di Mario Braconi

Tim Lang, Professore di Politiche Alimentari presso la City University di Londra, è stato un pioniere: già negli anni Settanta, quando si riteneva che il tema riguardasse esclusivamente i Paesi in via di sviluppo, si interessò alla questione alimentare in Gran Bretagna: “Allora si riteneva infatti che da noi tutto fosse perfetto da questo punto di vista”. Uno dei successi di Lang è l’invenzione del concetto di “food miles” (miglia percorse dal cibo), ideato dal professore negli Anni Novanta: serve a quantificare la follia di un sistema in cui gli alimenti vengono prodotti a centinaia (quando non migliaia) di chilometri di distanza da dove sono consumati: questo indicatore, un tempo considerato bizzarro, è oggi utilizzato anche da giganti della grande distribuzione organizzata (come TESCO) per misurare l’efficienza delle proprie politiche di impatto ambientale. Lang è stato inoltre fondatore e capo della “London Food Commission”, cui si devono i primi lavori sugli additivi (molti dei quali, venne fuori, venivano aggiunti solo per motivi estetici, per far sembrare i piselli più verdi o le aringhe affumicate più marroni) e sull’effetto della povertà alimentare negli strati sociali a basso reddito. Lamg fu anche tra i primi intellettuali a lanciare l’allarme quando l’amministrazione conservatrice britannica privatizzò mense scolastiche ed ospedaliere: la corsa al risparmio che ne derivò ebbe effetti disastrosi sugli apporti nutrizionali dei pasti serviti.

Come abbiamo visto, le idee di Lang, un tempo considerate “radicali” e perfino eccentriche, hanno raggiunto oggi la loro giusta dignità scientifica e politica, al punto da entrare a pieno titolo nell’agenda dei governi sensibili alle sfide che la sicurezza alimentare globale dovrà affrontare nei prossimi decenni, prima fra tutti la bomba demografica. Nel 2050, in qualche modo, si dovrà produrre cibo sufficiente a sfamare nove miliardi di individui, il che implica la necessità di raddoppiare la capacità produttiva alimentare attuale; obiettivo non proprio a portata di mano, pur mettendo in conto l’efficienza derivante dalle innovazioni tecnologiche, in un sistema caratterizzato da cambiamenti climatici, degrado ambientale e scarsità di acqua e carburante.

Il Governo britannico sta dimostrando intelligenza e lungimiranza: il Segretario per l’Ambiente Hilary Benn, infatti, ha costituito un Comitato di Esperti di Politiche Alimentari (di cui è membro lo stesso Lang), che dovrà consigliare l’esecutivo sui temi caldi del momento: sicurezza alimentare e crescita dei prezzi. Per inciso, vale la pena notare come nel nostro paese questi temi non siano neanche all’ordine del giorno.

Il 27 dicembre scorso, in un discorso presso la Garden Organic, storica ONG del biologico, Lang ha illustrato i grandi temi dell’alimentazione globale nel Ventunesimo Secolo: “Primo, la dipendenza pressoché totale dall’economia dal petrolio, che continuerà a rendere i prezzi del cibo estremamente volatili; secondo, la scarsità d’acqua, con la metà del cibo che finisce sulle tavole del Regno Unito importato, spesso, da Paesi con difficoltà idriche; terzo, la biodiversità, che non solo deve essere protetta, ma anche rimpiazzata e sviluppata, con impatti sostanziali sul modo in cui attualmente si produce cibo e si sfrutta il terreno; quarto, l’urbanizzazione, forse l’elemento sociale più importante: oggi molte più persone vivono in città anziché in campagna: dove prenderanno il loro cibo?”

Intervistato dalla BBC, Lang ha sottolineato che, benché nel secondo dopoguerra valesse il paradigma di massimizzare la produzione di cibo per ridurne il costo e migliorare alimentazione e salute pubblica, negli anni Settanta si è visto che gli impatti sulla salute pubblica non erano quelli attesi. Per non parlare del danno ambientale che si stava concretizzando. A trenta anni di distanza la situazione è ancora più preoccupante: gli indicatori statistici segnalano una riduzione del tasso di crescita della produzione alimentare pro-capite, cosa particolarmente preoccupante in un mondo minacciato dall’esplosione demografica.

Lo chef francese Raymond Blanc, fondatore di una catena di piccoli ristoranti francesi in Gran Bretagna, pure intervistato da BBC, concorda con la diagnosi non proprio rassicurante di Lang, fornendo nel contempo una chiave di lettura “micro”, arricchita di elementi filosofici. Se, come sembra probabile, il costo del cibo continuerà a crescere, si tenderà a produrlo in proprio, almeno in Inghilterra, dove spesso le case hanno un giardino sul retro. Se è per questo, anche Lang ha sempre avuto la fissazione della produzione in proprio (non per niente, mentre studiava per il Ph.D. in Psicologia Sociale, rilevò con degli amici un allevamento di vacche e pecore nel Lancashire).

Secondo Blanc, “indipendentemente dalle dimensioni del vostro giardino, è sempre possibile creare uno splendido orto, cosa che vi consentirà di ritrovare il vero significato del giardinaggio, che in sostanza è l’arte di far crescere cibo; e se producete frutta e verdura, il passo successivo è imparare a cucinarle bene, il che vi porterà a conoscere gli elementi basilari delle nutrizione. Vedete come è possibile, lentamente, reintrodurre il cibo nella nostra cultura”? Se queste sembrano parole banali, meglio riflettere sul fatto che “in Europa il 30% del cibo non finisce nemmeno sugli scaffali perché ha una forma inusuale o un colore strano. Le semenze vengono selezionate in base alla loro immunità ad ogni malattia conosciuta; devono far crescere alla svelta prodotti di grandi dimensioni che si mantengano apparentemente inalterati sugli espositori per il tempo più lungo possibile. Non importano sapore, consistenza o contenuto nutrizionale, tutta l’attenzione è concentrata sul modo in cui il cibo appare”. “Il consumatore deve capire - chiosa Blanc - che, anche quando va a comprare una mela, sta facendo una scelta politica, socio-economica, ambientale: sta votando per un certo modello di società e di agricoltura”.

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