di Roberta Folatti

Una disarmante fragilità

Al centro del nuovo film di Peter Del Monte, distribuito dalla Teodora Film di Vieri Razzini - che si distingue sempre per le scelte originali - c'è la figura di Mavi, giovane donna dalla sensibilità accentuata, capace di grandi slanci ma anche di gesti autodistruttivi. A fare da contraltare al caos emozionale della ragazza, c'è l' "impianto" razionalistico di Teo, studente di astrofisica, al contempo attratto e impaurito dalla personalità di Mavi.L'investimento iniziale, che fa finire Teo in ospedale, è la metafora dello sconvolgimento che la giovane donna, originaria di Spalato, porterà nella sua vita. Niente è più come prima dopo averla conosciuta o meglio dopo essersi "scontrato" con lei.

di Roberta Folatti

Triangolo acuto

L'inizio mi è sembrato folgorante, con una trovata degna di un film di suspense.
Quel che una delle due protagoniste vede - una volta aperto il bagagliaio dell'auto, di ritorno dalla Tunisia - è difficile da prevedere anche per uno spettatore accorto. Ma Riparo non è un thriller e la tensione che si sprigiona nel corso della pellicola non deriva da eclatanti colpi di scena, è tutta interiore, causata da sentimenti che si intersecano, si sovrappongono e infine diventano ingestibili.

di Roberta Folatti

La ricerca di sè portata fino alle estreme conseguenze

Il suo ultimo film è inattuale e coraggioso. Credo sia principalmente per il suo coraggio che Sean Penn conquista la simpatia del pubblico - quello italiano, al recente Festival di Roma, gli ha tributato un'accoglienza calorosissima.
Con Into the wild il regista-attore ci trasporta per due ore e mezza negli spazi più remoti, selvaggi, inconsueti degli Stati Uniti. Un'America popolata di hippies, nudisti, agricoltori, gente che cerca un contatto diretto con la natura e che vive lontana dai desideri consumistici del resto del mondo. Persone che si tengono ai margini della Storia, eleggendo a linee guida della propria vita valori "sorpassati" come la libertà e l'amore universale.

di Roberta Folatti

Un cinema fatto di colori e sapori

Dopo “Caramel”, un altro film di un regista arabo, arabo-francese per la precisione, che descrive dall’interno uno spaccato familiare di grande autenticità. Siamo a Marsiglia, nella zona del porto, dove la gente vive di pesca e di lavori legati ai cantieri navali. Ma la precarietà aumenta, e anche chi credeva di avere un posto sicuro finisce per dover sottostare alle nuove regole di flessibilià. In poche parole o accetta di essere sfruttato o se ne deve andare. Slimane è in questa situazione, ha lavorato duramente tutta una vita e a sessant’anni si ritrova a decidere se accettare turni e stipendio decurtato o, come gli consigliano i figli, tornare al paese d’origine a fare il “pensionato”. Un specie di esilio al contrario, che lo obbligherebbe di nuovo a lasciare gli affetti e una terra in cui ha messo radici.

di Roberta Folatti

Un Donne in versione libanese


Il film dell’attrice-regista libanese Nadine Labaki è molto casto rispetto a ciò che siamo abituati a vedere nelle pellicole “occidentali”, non c’è una sola scena di sesso e forse nemmeno un vero bacio, e malgrado (o grazie a) questo è attraversato da una sensualità prorompente. Siamo a Beirut, tutti i personaggi principali lavorano o gravitano attorno a un centro estetico/salone di parrucchiere, ognuna di loro ha un volto e una bellezza particolari ed emana una grande energia vitale.


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