di Roberta Folatti

I dolori di un disinvolto pescecane

Un’occasione sprecata. Firmato da uno dei registi italiani più promettenti, L’ora di punta avrebbe potuto essere la bella sorpresa della Mostra del cinema di Venezia ma – bisogna dirlo – ha mancato completamente il bersaglio. Vincenzo Marra, autore dell’apprezzato “Tornando a casa” e del bel documentario “L’udienza è aperta”, sembra aver smarrito la sua vena di originalità. O peggio averla tradita.

di Roberta Folatti

Respiro di vita o di morte

Quello di Kim-Ki-Duk è un cinema che sfida lo spettatore, lo pungola, lo sollecita. Lo conduce in territori inusuali, sacrificando la parola a vantaggio di altri sensi. E delle emozioni.
Il regista sudcoreano afferma di ispirarsi alla pittura, in particolare a quella di Egon Schiele, e parla del suo cinema come di un “dialogo fatto di immagini”. Il suo ultimo film Soffio (breath in inglese, quindi respiro) è stato girato in tempi brevissimi e ha diviso i critici. Qualcuno lo accusa di aver capito cosa si aspetta da lui il pubblico europeo e di ripetersi in modo ormai artefatto, spacciando per creatività l’autopromozione del proprio stile. Un po’ di verità in questi appunti critici probabilmente c’è, ma “Soffio” è comunque un’esperienza diversa, straniante, che colpisce e ipnotizza. La consiglio soprattutto a chi solitamente sceglie film che stanno in piedi grazie agli effetti speciali e ai colpi di scena.

di Roberta Folatti

Quanta paura fa l’estraneo

E’ uno dei film italiani da non perdere quest’anno, ma ha avuto ed ha grossi problemi distributivi quindi non è facile trovarlo in sala. Il passaparola e il consenso dei cinefili, oltre ai numerosi premi vinti, lo stanno però tenendo in vita, per sapere dove viene proiettato in questa fine estate scarsa di bei titoli, consultate il sito www.ilventofailsuogiro.it ).

di Roberta Folatti

Gli orrori nel nostro piatto

“Tutti prima o poi dobbiamo mangiare un po’ di merda” - questa la cinica battuta pronunciata da Bruce Willis mentre addenta beffardamente uno degli hamburger incriminati. Di fronte a lui, allibito, il dirigente della catena di fast food Michey’s incaricato di indagare sulla presenza di feci nella carne destinata agli hamburger.

di Roberta Folatti

Un Balzac modernissimo

I secoli sembrano non essere passati, il gioco perverso di seduzione e fuga, di ripicche, orgogli feriti, rimpianti amarissimi e rese improvvise che costituisce il fulcro della passione amorosa è lo stesso, malgrado sia trascorso molto tempo e mille consuetudini si siano modificate.
La storia narrata dal film è ambientata intorno al 1820, si snoda tra una severa fortezza adibita anche a convento di clausura e i frivoli salotti parigini, dove una festa si sussegue all’altra.
La Duchessa di Langeais, ultima fatica del regista francese Jacques Rivette, è tratta da un racconto di Honoré de Balzac e segue rispettosamente il testo, che fa parte del ciclo della “Commedia umana”. Oltre due ore di schermaglie amorose, di dialoghi che rivelano gli animi dei due protagonisti, di sguardi e gesti che riescono a dare concretezza a ciò che Balzac ha mirabilmente illustrato a parole, due ore che scorrono senza la minima fatica in un film di un’eleganza e una finezza rare.


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