Non sappiamo quanto fondamento abbia la leggenda metropolitana secondo la quale Bruno Vespa sia figlio naturale di Benito Mussolini. Probabilmente nessuna, anche se fu avallata da una discendente conclamata del Duce come Alessandra. Quello che è certo è che Vespa rappresenta l’archetipo del giornalista cortigiano, pronto a tutto pur di servire con vera e propria libidine il Potere, quale che esso sia.

Un reality alternativo è in programmazione per l’autunno di RAI1 ed in questi giorni sono in corso le riprese all’interno dei campi profughi del Sud Sudan e Congo. “Mission” questo il nome del reality, un programma di Tullio Camiglieri e Antonio Azzalini, racconterà il viaggio, le condizioni, i pensieri di quanti sfidano l’Odissea per fuggire dai propri paesi d’origine. Le polemiche montano con l’accusa di voler spettacolarizzare il dolore di queste persone e uno studente di Parma, Andrea Casale, ha lanciato sulla piattaforma Change.org una petizione che sta riscuotendo successo, per ora con 6 mila firme in costante aumento.

di Mariavittoria Orsolato

È una lotta tra prime donne quella che dallo scorso venerdì riempie le pagine dei quotidiani e galvanizza lo share della nuova La7 targata Cairo. Come le bellezze patinate che occupano le prime dei rotocalchi del nuovo patron, anche i giornalisti della scuderia del settimo canale hanno ceduto al  gusto del battibeccare e da giorni si lanciano strali a mezzo stampa per accaparrarsi lo scoop della settimana.

L'antefatto: durante la trasmissione di punta del giovedì, Servizio Pubblico, Marco Travaglio esprime un giudizio abbastanza critico sul nuovo presidente del Senato, l'ex magistrato Piero Grasso, sostenendo che tra lui e il suo predecessore Renato Schifani, non esiste la “distinzione manichea” che gli entusiasti hanno dipinto. Ricostruendo la vicenda della nomina di Grasso a procuratore antimafia  - ottenuta a scapito di Giancarlo Caselli e grazie ad una postilla della riforma Castelli durante il governo Berlusconi III - il vice direttore del Fatto Quotidiano deve aver spinto troppo sull'acceleratore dell'astio perché, poco dopo, arrivava puntualissima la telefonata del diretto interessato a chiedere un confronto a favore di telecamere.

Colta la palla al balzo, il grande ex Corrado Formigli proponeva la sua arena di Piazzapulita per ospitare quello che l'onanismo giornalistico aveva già battezzato come l'evento televisivo della settimana. E lo sventurato, rispose. Positivamente. Apriti cielo!

Travaglio risponde piccato dalle colonne del Fatto che l'unico luogo d'incontro possibile è lo studio di Santoro o, al massimo, lo stream del suo giornale, e che il direttore de La7, Paolo Ruffini, “si è accordato alle mie spalle con Formigli e con Grasso per bypassare Servizio Pubblico”. Poco dopo, su Facebook, arriva la replica di Formigli: “La ricostruzione di Travaglio sul confronto con Piero Grasso a Piazzapulita è falsa; è vero che ho inviato a Travaglio un sms per invitarlo a Piazzapulita. L'ho fatto dopo averlo chiamato al cellulare inutilmente per due volte, e per due volte lui ha chiuso la comunicazione. E dopo che lui stesso mi ha chiesto, con un messaggino, di comunicare per sms”.

Queste le prime battute di una faida in divenire, che è andata a toccare tasti dolenti come la defezione di Formigli dalla squadra di Annozero o il fatto che secondo quest'ultimo le ricostruzioni di Travaglio “ultimamente facciano acqua da tutte le parti”.

Certo, il giornalismo vive anche dell'ego espanso dei suoi attori, ma la querelle innescata tra i Travaglio e Formigli, a ben vedere, alla fine si riduce alla classica bagatella da condominio, dove il primo accusa il secondo di aver leso la sua maestà, nello specifico di aver fatto una libera trattativa privata con una azienda televisiva mentre lui ne stava conducendo un'altra. Evidentemente nel settore dell'editoria televisiva non c'è libero mercato, altrimenti non ci si spiega come mai uno, in questo caso l'ex collega Formigli, debba per forza chiedere il permesso a Travaglio e Santoro prima di proporsi a un editore con una sua idea. Certo la categoria non ci fa una bella figura.

Faranno invece sicuramente un'ottima figura gli ascolti di La7 di questa sera. Pur mancando uno dei protagonisti, l'arena di Piazzzapulita catalizzerà l'attenzione degli agguerriti fans dell'infotainment che, sin dalle prime battute, si sono divisi in fazioni: team Marco, team Corrado. Meglio di Twilight. E Cairo già si sfrega le mani.




di Carlo Musilli

Nella partita per La7 si giocano a sorpresa i tempi supplementari. Oggi è il giorno della verità per Urbano Cairo: il Cda di TI Media, controllata da Telecom Italia, si riunirà per decidere se vendere all'editore la rete televisiva (di cui Cairo è già concessionario pubblicitario), oltre che per approvare il bilancio e il Piano 2013-2015. Fino alla settimana scorsa l'affare sembrava chiuso, visto che lunedì 18 febbraio il Cda di Telecom Italia aveva stabilito di trattare in esclusiva con Cairo. Venerdì scorso, però, un paio di colpi di scena hanno rimesso in forse l'operazione.

Il fondo Clessidra di Claudio Sposito è tornato in campo con un'offerta migliorativa per l'intero pacchetto targato TI Media: La7, La7d, Mtv e i tre multiplex, ovvero le frequenze assegnate dallo Stato. La nuova proposta comprenderebbe un aumento del cash rispetto ai precedenti 100 milioni e, secondo alcune indiscrezioni, lascerebbe a Telecom una partecipazione superiore al 30% nei multiplex (che, in prospettiva, rappresentano l'unico asset davvero redditizio: secondo Telecom non valgono meno di 300-350 milioni).

In un secondo tempo, il fondo di private equity potrebbe unire le forze con Diego Della Valle. Il mese scorso si era già parlato di una possibile intesa fra Clessidra e il patron della Tod's, accordo che avrebbe previsto una spartizione: i multiplex al fondo di Sposito e la televisione all'imprenditore marchigiano. Alla fine però i due alleati virtuali si erano presentati come avversari al bivio finale: la prima offerta di Clessidra era stata scartata dal Cda di Telecom Italia perché ritenuta meno vantaggiosa rispetto a quella di Cairo; la proposta di Della Valle, invece, non era stata nemmeno presa in considerazione perché arrivata "troppo tardi", quando ormai le trattative erano in corso da otto mesi.

Ma non è finita. Secondo quanto riportato da alcuni quotidiani, sempre lo scorso fine settimana, anche Guido Veneziani (presidente dell'omonimo gruppo editoriale che comprende periodici come Vero e Stop) ha presentato un'offerta vincolante al presidente di TI Media, Severino Salvemini, puntando a La7, La7d e al 51% di Mtv. Per la quota di maggioranza dell'emittente televisiva musicale, l'editore piemontese offrirebbe 20 milioni di euro. Una proposta definita dallo stesso Veneziani "fortemente migliorativa rispetto alla negoziazione con Cairo".

Intanto però, su sollecitazione della Consob, TI Media ha smorzato gli entusiasmi del mercato con una nota dal sapore definitivo. "Con riferimento al dossier relativo al negoziato con Cairo Communication sulla vendita di La7 - si legge nel testo - Telecom Italia Media conferma il percorso già definito nel precedente comunicato diffuso il 27 febbraio", quando il Cda dell'azienda aveva deciso di "aggiornare al prossimo Consiglio (quello di oggi, ndr) l'approvazione definitiva dell'operazione, in quanto la definizione di alcuni aspetti contrattuali" era "in corso di perfezionamento".

E quali sono gli "aspetti contrattuali" che hanno portato al rinvio dell'ok definitivo? Tra i nodi principali figurano le penali previste per le due parti: quella da 20 milioni che Cairo pretenderebbe se l'Agcom non confermasse il tasto 7 del telecomando (dopo il ricorso di Telenorba si teme possa essere riassegnato, ma in realtà l'ipotesi è assai remota) e quelle reclamate da TI Media nel caso in cui l'acquirente non rispettasse alcune condizioni (il vincolo di lock-up, cioè il divieto di rivendere La7, per almeno 18 mesi e l'obbligo d'investire nella ristrutturazione e nel rilancio dell'emittente la "dote" da 95 milioni che sarebbe corrisposta da TI Media).

Sembra che l'amministratore delegato di Telecom Italia, Franco Bernabè, preferisca non riaprire la partita, mentre Intesa Sanpaolo e Mediobanca (soci di Telco Spa, la holding italo-spagnola che detiene la quota di maggioranza in Telecom con il 22,39%) vorrebbero riportare il dossier sul tavolo del prossimo Cda, che si terrà il 7 marzo per l'approvazione del bilancio, in modo da valutare anche la nuova offerta di Clessidra. Una soluzione che probabilmente avrebbe più senso, considerando il debito pesantissimo della società (28,274 miliardi a fine 2012, una somma superiore alle previsioni degli analisti).

Nel caso in cui la scelta dovesse ricadere su Cairo, come al momento appare più probabile, la parola finale spetterebbe comunque alle autorità di garanzia, Antitrust e Agcom. Urbano Cairo ha iniziato la sua carriera come assistente di Silvio Berlusconi nel gruppo Fininvest, è stato direttore commerciale e vice direttore generale di Publitalia '80 e amministratore delegato della Arnoldo Mondadori Editore pubblicità. Solo nel 1995 ha fondato il gruppo che da lui prende il nome. Ed è inevitabile chiedersi per quale motivo abbia deciso puntare su un affare che garantisce solo perdite (La7 è in rosso di 100 milioni l'anno), senza nemmeno puntare ai multiplex.

di Rosa Ana De Santis

La puntata di Presa Diretta andata in onda domenica sera, mentre il paese era chiamato al voto, ha portato nelle case degli italiani il dramma del femminicidio, finalmente senza sconti di verità, senza striscioni commemorativi d’apparenza, con una inequivocabile e impietosa denuncia rivolta alle Istituzioni, alle voragini giudiziarie e alla sub cultura dell’ omertà. Meccanismi perversi che ad una legislazione nazionale tutto sommato buona fanno seguire inadempienze a cascata su più livelli procedurali per lungaggini burocratiche, disorganizzazione, carenza di mezzi. Un mosaico perverso di omissioni che tante vittime ha lasciato sole. Una donna uccisa ogni due giorni nel 2012.

Un lavoro giornalistico puro, nudo e crudo come di rado la tv lascia andare in onda che fa il paio con le testimonianze di un altro prodotto di denuncia “Amore Criminale”, fatto soprattutto di “cases history”: la trasmissione che sul tema della violenza di genere costruisce soprattutto un approfondimento di tipo emotivo e psicologico pur non trascurando le pene ridotte, i killer in semilibertà, i processi per stalking iniziati quando le donne sono state già seppellite da mesi.

Di questo soprattutto Presa Diretta ha parlato e dei fondi tagliati ai centri anti violenza e alle case protette, spesso lasciate al volontariato, alla buona volontà, alla fatica di campagne di fund raising quasi porta a porta o a bandi di progetto occasionali.

Il giornalista conduttore, Riccardo Iacona, compie un viaggio dal Sud al Nord del Paese e inizia dalla camera da letto in cui la giovanissima Vanessa Scialfa è stata strangolata a 20 anni dal proprio compagno nel deserto istituzionale di Enna. Una storia paradigmatica: l’amore esclusivo e morboso, giorni su giorni trascorsi da prigioniera per desiderio di possesso e di controllo da parte del proprio fidanzato, una famiglia che sembra accettare il canone del dominio maschile nella tolleranza generale che non vede, non sente e non denuncia e che arriva sempre troppo tardi. Quando le scarpe di tutti i colori, sportive, eleganti, giovanili o comode diventano non più il vezzo della femminilità, ma il ritratto di una carneficina: quella di centotrentasette donne l’anno come dichiara l’ISTAT.

Se al Sud colpisce l’accettazione diffusa di un canone maschilista delle relazioni familiari, è però al centro-Nord che si registra la maggior frequenza di casi di violenza che si scatenano proprio quando le donne si emancipano, sono autonome e decidono di decidere della propria vita.

E’ una questione che esula dallo stereotipo del machismo latino e che attiene alla difficoltà pura e semplice di recepire l’emancipazione delle donne in sé e per sé, senza quelle scappatoie di ordine culturale che tendono ad edulcorare o anche solo a spiegare il male addomesticandolo nella conservazione del contesto sociale.

A tutto questo si unisce la denuncia di un sistema giudiziario che non riesce a proteggere adeguatamente le donne minacciate che denunciano. Nonostante l’introduzione del reato di stalking, nel 2009, le lungaggini e quindi l’incubo della prescrizione e spesso l’impreparazione diffusa a gestire i casi di violenza di genere da parte degli operatori coinvolti diventano la trappola in cui finisce anche quella donna che il coraggio di interrompere la violenza domestica lo ha trovato.

Gli strumenti effettivi a disposizione delle vittime sono ormai quasi svuotati del loro concreto potere di protezione e recupero. Il numero telefonico 1522 è spesso affidato alla dedizione dei volontari che non ricevono un euro dalle Istituzioni ed è a macchia di leopardo la distribuzione delle case protette con Regioni, soprattutto nel Sud, che hanno aree del tutto scoperte e il Molise, per citarne una, che ne è del tutto priva.

Il viaggio arriva nella Provincia di Bolzano che aprendosi a modelli europei può vantare, grazie ai soldi della Caritas e della Provincia, un percorso di eccellenza unico nel Paese che vede gli uomini, attori di violenza, essere immediatamente inseriti in un percorso di recupero per decisione del giudice: una prassi che è obbligatoria per legge in molti paesi europei, ma non da noi. L’unico modo per evitare recidive e soprattutto un modo per convincerci definitivamente che la violenza ai danni delle donne è un problema degli uomini. Non ci sono modelli sociali da prendere a pretesto, o questioni femminili da sviscerare meglio, ma uomini da curare, da mandare in carcere, da fermare e da punire.

E’ una scena desolante quella che restituisce l’inchiesta brillante di Iacona e della sua redazione. Un modo doloroso, ma efficace di ricordare ai cittadini cosa la politica e il governo di un Paese ha davvero il potere di fare o di non fare. Cosa significa tagliare fondi quando una donna chiede aiuto e denuncia il persecutore che la minaccia come Sabrina Blotti che allo Stato più volte e con dovizia di particolari aveva chiesto aiuto grazie anche a testimoni terzi che quella minaccia di morte annunciata dal suo ex l’avevano portata all’attenzione delle forze dell’ordine. Invano visto che quella giovane madre è rimasta a terra sotto i colpi di pistola come la povera Stefania Cancelliere uccisa con un mattarello mentre il suo ex – medico- sconta già i comodi arresti in una clinica immersa nel verde.

Una denuncia che non ha risparmiato nessuno quella che è arrivata dalla prima serata di Raidue, un autentico servizio alla memoria e un invito a considerare la ribellione non come il martirio spontaneo di una donna disperata, ma come un impegno della collettività. Una ricostruzione del problema che è riuscita a spogliare il tema della violenza di genere da sovrastrutture culturali o presunte tali, consegnando alla responsabilità di ogni cittadino e delle Istituzioni preposte il dovere della verità.

Di chi racconta questi drammatici casi e di chi punisce non abbastanza in tempo e non troppo abbastanza i rei di questo male. E tutto il peso della viltà di chi non dice  chiaramente a tanti italiani maschi che vivono da padroni nelle ombre delle loro alcove che la legge li chiama violenti, assassini, molestatori. E che per questo andrebbero o andranno fermati. Prima di un altro paio di scarpette rosse.








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