di Agnese Licata

Non è certo un bel periodo, questo, per le case farmaceutiche statunitensi. Principi attivi con profitti annui da capogiro, ma brevetti in scadenza. Ridotta capacità d’innovare e di creare nuove e redditizie molecole. E poi, soprattutto, farmaci messi in commercio con enormi speranze che però, uno dopo l’altro, si sono rivelati più pericolosi che utili per i pazienti a cui erano stati somministrati, costringendo la Food and Drug Administration (Fda) a ritirarli dal mercato. È il caso del Vioxx, un antidolorifico che aveva la piccola controindicazione di raddoppiare il rischio di attacchi di cuore in chi lo assumeva. La Merk, l’azienda che lo produceva e che dal 2004 non ha più potuto venderlo, è ancora alle prese con le migliaia di cause fatte da persone che lo assumevano. Percorso simile anche per il Ketek, l’ennesimo antibiotico destinato ad affollare i banchi di farmacie e ospedali, salvo poi scoprire che era responsabile di danni al fegato. Più di recente, è finita male anche l’avventura di Avandia, creato dalla GlaxoSmithKline per i diabetici, come quella di Zimulti della Sanofi-Aventis che, certo, aiutava gli obesi a perdere peso, ma in cambio aumentava in loro pensieri e atteggiamenti suicidi.

di Maura Cossutta

Una donna su tre ha subito una violenza. Fisica o sessuale. Molte di queste non sono nemmeno denunciate. Di che paese si sta parlando? Non di paesi arretrati, sottosviluppati, dove l’oppressione delle donne è quotidianità o dove i diritti delle donne non sono neppure previsti dall’ordinamento giuridico, ma dell’Italia, del nostro “bel paese”. Sono dati drammatici, indecenti, insopportabili, rispetto ai quali, però, lo scandalo sociale non c’è. L’ultima indagine ISTAT è scivolata via, senza nemmeno rientrare nelle classifiche delle nuove emergenze etiche. La difesa della vita si ferma a quella dell’embrione, soggetto debole e fragile da tutelare contro il prevalere delle individualità egoistiche e le piazze si riempiono in nome della difesa della famiglia attaccata dal permissivismo amorale. La parola pubblica della Chiesa entra nelle camere da letto delle persone, per proibire e vietare quando si tratta di libertà sessuale o di scelte riproduttive, ma si ferma sull’uscio quando si tratta di condannare gli stupri e le violenze che avvengono proprio nelle case delle cosiddette famiglie normali.

di Luca Mazzucato

Perplessità, indignazione, rassegnazione: questo lo spettro delle reazioni suscitate nell'opinione pubblica palestinese e dei vicini paesi arabi dalla nomina di Blair a inviato del Quartetto (USA, UE, Russia e ONU) per la pace in Medioriente. La grande sfida che Blair si trova ad affrontare, infatti, è la normalizzazione dell'Occupazione militare dei Territori Palestinesi agli occhi del mondo. Il nuovo corso diplomatico si potrebbe riassumere nello slogan “due popoli, uno stato e mezzo”, ovvero la creazione accanto dello Stato Ebraico di una sorta di Repubblica di Vichy, in cui la polizia palestinese di Fatah dovrebbere smantellare la resistenza in West Bank per conto degli israeliani. Così come le menzogne e l'aiuto militare di Blair sono state decisive per creare un consenso occidentale attorno alla guerra in Iraq, questa volta gli Stati Uniti chiedono all'ex premier britannico un ultimo sforzo per rimuovere dai media occidentali la tragedia palestinese. L'unica voce fuori dal coro è quella del Ministro degli Esteri italiano D'Alema, che ha chiamato le diplomazie occidentali a rompere l'isolamento nei confronti di Hamas. Nel frattempo, dall'altra parte dello scacchiere, il vertice di questa settimana a Damasco tra Iran, Siria, Hezbollah e Hamas fa invece presagire un imminente inasprimento dello scontro.

di Fabrizio Lorusso

Dopo oltre un anno di scontri, accordi disattesi e false promesse ritorna la violenza della polizia e dei corpi speciali contro il diritto alla pacifica manifestazione del dissenso a Oaxaca Lo scorso 16 luglio la polizia dello Stato messicano di Oaxaca, supportata da corpi speciali della Polizia Federale Preventiva e dell’esercito, ha represso per l’ennesima volta il movimento popolare che, in questa occasione, stava cercando di celebrare una versione alternativa della tradizionale festa popolare chiamata Guelaguetza. Ad oltre un anno dallo scoppio del conflitto tra il governo di Oaxaca, con il governatore Ulises Ruiz alla testa, da una parte, ed il sindacato degli insegnanti della sezione 22 e la APPO (Asamblea Popular de los Pueblos de Oaxaca) dall’altra, si riaccende la miccia della violenza governativa contro il movimento popolare che continua con le sue mobilitazioni di carattere pacifico e dimostrativo. Il Governo locale organizza e gestisce tutti gli anni l’evento della Guelaguetza, trasformandolo in un’occasione propagandistica e turistica poco rispettosa della dignità e della nobile tradizione che muove il popolo oaxaquegno. Di conseguenza, la APPO e il sindacato dei docenti hanno organizzato una marcia di protesta, cui hanno partecipato circa diecimila persone, contro gli abusi del Governo commessi soprattutto durante l’ultimo anno ma che possono farsi risalire all’inizio del mandato di Ruiz nel 2005, e già certificati da numerose ispezioni di associazioni per la protezione dei diritti umani di natura ufficiale e non governativa.

di Giuseppe Zaccagni

Saranno oltre 45 milioni di elettori ad andare al voto. Nella scheda troveranno 14 partiti che presenteranno 7395 candidati. Al parlamento ne arriveranno 550, ma ci sarà una soglia di sbarramento del 10 per cento. E’ questa, in sintesi, la Turchia che domenica 22 Luglio va alle elezioni politiche suscitando un interesse paneuropeo di notevole portata. Con gli occhi dell’intera nazione puntati, in particolare, sul candidato Erdogan (ex calciatore in una squadra di buon livello e poi una carriera di economista) che è stato il fondatore del Partito per la giustizia e lo sviluppo (AKP, Adalet ve Kalk?nma Partisi) e, poi, Primo ministro dal 14 marzo 2003, dopo essersi fatto un nome come sindaco di Istanbul. Pragmatico ed efficiente si è impegnato a sviluppare la politica di transizione dal fondamentalismo islamico alle linee di una democrazia europea al fine, appunto, di far guadagnare un posto alla Turchia nell’assise del continente. E così, in questo quadro di vertice, il Paese va alle urne.


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