezzi armati, che però è stato affrontato e sconfitto dall'esercito regolare. I militanti del JEM (Justice and Equality Movement) hanno così conseguito due disastrosi risultati in un colpo solo: la perdita della loro capacità militare e la distruzione della narrazione che vede le popolazioni del Darfur in balìa di un governo impazzito. Con lo status di vittime hanno perso molto più di qualche centinaio di uomini e mezzi.

di Fabrizio Casari

Tutto comincia con una operazione illegittima dell’esercito colombiano in pieno territorio dell’Ecuador. Il 1 marzo di quest’anno, coadiuvati dalla Cia, che fornisce attraverso i rilievi satellitari il luogo preciso dove colpire, i soldati di Uribe, a bordo di elicotteri da combattimento, bombardano dall’alto prima e scendono a terra per finire i sopravvissuti poi, un accampamento di poche unità delle Farc, al cui comando si trova Raul Reyes, il “ministro degli Esteri” della guerriglia colombiana guidata da Manuel Marulanda, alias “Tiro fijo”. Ventiquattro i morti, colti nel sonno; solo tre le persone sopravvissute al blitz: una donna messicana e due colombiane, oggi accolte dal Nicaragua di Daniel Ortega che le ha concesso asilo politico. Lo scopo del blitz era quello di uccidere il capo dei negoziatori delle Farc e quanti più suoi compagni, ma l’obiettivo principale che si voleva raggiungere era di tipo strategico e si basava su tre direttrici contemporanee: mettere in grave difficoltà le Farc ed i suoi rapporti internazionali attraverso l’eliminazione di Raul Reyes; fermare in questo modo i negoziati con il Venezuela e soprattutto con la Francia per la liberazione di Ingrid Betancourt; intimidire l’Ecuador di Rafael Correa e lo stesso Venezuela insinuando una capacità militare di Bogotà che ignora confini e diritto pur di colpire i suoi nemici.

di Valentina Laviola

Alcuni giorni fa una sentenza in Malaysia ha di fatto permesso l’apostasia di un’imputata. Siti Fatimah Tan Abdullah ha vinto la sua battaglia trovando legalmente riconosciuto il suo abbandono della religione islamica per tornare al buddismo. La signora, nata cinese, si era convertita all’Islam solo per sposare un uomo musulmano, il quale l’aveva lasciata dopo pochi mesi; pertanto, il giudice Othman Ibrahim della “Syarie High Court” ha accettato la sua istanza, dichiarando che la suddetta non aveva mai praticato davvero gl’insegnamenti dell’Islam; il magistrato ha inoltre redarguito il “Penang Islamic Religious Council” per non essere stato all’altezza delle proprie responsabilità nell’istruire e seguire i neo-convertiti. Si tratta di un epilogo quantomeno insolito, dati i precedenti in materia nella cronache recenti.

di Elvira Corona

Verità e ricerca di giustizia sono state protagoniste gli scorsi giorni dell'incontro a Cagliari con Tecla Ferranda dell'associazione di giuristi democratici e Silvia Baraldini, l'attivista condannata a 43 anni di prigione negli Stai Uniti. La verdad de frente al mundo (la verità di fronte al mondo ndr) è il titolo del documentario realizzato e presentato dall'Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba all'apertura dell'incontro. Un lavoro frutto di oltre due anni di ricerca e studio di numerosi documenti della C.I.A., del Dipartimento di Stato e di Giustizia Usa, oggi non più coperti da segreto di Stato, che racconta come gli Stati Uniti si comportino diversamente nei confronti del terrorismo, seguendo un doppio binario. Se da un lato sono previste dure e severe condanne, capaci di giustificare guerre in altri paesi e profonde restrizioni alle libertà dei cittadini comuni (si pensi al terrorismo islamico), dall'altro invece la democrazia più potente del mondo mostra una certa tolleranza o peggio, il terrorismo lo foraggia. Quest'ultimo é l'atteggiamento assunto nei confronti e a danno di Cuba, l'isola cosi vicina geograficamente agli Stati Uniti, ma politicamente profondamente lontana.

di Giuseppe Zaccagni

Sono in 57mila, parlano il Kaallisut, vivono in un paese (soggetto alla corona danese) di 2.166.086 chilometri quadrati coperto dai ghiacci, con una densità abitativa pari allo 0,03 per Kmq. Sono gli eschimesi (Inuit) che ora - pur tenendo conto di svariate considerazioni politiche ed economiche - cominciano una lunga marcia che li dovrebbe portare alla conquista della loro terra, spezzando i legami che li tengono uniti alla Danimarca. E così organizzano un referendum e alzano il tiro cercando di trovare i relativi meccanismi giuridici capaci di rendere vantaggiosa la loro eventuale separazione dalla cosiddetta madrepatria. Per ora si è all’inizio del processo pur se gli eschimesi locali sanno che il futuro è pieno di ostacoli. A cominciare dal fatto che manca una classe dirigente locale. E sono del tutto assenti i quadri tecnici che potrebbero garantire uno sviluppo autonomo.


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