di Eugenio Roscini Vitali

Beirut è di nuovo divorata dalla guerra e questa volta la resa dei conti potrebbe essere definitiva. Lo scontro, ormai aperto, vede di fronte i partigiani Hezbollah di Hasan Nasrallah, sostenuti da Siria e Iran, e i gruppi fedeli al governo del premier Fouad Siniora, appoggiati da Washington e, più velatamente, da Israele. Il bilancio degli scontri è ancora provvisorio ma, come negli anni della guerra civile, la capitale libanese è di nuovo divisa e i quartieri e le strade della zona occidentale sono tornati ad essere teatro di violenti combattimenti: raffiche di mitra, esplosioni, vetrine in frantumi, corpi che giacciono a terra, sangue e paura, tutto come vent’anni fa. Il Paese, che da più di cinque masi è senza Capo dello Stato, sta entrando in una spirale di violenza senza ritorno, un meccanismo innescato da pressioni esterne che hanno esacerbato posizioni politiche, già drammaticamente contrapposte, e che certamente determinerà collasso istituzionale pressoché totale.

di Alessandro Iacuelli


E' stato firmato a Mosca, giusto all'ultimo giorno della presidenza di Putin, un patto di cooperazione tra Russia e Usa sul nucleare civile. L'accordo, lo riferisce l'agenzia Itar-Tass, è stato firmato dal capo della società nucleare russa Sergei Kirienko e dall'ambasciatore Usa a Mosca William Burns, prevede un'ampia cooperazione fra i due Paesi per l'uso dell'energia atomica a scopi industriali, in aree come la vendita e lo stoccaggio dell'uranio, nonchè un lavoro comune su programmi avanzati per i reattori. Una volta ex nemici, Washington e Mosca siglano così un accordo storico di cooperazione in un settore delicato come quello dell'energia nucleare. Nel giorno in cui lascia il Cremlino a Dmitry Medvedev, Vladimir Putin incassa un risultato importante in termini di fiducia da parte dell'Occidente. L'accordo permetterà alle parti di formare joint venture nel settore e di trasferirsi l'un l'altra tecnologie e materiali nucleari, aprendo la strada a quelle che Kiriyenko ha definito "grandi opportunità economiche" per entrambi.

di Giuseppe Zaccagni

Ad Harare crollano promesse ed ideali e l’intero paese - lo Zimbabwe - si ritrova sconvolto, in uno stato di continua contraddizione fra la retorica dei propri obiettivi e la realtà dei fatti: completamente stroncato economicamente e socialmente da un’inflazione iperbolica con più dell'80 per cento della popolazione che è disoccupata e bisognosa di aiuti umanitari per sopravvivere. Non ci sono più, di fatto, medicine e le epidemie falcidiano senza sosta: l’Aids colpisce un terzo della popolazione, la mortalità infantile è di 81 bambini su mille, la malaria imperversa a causa della mancanza di acqua potabile anche nelle città. Crolla così quell’impero costruito dal presidente Robert Mugabe che oggi, ultraottantenne e forte di un potere pressoché incontrastato che dura da 28 anni, è riuscito a mettere in ginocchio l’intera realtà nazionale un tempo nota come il granaio dell'Africa.

di Bianca Cerri

“Buon viaggio”, queste erano state le ultime parole di Michael Richards prima che i veleni dell’iniezione letale iniziassero ad invadere il suo sangue la sera del 25 settembre 2007. Come tutti i condannati a morte, Richards aveva voluto accomiatarsi dal mondo con un epitaffio personale. Dopo sette mesi durante i quali nessun nuovo epitaffio era andato ad aggiungersi alla lunga serie di quelli esistenti, da ieri la tradizione avrebbe dovuto riprendere con l’esecuzione di William Lynd, la prima portata a termine dopo la decisione della Corte Suprema sull’ammissibilità dell’iniezione letale. Ma Lynd ha preferito finire la sua vita in silenzio, senza lasciare dietro di sé neppure una parola. Poche ore prima il Board of Pardons & Paroles aveva rifiutato di accogliere la richiesta di clemenza presentata dai suoi avvocati.

di Michele Paris

A quasi due mesi di distanza dall’ultimo grande successo in una delle primarie in corso per la nomination democratica (1 marzo in Mississippi con un margine di 24 punti percentuali), Barack Obama torna a conquistare uno Stato prevalendo in North Carolina con il 56% delle preferenze contro il 42% della sua rivale. Una vittoria limpida quella del Senatore dell’Illinois che, assieme al quasi pareggio dell’Indiana (49% a 51%), gli permette di consolidare il suo vantaggio su Hillary Clinton sia nel bilancio dei delegati conquistati, sia per quanto riguarda il voto popolare, nonché di guardare con una certa fiducia ai rimanenti appuntamenti in calendario fino ai primi di giugno vedendo aumentare anche le proprie chances di unificare il Partito Democratico intorno alla sua candidatura dopo le polemiche delle ultime settimane. Per l’ex First Lady, sulla quale verosimilmente nei prossimi giorni aumenteranno le pressioni per un ritiro dalla competizione, non è arrivata invece quella vittoria travolgente che auspicava in Indiana sulla scia delle precedenti affermazioni in Ohio e in Pennsylvania, né il margine in North Carolina è stato ridotto in maniera significativa nonostante il potente dispiegamento di mezzi messo in campo dal suo staff.


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