di Alessandro Iacuelli


All'indomani dello spot politico-elettorale del governo Berlusconi, consistente nel dare enfasi all'apertura dell'inceneritore di Acerra, sono rimasti i dubbi circa il fatto che quell'impianto abbia davvero "traghettato la Campania nella modernità". A parte ogni discussione, speculativa o meno, su quanta modernità ci sia in una macchina a vapore - poiché un inceneritore in fin dei conti è semplicemente una macchina a vapore, con tanto di odore ottocentesco, piuttosto che da terzo millennio - restano sul terreno i problemi derivanti dal disastro ambientale avvenuto in Campania. E quando si dice "sul terreno", ci si riferisce ai milioni di tonnellate di "ecoballe" prodotte per anni senza poter essere eliminate, e talmente irregolari da non poter essere bruciate da nessuna parte. Ma l'impianto di Acerra, questo è il maggiore timore di chi ci abita a poca distanza, cosa brucerà? Sarà mica usato per bruciare quelle ecoballe?
Purtroppo, l'Articolo 4 dell’Ordinanza del presidente del Consiglio dei Ministri numero 3657 del 20 febbraio 2008 recita testualmente: “Per accelerare le iniziative finalizzate al superamento dello stato d’emergenza, in particolare, per consentire la messa in esercizio in tempi rapidi dell’impianto di termodistruzione sito nel comune di Acerra, è autorizzato il trattamento e lo smaltimento di rifiuti contraddistinti dai codici CER 191212, 190501 e 190503 presso detto impianto, assicurando comunque il rispetto dei livelli delle emissioni inquinanti già fissati nel provvedimento di autorizzazione.”

Quei numeri, chiamati codici CER, sono i codici che identificano le ormai famose ecoballe di rifiuti campani, la frazione organica stabilizzata ed il compost prodotti da FIBE. Già, proprio quelle ecoballe che non possono essere bruciate in nessun impianto distruttore, e che hanno già dato vita ad un processo penale tuttora in corso presso il Tribunale di Napoli. Il decreto del presidente del Consiglio, in pratica, autorizza a bruciare ad Acerra proprio quelle ecoballe che, come hanno dimostrato la chimica e la magistratura, non possono essere bruciate. Il motivo è semplice: perché bruciandole è matematicamente impossibile assicurare quel rispetto delle emissioni inquinanti a cui fa riferimento lo stesso Articolo 4, che in pratica vorrebbe assicurare un qualcosa di inassicurabile.

Quelle ecoballe non sono a norma per umidità, per potere calorico e soprattutto per il contenuto. Sono il simbolo del disastro industriale che in Campania è andato a sommarsi all’emergenza rifiuti, iniziato nel 1999, quando fu disposta l’aggiudicazione in via provvisoria dell’affidamento del servizio smaltimento rifiuti per la provincia di Napoli ad un’associazione temporanea d’impresa composta da Fisia Italimpianti S.p.A., Babcock Kommunal Gmbh, Deutsche Babcock Anlagen Gmbh, Evo Oberhausen AG, Impregilo S.p.A., poi denominata FIBE, dalle iniziali delle imprese costituenti. Nel 2000, il commissariato aggiudicò l’affidamento in via definitiva per l’intero territorio regionale campano.

Negli anni successivi FIBE ha messo in esercizio 7 impianti per la produzione di combustibile derivato dai rifiuti (Cdr), risultato poi irregolare ad ogni controllo effettuato, combustibile che non può essere bruciato in alcun impianto. Di conseguenza, oggi ci sono più di sette milioni di tonnellate di Cdr disseminate per l’intero territorio regionale, un territorio invaso ad un ritmo che in passato è arrivato fino a due ettari al mese, da rifiuti urbani sotto forma di Cdr, oltre che dai rifiuti della camorra.

Per bruciare, ammesso che da qualche parte si possa, tutte le ecoballe campane in impianti molto grandi e che si occupino solo di loro, occorrerebbero non meno di 20 anni, cosa chiaramente improponibile. Così la Campania è finita in un baratro dal quale difficilmente potrà uscire. Impossibilitato a trovare soluzioni ragionevoli, il Governo ha reputato opportuno stabilire che si possano bruciare le ecoballe non a norma. E stavolta la camorra non c’entra molto: se c’è stata ha fatto solo da manovalanza con i suoi mezzi di trasporto. Stavolta a rendere legale un qualcosa che non può esserlo sono le strategie adottate dallo Stato.

Nella lunga storia dei rifiuti in Campania, oltre al fatto che mafia e politica vanno a braccetto, quel che emerge è che non conta la provenienza dei politici di turno. La storia dell’emergenza dimostra una cosa molto chiara, cioè che davanti al grande affare della “monnezza”, che da sempre in Campania vale oro, tra destra e sinistra c’è una cosa che non si nota: la differenza. In pratica, nell'arco di 15 anni, si è vista solamente la fuga da ogni responsabilità, in particolare da quella di pensare ad un piano migliore. La politica non fa una bella figura in Campania. Tutta, in modo trasversale rispetto agli schieramenti. Così, arrivando ai giorni nostri, le ecoballe di Taverna del Re potranno finire nell'inceneritore di Acerra, per un decreto firmato da Prodi e fatto proprio da Berlusconi.

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