di Cinzia Frassi

La questione iraniana è ancora sul tavolo internazionale, sotto gli occhi del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica, degli Usa e degli altri paesi membri permanenti del Consiglio e dell'Iran. E' lì, pressoché inalterata, nonostante la fatidica data sia scaduta da qualche giorno. Forse si è un po' sgonfiata quella sensazione di inevitabilità del peggio creata esattamente nel momento in cui in questa vicenda e per la prima volta si è parlato di Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite.
Ciò che è accaduto all'indomani dell'11 settembre e la conseguente azione in Iraq, ci ha segnato tutti. Oggi però il problema nei confini americani sembra essere prima di tutto l'opinione pubblica, e senza quest'ultima nemmeno George W. Bush e il suo falco possono fare mosse azzardate, almeno per ora. A Manhattan sono scesi in piazza i pacifisti al fianco di Cindy Sheehan, la madre pacifista che da mesi sfida il Presidente a spiegare le ragioni "vere" per le quali abbia portato l'America in guerra in Iraq e per quei 2400 soldati che non ne sono usciti vivi.
"Basta con la guerra, a casa le truppe", questo grida la grande mela pacifista, una voce che risuona nelle orecchie del Presidente impedendo sicuramente opzioni altrimenti percorribili per la soluzione della questione Iran.

di Carlo Benedetti

La Nato e l'Unione Europea scendono direttamente in campo contro il Presidente della Bielorussia Aleksandr Lukashenko. Rivendicano un ruolo egemone, di regia geopolitica e contestano di conseguenza il recente "plebiscito" che ha riconfermato il potere di Minsk con l'82% di sì. Intervengono pesantemente sulla situazione interna del Paese. L'obiettivo consiste nel rimettere in discussione la situazione politico-amministrativa interna e dare così spazio all'opposizione anti Lukashenko. L'accusa che viene avanti è concentrata sulle "violazioni" dei diritti umani e delle norme più elementari della democrazia. A Lukashenko è inoltre rimproverato di voler mantenere il controllo statale delle imprese, di bloccare la liberalizzazione del mercato e di impedire la formazione di un sistema di multipartitismo effettivo. Ma in pratica è accusato per la "fedeltà" a Mosca ed a certi ideali che erano alla base della costruzione sovietica.

di Bianca Cerri

Il 5 gennaio 2006, la Taser International ha consolidato i propri titoli in borsa passando da 8,89$ a 9,71. Uno strappo funambolico che ha allietato i dirigenti della multinazionale proprio nel giorno in cui veniva registrata la 167° morte dovuta agli effetti letali delle pistole in grado di emettere scariche elettriche prodotte dalla Taser Inc. nello stabilimento dell'Arizona.
Classificate come "non-letali" e già in dotazione in 8.500 distretti di polizia negli Stati Uniti - oltre che in alcuni paesi europei come Francia e Svizzera - le armi a gas compresso dovevano servire a controllare la criminalità senza spargimenti di sangue, ma l'onorevole proponimento è stato smentito dalla realtà. La maggior parte delle persone uccise dai taser non aveva precedenti penali ed era disarmata al momento dell'incidente, il che prova, al di là di ogni dubbio, che la tecnologia del controllo non è riservata solo ai criminali incalliti o a chi reagisce in modo violento ad un fermo di polizia.

di Fabrizio Casari

La data in calce è quella del 1° maggio, festa dei lavoratori. E' apposta sul "Decreto supremo 28701 - Eroi del Chaco", che a loro volta sono numero e nome del Decreto presidenziale a firma del Presidente Evo Morales, con il quale la Bolivia torna ad essere proprietaria delle sue ricchezze.
Il decreto presidenziale, infatti, firmato ai piedi del pozzo di San Alberto, nel municipio di Carapaci, regione di Tarija, nazionalizza gli idrocarburi boliviani, ponendo fine al reiterato saccheggio perpetrato dalle multinazionali straniere con la complicità dei governi liberisti succedutisi negli ultimi decenni.
Le forze armate boliviane e la polizia nazionale, in alcuni dei siti accompagnati da manifestazioni spontanee della popolazione, hanno immediatamente occupato i cinquantadue pozzi d'idrocarburi sparsi per il paese, che d'un tratto sono divenuti proprietà dello Stato e saranno sottoposti all'amministrazione della società Giacimenti Petroliferi Boliviani (YPFB), che deciderà prezzi, volume, industrializzazione e commercializzazione degli idrocarburi, cioè petrolio, gas e derivati.

di Fabrizio Casari

Un'alleanza a tre. Fidel Castro, Hugo Chavez, Evo Morales. Tre Paesi come Cuba, Venezuela e Bolivia che sono rappresentati da tre personaggi che incarnano tre generazioni di rivoluzionari.
Da sabato scorso infatti, la Bolivia di Evo si è associata con Cuba e Venezuela nell'ALBA (Alternativa Bolivariana de las Americas), alternativa popolare, di metodo e sostanza, d'indirizzo e scopi, all'Alca, rappresentazione evidente della volontà di controllo delle economie latinoamericane da Washington, che gli Stati Uniti hanno tentato d'imporre al continente. L'adesione della Bolivia arriva ad un anno esatto dalla fondazione dell'Alba e ha visto l'aspetto formale dell'adesione del paese andino nella firma del Trattato Commerciale dei Popoli (Tratado Comercial de los Pueblos), scelta dalla Bolivia come alternativa netta al TLC (Tratado de Libre Comercio), versione bilaterale e bonsai della ormai sepolta Alca.


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