La pena di morte


di Bianca Cerri

George Bush frequentava ancora l’università di Yale quando Ronald Curtis Chambers, muratore afro americano, entrò nel braccio della morte del Texas. Era appena diventato padre di una bambina ma l’infanzia passata nel ghetto di Dallas, dove prosperavano armi e droga e dove ci si può sentire molto più soli che altrove, avevano già segnato la sua esistenza. Dopo una rapina finita con la morte di un uomo, Chambers ed il suo complice, Clarence Williams, erano stati arrestati e accusati di reato capitale. Per salvarsi la vita, Williams gettò tutta la responsabilità su Chambers ed ottenne una pena mite mentre Chambers venne condannato a morte. In Texas, le giurie non hanno mai speciali riguardi nei confronti dei neri e dopo 45 minuti di dibattito arrivò la sentenza irrevocabile. Da 11.500 giorni all’incirca, Ronald Curtis Chambers vive in un mondo obsoleto, fatto dei pochi metri soffocanti di una cella, di secondini razzisti e di tanti altri mali che la maggior parte della gente non conoscerà fortunatamente mai. Per 11.500 volte ha indossato gli stessi abiti, mangiato lo stesso cibo insapore, dormito nel letto-bunker riservato ai condannati a morte.


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