di Alessandro Iacuelli


Raccontare l’emergenza rifiuti campana, quella vera, non quella proposta dai mass media che in questi giorni hanno acceso i riflettori evidenziando una visione molto parziale del fenomeno, non è un’impresa difficile, poiché basta attenersi alla verità; una verità che è scomoda per l’Italia intera, trattandosi di un problema di tutto il Paese, e non di un pasticcio regionale. Si cerca di far passare il messaggio che si tratta di un problema limitato ad una regione, si cerca di sdoganare il concetto che la causa siano i cittadini che non vogliono gli impianti e le discariche vicino casa loro. Nel fare questo si gioca sul fatto che il funzionamento del mondo dei rifiuti è più complesso di quanto il cittadino comune immagini. In realtà, la storia dell’emergenza rifiuti in Campania affonda le sue radici più indietro nel tempo e le sue cause profonde si annidano nei giorni tragici del terremoto irpino del 1980. Quando le discariche c’erano e non erano di certo sature.
Di sicuro è sempre stato presente un deficit di impianti, ma questo deficit, soprattutto di impianti di recupero e di riciclaggio, è diffuso in tutto il Paese. La gestione dei rifiuti nella regione è sempre stata condotta in modo viziato dall’utopia del “tutto in discarica”, come se le discariche fossero infinite ed eterne. Spesso affidata ai comuni senza una gestione centralizzata, è andata avanti per decenni in modo scoordinato, dove spesso comuni limitrofi adottavano soluzioni diverse. In pratica, non c’è mai stato né un ciclo integrato di gestione dei rifiuti né un piano per la raccolta differenziata. E’ ovvio che un modo di agire del genere non dura in eterno: prima o poi le discariche usate dai comuni dovevano forzatamente esaurirsi.

A questa situazione di cattiva gestione dei rifiuti solidi urbani e dei rifiuti sia industriali sia ospedalieri si aggiunge anche la mancata bonifica territoriale dei siti che hanno visto anni e anni di sversamenti abusivi. La Campania sotto il controllo dell’ecomafia è legata a doppio filo all’emergenza rifiuti. Anzi, alle emergenze rifiuti, perché sono tre, non una sola.

E’ dalla fine degli anni ’70 e, con un grande impulso a partire dalla metà degli anni ’80, che la Campania è crocevia e spesso meta finale del più grande traffico illecito di rifiuti tossico-nocivi del sud Europa. Traffico illecito che ha prodotto come risultato la presenza di migliaia di siti contaminati, dai semplici terreni con abbandono di rifiuti fino alle vere e proprie discariche abusive, situate spesso a breve distanza dai popolosi centri abitati della provincia napoletana.

La comprensione di tale fenomeno iniziò, per merito della magistratura, all’inizio degli anni ’90. In quel periodo fu scoperto che la criminalità campana controllava completamente sia i traffici illeciti sia le imprese di trasporto di rifiuti: imprese che, grazie alle privatizzazioni dei servizi di raccolta e smaltimento, avevano anche appalti per la raccolta dei rifiuti urbani presso molti comuni e, pertanto, anche l’accesso alle discariche autorizzate.

E’ proprio qui l’origine delle emergenze. La prima grande emergenza è di tipo ambientale e sanitario: le migliaia di siti contaminati non sono mai stati bonificati ed i veleni sono ancora tutti sparsi sul territorio. La seconda grande emergenza è stata generata dallo sversamento di rifiuti speciali di provenienza extraregionale nelle discariche autorizzate, provocandone una rapida saturazione con molto anticipo rispetto ai tempi previsti. La terza, infine, sta nel fatto che i traffici illeciti di rifiuti speciali non sono affatto terminati; hanno solo cambiato volto, affinando le tecniche di elusione del controllo pubblico. La somma di tutte queste componenti porta la Campania al suo stato di emergenza. Che oramai emergenza non è più, trattandosi di un fatto cronico, addirittura acquisito culturalmente dagli abitanti e dagli amministratori.

La gestione dei rifiuti solidi urbani è stata per la prima volta regolata in Campania con una legge regionale del febbraio 1993, che si proponeva di raggiungere nel triennio 1993-1995 una riduzione fino al 50 per cento dell’uso delle discariche. Fu il primo piano regionale per la gestione dei rifiuti, in ordine cronologico. Non funzionò. Le discariche presenti in Campania, quelle dove da sempre si conferivano i rifiuti, si stavano pericolosamente avviando alla saturazione. Dal fallimento di questo piano, è nata l’emergenza dei rifiuti urbani: si cercarono altre discariche per il materiale a valle della raccolta differenziata, c’era sempre l’utopia del poter mandare tutto in discarica, non si trovarono siti adatti, e nel giro di pochi anni si sarebbero saturate tutte le discariche campane. In casi del genere, come è ovvio, interviene il Governo nazionale.
Così, l’11 febbraio 1994, il Governo nazionale nominò, con un’ordinanza della Presidenza del Consiglio dei ministri, il prefetto di Napoli a commissario straordinario dell’emergenza nel settore dei rifiuti solidi urbani.

Lo stesso Governo nazionale ha proceduto, il 18 marzo 1996, ad un secondo commissariamento della regione Campania, nominando il presidente della Regione commissario di Governo per la predisposizione di un piano di interventi di emergenza. Tale commissariamento era complementare a quello affidato al prefetto di Napoli, e rivolto alla messa a punto di un piano d’emergenza che fosse risolutivo. Il presidente della Regione, all’epoca era Rastrelli: fece un’indagine conoscitiva presso tutti i consorzi di smaltimento dei rifiuti e presentò il piano d’emergenza. Tale piano fu presentato il 31 dicembre 1996. Undici anni fa.

Se ancora oggi la Campania è in emergenza, è perché questo piano nella pratica quotidiana è fallito. Fallito per il mancato raggiungimento degli obiettivi previsti in termini di raccolta differenziata, fallito perché molti degli impianti previsti non sono stati realizzati, spesso neanche localizzati: il piano dice che devono essere fatti, ma non dice né dove né entro quanto tempo. Fallito perché, nelle intenzioni di Rastrelli, troppo era assegnato a certi privati, sempre gli stessi, in piena fase ideologica che tende ad eliminare tutto ciò che in qualche modo è pubblico.

Troppa indeterminatezza, troppe cose lasciate “campate in aria”, e non specificate. Tutto ciò ha influito negativamente sul piano di smaltimento, senza fornire le risposte concrete che ci si attenderebbe da un ente pubblico in una materia tanto delicata. Un piano parziale, che non poteva certo portare a risultati definitivi. Caduta la giunta Rastrelli, i danni fatti erano oramai troppi per essere sanati in tempi brevi. L’unica soluzione sarebbe stata quella di rifare un nuovo piano rifiuti, sensato e funzionante. Ma chi è venuto dopo, nell’ordine prima Losco e poi Bassolino, ha preferito seguire la stessa strada, usare lo stesso piano. Tutto questo ha portato la Campania nel baratro nel quale si trova oggi. Per vedere un nuovo piano regionale per i rifiuti, si è dovuto attendere fino al dicembre 2007. E si tratta ancora di un piano parziale, che non risolve affatto tutto.

Tra il 1999 ed il 2000, tutte le discariche campane si sono esaurite. Da quel momento, i rifiuti sono stati portati, prima direttamente, poi tramite gli impianti di CDR, in siti si stoccaggio “provvisori”, spesso sotto controllo criminale ed affittati dai clan al commissariato. Quando non ci sono siti di stoccaggio a disposizione, si cerca di riaprire le vecchie discariche, provocando le rivolte degli abitanti, oppure i rifiuti restano per strada. Una struttura elefantiaca e succhia soldi, quel commissariato straordinario che oramai da oltre un decennio controlla l’affare dei rifiuti in Campania, riesce solo a tamponare momentaneamente lo sfacelo, inviando i rifiuti fuori regione quando può, oppure acquistando e affittando nuovi siti di stoccaggio, o ancora forzando la riapertura di siti oramai esauriti.

E la camorra sorride, visto che incrementa i propri affari d’oro mediante il controllo dei terreni e dei trasporti. Non sorride affatto il livello medio di salute della popolazione. Manca la certezza del futuro, giacché non è prevista, in tempi brevi, la realizzazione di alcun impianto di recupero e riciclaggio nella regione, mentre nuove discariche ed impianti di termodistruzione vengono duramente contestati dai cittadini dei comuni interessati dalla localizzazione nel loro territorio, spesso non a torto trattandosi in molti casi di aree non adatte a simili destinazioni, o di impianti che non sono affatto adeguati e inquinanti almeno quanto le discariche abusive.

Probabilmente, la perdita definitiva del controllo del territorio da parte dello Stato è iniziata proprio durante la ricostruzione post-terremoto del 1980. Si tratta di un quarto di secolo in cui una politica poco autorevole, e spesso remissiva nei confronti di interessi economici, oltre che autocelebrativa, ha di fatto delegato alle mafie ed alle lobby il vero controllo della Campania.

Dopo un quarto di secolo, quella politica – che non è solo regionale, visto che il commissariato straordinario risponde direttamente a Palazzo Chigi ed è una sua diretta emanazione – è ancora poco autorevole. Si arrocca sull’essere autoritaria, nel forzare i blocchi della popolazione davanti alle discariche esaurite. Ma da sempre, essere autoritari non è affatto indice di autorevolezza.

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