Filippine, democrazia e dinastie

di Mario Lombardo

Le elezioni di metà mandato nelle Filippine hanno insolitamente focalizzato l’interesse di stampa e osservatori internazionali per via di implicazioni esplosive in materia di politica estera, soprattutto in relazione allo scontro tra Cina e Stati Uniti in Asia orientale. Il voto di lunedì prevedeva il rinnovo di tutte le amministrazioni locali, della camera bassa del parlamento di Manila e...
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Il 9 maggio di ieri e di oggi

di Fabrizio Casari

Per celebrare l’80º anniversario della Grande Vittoria, ignorando le minacce di Kiev, sono arrivati al Cremlino presidenti, ministri e ambasciatori di 22 paesi, in rappresentanza di oltre il 60% della popolazione mondiale. Tanto la loro presenza quanto l’assenza di chi ha voltato le spalle alla storia hanno un preciso valore politico. Mosca ha fornito una dimostrazione di forza militare e solidità politica difficile da smentire, che tiene unito il suo ruolo storico con la sua proiezione politica. Grande enfasi è stata data all’amicizia strategica totale con Pechino, con il rifiuto di Xi Jinping di dare ascolto ai canti delle sirene occidentali, confermando invece la solidità del rapporto sino-russo, che spegne le illusioni...
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di Cinzia Frassi

Se ci domandiamo cosa ne sarebbe stato del referendum abrogativo qualora il governo non avesse subdolamente negato l'election day, ecco la risposta: una sonora bocciatura. Questo è il verdetto dei sardi sul nucleare nel referendum consultivo avviato lo scorso febbraio, prima della tragica vicenda di Fukushima. Sonora perché il quorum di almeno un terzo degli aventi diritto al voto si è ampiamente superato e soprattutto per il fatto che il 97,64% ha votato si. Il quesito referendario che chiedeva "sei contrario all’installazione in Sardegna di centrali nucleari e siti per lo stoccaggio di scorie radioattive da esse residuate e preesistenti?"  ha trovato solo uno scarno 2% di voti  a favore della presenza di centrali atomiche nell'isola.

Il presidente della Regione Sardegna, Ugo Cappellacci, ha subito dichiarato di essere "orgoglioso e fiero di questa prova dei sardi contro il nucleare". Può sembrare strano che, mentre il governo Berlusconi e il sostegno del PDL lo hanno fatto sedere sulla poltrona che guida l'isola nel 2009, Cappellacci per parte sua non si sia mostrato gran che in linea con i suoi. Questo risultato referendario segna proprio la sua distanza dal governo e dalla strategia subdola per affossare la volontà degli italiani circa il rifiuto per il nucleare.

Va considerato che il presidente della Regione ha sul suo territorio problematiche che lasciano poco spazio alla demagogia. Le emergenze ambientali, e soprattutto sanitarie, sono pregnanti e richiedono a chi amministra il territorio, se vuole continuare a farlo, un apporto concreto nella soluzione dei problemi. Così dovrebbe essere anche per l'inquinamento da uranio impoverito che interessa l'area del poligono militare di Quirra, dove invece non c’è stata un’azione pronta e diretta.

Lo rileva in una nota anche Legambiente, che sottolinea come "laddove hanno potuto esprimersi, i cittadini hanno esercitato il loro diritto dichiarando in modo inequivocabile un secco no all'ipotesi del nucleare. Il governo prenda atto dell'orientamento degli italiani e s'impegni concretamente per un futuro energetico pulito e sicuro. Basta con le sospensioni e i giochetti: il nucleare va cancellato definitivamente". In aggiunta, Vittorio Cogliati Dezza, Presidente di Legambiente, ha dichiarato che “le pause strategiche e i trucchetti mediatici per far calare l’attenzione sui piani energetici del Governo non hanno funzionato. Sarà bene quindi accettare la volontà popolare e smettere di perdere tempo e denaro dietro ad un progetto vecchio e pericoloso per dare invece nuova vitalità al settore più moderno, pulito e conveniente delle energie rinnovabili”.

Resta comunque il fatto che in Sardegna è accaduto ciò che nel resto d'Italia il governo ha scongiurato con il trucchetto di spostare la votazione sui referendum abrogativi a giugno. Il referendum sardo si è trasformato in un test di respiro nazionale, e la risposta dei cittadini segna un no secco al ritorno al nucleare.

Certo, nessuno più parla di nucleare e di referendum. Pare che in Rai sia assolutamente fuori luogo e, diciamo così, caldamente sconsigliato dalla dirigenza. La strategia del silenzio tuttavia si è trasformata pericolosamente in censura. Ad essa hanno reagito i comitati referendari e il richiamo del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha fatto il resto. Così la Rai ha adottato un regolamento riguardante appunto gli spot, o meglio le "illustrazioni" sui quesiti referendari. Così dopo lo scherzetto inserito del decreto mille proroghe volto ad evitare proprio che gli italiani vadano alle urne il 12 e il 13 giugno prossimo, ecco che si corregge il tiro.

Il regolamento interviene in un periodo di tempo guarda caso molto a ridosso della campagna di informazione referendaria, rendendo difficile reagire ad esso e a quanto prevedono le sue norme. Poi si gioca a nascondino: si prendono i dati degli ascolti televisivi e quando sono bassi ma propri bassi si programma lo spot. Ecco fatto. E' così che sono stati fissati i passaggi: 7.25 su Rai3, 17.40 su Rai2 e all'una di notte su Rai1. In sostanza gli anziani mattinieri potranno vederlo su Rai3, i bambini già davanti alla tv avranno occasione di vederlo su Rai2 e per i meno dormiglioni e più motivati, non ci saranno problemi a tirare all'una di notte su Rai1.

Qualcuno pare sia riuscito in effetti ad intercettare uno spot su mamma Rai, ma sono pochi. E parliamo solamente di spot circa le indicazioni relative alla procedura corretta di voto e al contenuto dei quesiti. Non parliamo di tribune politiche o comunque appuntamenti televisivi di discussione attorno ai tre referendum come avviene negli spazi autogestiti. Per questi il regolamento prevede che abbiano inizio a partire dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione del regolamento stesso in Gazzetta Ufficiale. Geniale no? Si perdono ben 15 giorni di spazi televisivi. Non dimentichiamo che la televisione è il media che in Italia ancora veicola l’informazione di massa.

La norma introdotta inoltre è chiaramente in contrasto con la legge sulla par condicio che sancisce che ''per le consultazioni referendarie la disciplina relativa alla diffusione della comunicazione politica e dei messaggi autogestiti... si applica dalla data d’indizione dei referendum''. Anche qui poi ci sono orari piuttosto subdoli: la trasmissione dei messaggi autogestiti sarebbe fissata alle nove del mattino su Rai3, alle 14.30 su Radio1 e alle 22.25 su Radio2.

Questo atteggiamento, secondo Di Pietro, configura un comportamento omissivo del servizio di informazione pubblica. Ieri, in un intervento alla Camera, il leader del IDV ha denunciato trattarsi proprio di una di “quelle forme di omissione di atti dovuti che richiede l'intervento della magistratura amministrativa e della commissione parlamentare” aggiungendo “credo che ci siano gli estremi per una denuncia penale per omissione di servizio pubblico".

Sarebbe invece da sottolineare come in riferimento agli spazi televisivi e radiofonici la legge fissi un minino garantito di informazione pubblica. Questo significa che tutto ciò che potrebbe essere oltre quel minimo garantito, sarebbe solo buona cosa. Resta da vedere chi in Rai sarà disposto a parlarne in una delle trasmissioni.

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