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di Sara Michelucci
Un amore tenero, a tratti surreale, quello sbocciato tra il dodicenne Shakusky Sam (Jared Gilman), orfano e appartenente ai Khaki Scout, e la piccola Suzy Bishop (Kara Hayward), ragazzina decisamente sui generis, con un accentuato ombretto blu che vive in una bizzarra casa stile faro con i due genitori, entrambi avvocati, in una delle isole del New England. Wes Anderson torna al cinema con l’originale commedia Moonrise Kingdom - una fuga d’amore e ancora una volta, come aveva fatto nel 2001 con I Tenenbaum, mette al centro la famiglia e i complessi legami tra i suoi componenti.
Suzy, insieme con il padre Walt (Bill Murray), la madre Laura (Frances McDormand), oltre a tre fratelli più piccoli che ascoltano la Young Person’s Guide to the Orchestra di Benjamin Britten, popolano un’abitazione chiamata Summer’s End (La fine dell’estate). Ma Suzy non è felice, come non lo è Sam.
I due si incontrano l’estate prima durante una rappresentazione teatrale nella chiesa di Fludde Noye e diventano ben presto amici di penna. Decidono ben presto di fare un patto segreto per rivedersi e fuggire insieme. Sam scappa dal campo estivo degli scout e porta con sé la sua attrezzatura da campeggio, mentre Suzy non può fare a meno dei suoi sei libri preferiti, del suo gatto e di un giradischi rubato ai fratellini.
Passano diversi giorni tra escursioni e campeggio, con l’obiettivo di raggiungere una baia appartata sull’isola, che hanno nominato Moonrise Kingdom. Da lì inizia un romantico e tenero viaggio, quasi ai confini della realtà. Gli adulti, ivi compreso lo sceriffo Sharp (Bruce Willis) si mettono alla loro ricerca, anche perché è in procinto di arrivare una devastante tempesta.
Ma la fuga di questi due neo adolescenti sarà lo spunto per riunire le vite di diverse persone e per ricomporre i pezzi rotti dei legami affettivi sia tra i genitori di Suzy che per quanto riguarda la vita di Sam, che finalmente troverà un posto stabile in cui rimanere.
Anderson è decisamente attento ai particolari e mette in scena il racconto di temi comuni, come l’adolescenza, il rapporto genitori-figli, la crescita, utilizzando grande originalità, con ampi piani sequenza iniziali, bizzarri comportamenti dei personaggi (la madre di Suzy chiama i figli per la cena con un megafono), e un sapientissimo uso della musica che ha un ruolo da protagonista, chiudendo anche il film.
Moonrise Kingdom - una fuga d’amore
regia: Wes Anderson
sceneggiatura: Wes Anderson, Roman Coppola
attori: Bruce Willis, Edward Norton, Bill Murray, Tilda Swinton, Harvey Keitel, Frances McDormand, Jason Schwartzman, Bob Balaban, Kara Hayward, Jared Gilman, Neal Huff, Jake Ryan, Charlie Kilgore, Tommy Nelson, Chandler Frantz
fotografia: Robert D. Yeoman
montaggio: Andrew Weisblum
musiche: Alexandre Desplat
produzione: American Empirical Pictures, Indian Paintbrush, Scott Rudin Productions
distribuzione: Lucky Red
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di Sara Michelucci
Il due volte premio Oscar, Daniel Day Lewis, veste i panni di un machiavellico Lincoln nell’omonimo film di Steven Spielberg. Una storia che si concentra sui tumultuosi mesi finali del sedicesimo presidente degli Stati Uniti. In una nazione divisa dalla guerra civile e dal forte vento del cambiamento, Lincoln persegue una linea di condotta che ha come obiettivo ultimo la conclusione di un conflitto estenuante e che ha fatto già troppe vittime, unendo il Paese e abolendo la schiavitù.
Con il coraggio morale e la feroce determinazione politica di ottenere successo tra i diversi schieramenti, le sue scelte cambieranno il destino delle generazioni a venire. Quello che Spielberg mette in scena è il racconto di uno stratega, mettendo in luce non tanto un’autobiografia, quanto un personaggio politico che è disposto anche a scendere a compromessi pur di ottenere il risultato sperato. Trapela anche tutto il lato umano di una figura complessa, che non ha vita facile, con una moglie che gli dà filo da torcere, pur standogli accanto, un figlio perso e altri due che si trovano in fasi particolari della crescita e della vita, per non parlare di una Nazione spaccata a metà.
Spielberg sceglie di raccontare la politica in tutti i suoi aspetti. Ma quella di Lincoln è una politica fatta per il bene della società, per interessi comuni e pubblici, il contrario di quello che oggi è diventata, con le sue derive individualistiche e la corruzione che dilaga. L’approccio a questo film è legato molto alla sua dialettica, alla minuziosa attenzione per le parole, su cui si costruisce tutto il racconto. Sono queste a tessere la trama che porterà al cambiamento di un intero paese.
Una realpolitik, la sua, che condurrà gli Stati Uniti di fine ottocento verso la fine della Guerra civile, per intraprendere un percorso di liberalizzazione. Quella scia di mutamento che avrebbe portato successivamente un afroamericano al vertice della Casa Bianca. Il film è candidato a 12 premi Oscar.
Lincoln (Usa 2012)
regia: Steven Spielberg
sceneggiatura: Paul Webb, John Logan, Tony Kushner
attori: Daniel Day-Lewis, Sally Field, David Strathairn, Joseph Gordon-Levitt, Tommy Lee Jones, James Spader, Hal Holbrook, John Hawkes, Jackie Earle Haley, Bruce McGill, Tim Blake Nelson, Joseph Cross
fotografia: Janusz Kaminski
montaggio: Michael Kahn
musiche: John Williams
produzione: Office Seekers Productions, Amblin Entertainment, DreamWorks SKG
distribuzione: 20th Century Fox
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di Sara Michelucci
Sembra di tornare indietro nel tempo. A quel western italiano, un po’ b-movie e un po’ raffinata storia di ingiustizie e vendette, alla Sergio Leone. Ma bastano pochi fotogrammi per riconoscere lo stile Tarantino, fatto di violenza, esagerazioni e intreccio di generi. Django Unchained non è il classico western che racconta di cowboy dalla pistola veloce o di belle donne che devono combattere per tenersi stretta una proprietà. Pur riprendendo nel titolo il bel film di Sergio Corbucci, Django, e regalando un cameo di Franco Nero, il nuovo film di Quentin Tarantino parla di tutt’altro.
Racconta la schiavitù dei neri due anni prima della Guerra Civile e lo fa scegliendo come protagonista uno schiavo nero, Django, (Jamie Foxx), in cerca di libertà e dell’amor perduto. Per ritrovare la sua amata, venduta a un feroce negriero, interpretato da un impeccabile Leonardo di Caprio, Django si accompagna con il cacciatore di taglie di origine tedesca, il dott. King Schultz (Christoph Waltz) che se ne va a spasso con un curioso carretto da dentista con un dente gigante che svetta sulla cima. Schultz è in cerca dei famigerati fratelli Brittle, “frustatori” di professione, ma non conosce il loro volto e solo l’aiuto di Django potrà aiutarlo a trovarli e a riscuotere la taglia.
Tra i due nasce un vero e proprio sodalizio e Schultz assolda Django con la promessa di donargli la libertà una volta catturati gli uomini che figurano sulla sua lista. Ma Django deciderà ben presto di seguire le orme di questo poco ortodosso personaggio, l’unico che, però, lo tratta alla pari. Diventando bravo con il fucile, Django inizierà la ricerca della sua amata Broomhilda (Kerry Washington).
L’orrore della schiavitù, della crudeltà dell’uomo bianco e della vessazione degli afroamericani, sono mostrati da Tarantino attraverso immagini che nulla lasciano all’immaginazione, dove il sangue non scorre soltanto, ma invade tutto quello che gli sta attorno, quasi a “lavare” quel finto candore delle case del Sud degli Stati Uniti della secondo metà dell’Ottocento, che nascondono mostruosità inenarrabili.
Le scene splatter, quindi, richiamano l’essenza stessa di quell’horror politico alla Romero o alla Carpenter, che serve a denunciare determinate questioni, tra cui il razzismo. E così l’ultima scena è un vero e proprio carnaio che ricorda Scarface, ma anche il finale “fagocitante” di The Addiction.
Il pulp e lo humor vanno a braccetto in questa rivisitazione di genere che Tarantino offre, riuscendo a colpire nell’originalità e, soprattutto nella prima parte, regalando una minuziosa e raffinata caratterizzazione dei personaggi, in particolare dell’eccentrico Schultz. Originalità che, forse, si perde un po’ nella seconda parte del film, dove prevalgono maggiormente gli effetti visivi, più che il racconto.
Django (Usa 2012)
Regia: Quentin Tarantino
Sceneggiatura: Quentin Tarantino
Attori: Jamie Foxx, Leonardo Di Caprio, Christoph Waltz, Samuel L. Jackson, Kurt Russell, Jonah Hill, Kerry Washington, Tom Savini, Gerald McRaney, Tom Wopat, James Russo, James Remar, Todd Allen, Don Johnson
Fotografia: Robert Richardson
Montaggio: Fred Raskin
Produzione: A Band Apart, Sony Pictures, The Weinstein Company
Distribuzione: Warner Bros. Italia
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di Sara Michelucci
Ken Loach torna al cinema con una commedia dolce-amara, La parte degli angeli. Il film ha vinto il Premio della Giuria allo scorso Festival del cinema di Cannes, raccontando la storia di quattro amici, il cui passato è adombrato da una serie di "cattive azioni". I quattro, compreso il neo papà Robbie, decidono di cambiare vita e basterà una visita ad una distilleria di whisky a dargli la giusta dose di ispirazione per mettere a segno un colpo che potrebbe rappresentare il loro nuovo inizio.
Il film è stato girato nelle città di Glasgow ed Edimburgo, in Scozia, dato che il racconto si svolge proprio nelle periferie delle due città.
Robbie, Rhino, Albert e Mo sono segnati dalla violenza e dalla criminalità e passano dalla prigione a una condanna ai lavori sociali. Ma la paternità inaspettata cambierà Robbie che è deciso a mutare vita e scopre di avere un talento naturale per la degustazione del whisky.
Quella di Loach è una storia sociale che racconta di un riscatto, mettendo in scena un mondo doloroso e fatto di azioni forti. Ma questa volta il regista vuole dare una lettura positiva della realtà, mettendo in evidenza il fatto che c’è chi ce la fa, che cambiare il corso della propria vita e degli eventi è possibile. E lo fa usando la risata, scegliendo un genere, quello della commedia, spesso bistrattato proprio perché usato di sovente in modo sbagliato e approssimativo. Ma da uno bravo come Loach non si può restare delusi. Alla semplicità della storia raccontata il regista riesce comunque a dare una profondità, utilizzando il personaggio di Robbie come elemento attraverso cui avviene la metamorfosi. E la sovversione diventa uno elemento positivo.
La parte degli angeli (Gran Bretagna, Francia 2012)
regia: Ken Loach
sceneggiatura: Paul Laverty
attori: John Henshaw, William Ruane, Roger Allam, Daniel Portman, Paul Brannigan
fotografia: Robbie Ryan
produzione: Entertainment One, Sixteen Films, Why Not Productions, Wild Bunch
distribuzione: BIM
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di Sara Michelucci
Sono tre i registi che firmano l’avvincente Cloud Atlas. Lana Wachowski, Tom Tykwer e Andy Wachowski raccontano la storia epico drammatica di uomini potenti, esplorando le azioni e le conseguenze della vita di ognuno dal passato al futuro. Sei storie che prendono forma in epoche differenti, ma che hanno delle conseguenze l’una sull’altra. Azione, mistero e romanticismo tessono drammaticamente una storia densa di colpi di scena.
Il mistero e l’azione sono il filo conduttore di questo film che prende forma da una singola storia che si svolge in tempi diversi nell'arco di 500 anni. I personaggi si incontrano e si riuniscono da una vita all'altra. Si nasce e rinasce. Le conseguenze delle loro azioni avranno un impatto sulle scelte dell’uno e dell’altro e attraverso il passato, il presente e il futuro lontano, si snodano come se una sola anima si trasformasse da un assassino in un eroe e un unico atto di gentilezza si espandesse attraverso i secoli per ispirare una rivoluzione. Un cast stellare che vede come protagonisti i premi Oscar Tom Hanks (Philadelphia, Forrest Gump) e Halle Berry (Monster Ball), oltre alla presenza di Jim Broadbent (premio Oscar per Iris).
Basato sul celebre romanzo di David Mitchell, Cloud Atlas mette in luce i temi della reincarnazione e del transfer spirituale, ma anche delle conseguenze che le azioni hanno o potranno avere, anche nel futuro. Insomma, ciò che si realizza oggi non è destinato a decadere, ma potrà avere influenze positive o negative nelle epoche successive.
I registi sono anche gli sceneggiatori del film e non sfuggirà di certo il fatto che i fratelli Wachowski hanno firmato il rivoluzionario Matrix. Montaggio alternato stringente e che da una storia si sposta in un’altra, mettendo in evidenza alcuni passaggi ben precisi che suggeriscono la relazione tra i differenti tempi storici. Una sorta di parallelo che rende ben evidente la consequenzialità delle azioni. Decisamente interessante l’elemento visivo, mentre risulta più debole la storia e il ritmo stesso troppo spesso si perde. Probabilmente colpa di un progetto troppo ampio e ambizioso.
Cloud Atlas (Germania, Hong Kong, Singapore, USA 2012)
regia: Tom Tykwer, Andy Wachowski, Lana Wachowski
sceneggiatura: Tom Tykwer, Andy Wachowski, Lana Wachowski
attori: Tom Hanks, Hugo Weaving, Ben Whishaw, Halle Berry, Jim Sturgess, Susan Sarandon, Hugh Grant, Jim Broadbent, Keith David, James D'Arcy, Zhu Zhu, Götz Otto, Xun Zhou, Doona Bae, Alistair Petrie
fotografia: Frank Griebe, John Toll
montaggio: Alexander Berner
musiche: Reinhold Heil, Johnny Klimek, Tom Tykwer
produzione: A Company Filmproduktionsgesellschaft, Anarchos Pictures, Ascension Pictures, Five Drops, Media Asia Group, X-Filme Creative Pool
distribuzione: Eagle Pictures