di Mario Braconi

“Il cambiamento climatico costituisce la più grave minaccia alla salute pubblica del Ventunesimo Secolo”: questo il titolo del rapporto messo a punto dall’Institute of Global Health dell’University College di Londra (UCL) e pubblicato dal prestigioso settimanale medico britannico The Lancet; un documento interdisciplinare che, attraverso la sintesi di un anno di sessioni di brainstorming tra professori universitari con le specializzazioni più diverse (climatologia, diritto, filosofia…), mira ad attribuire ai cambiamenti climatici la priorità massima nell’agenda globale della salute. Secondo il pediatra Anthony Costello, condirettore dell’Institute of Global Health e coordinatore del rapporto, anche se “il cambiamento climatico renderà più acute le disuguaglianze tra Nord e Sud del mondo e influenzerà in modo decisivo la salute dell’umanità (specialmente quella delle persone più svantaggiate), ma fino ad oggi questo messaggio ha faticato a trovare la giusta dignità nel dibattito scientifico”. Costello ammette: “Fino ad un anno fa, nemmeno io avevo compreso la relazione causale tra mutamenti climatici e salute; inoltre consideravo povertà e disuguaglianza questioni più urgenti ed importanti. Eccezion fatta per un manipolo di ricercatori totalmente dedicati, credo che la comunità medica sia arrivata tardi a questa conclusione; invece c’è molto da fare per proteggere miliardi di persone adesso e in futuro. ”I dati statistici riassunti nel rapporto sono la summa di un modello di sviluppo folle ed iniquo. Nonostanti le perplessità dei “negazionisti”, il riscaldamento globale è una realtà scientificamente provata: secondo l’Intergovernal Panel on Climate Change (o IPCC, un organismo intergovernativo costituito da scienziati e rappresentanti di 113 governi mondiali), i dodici anni più caldi dell’ultimo secolo e mezzo sono stati registrati nel periodo che va dal 1995 al 2008.

Secondo l’IPCC è “molto probabile” che il riscaldamento globale sia causato dai combustibili fossili (molto probabile si può tradurre con una probabilità del 90%). Se si aggiunge che un miliardo di poveri produce in tutto il 3% dei gas serra, mentre ne subisce le conseguenze in modo più severo rispetto al resto dell’umanità, si può concludere che la questione dei mutamenti climatici non è poi tanto distante da quelle di giustizia sociale ed equità. Insomma, occuparsi di cambiamenti nel clima del pianeta significa qualcosa di più che prendersi a cuore il fatto che gli orsi polari soffriranno il caldo: secondo il professor Costello essi sono “una minaccia evidente ed attuale per miliardi di persone”, e chi si ostina a volgere lo sguardo in futuro subirà una condanna morale “non dissimile a quella che oggi riserviamo ai nostri progenitori che introdussero (o tollerarono) la schiavitù”.

L’aumento della temperatura è un “killer silenzioso”: nell’estate del 2003, in Europa, si sono verificati più di 50.000 decessi per colpo di calore; una statistica quanto mai interessante in tempi di psicosi da influenza suina. Esso inoltre è il complice ideale di malattie come febbre dengue, malaria ed encefalite da puntura di zecche, che infatti in questi anni hanno visto aumentare il proprio livello di contagiosità e la propria diffusione geografica; si riscontrano oggi anche in Paesi industrializzati o ex “freddi”, nei quali spesso sono rare la corretta diagnosi e il trattamento adeguato di queste patologie. Il riscaldamento, inoltre, causa lo scioglimento dei ghiacciai e l’alterazione dei corsi dei fiumi, provocando o favorendo alluvioni o siccità.

Il mutamenti climatici, inoltre, minacciano la sicurezza alimentare e quella idrica: poiché si stima che un aumento di temperatura pari ad un grado centigrado corrisponda ad una riduzione del raccolto fino al 17%, il riscaldamento ha un impatto diretto sull’incremento dei prezzi dei prodotti agricoli, il che renderà ancora più difficile la sopravvivenza di milioni di persone la cui dieta, già oggi, contiene una quantità insufficiente di proteine: una minaccia che, stando alle proiezioni, potrebbe riguardare la metà della popolazione mondiale.

E l’acqua? Di per sé, la dieta occidentale prevede un uso del tutto irresponsabile dell’acqua: gli agricoltori, infatti, utilizzano circa un terzo di quella complessivamente disponibile sul pianeta: per avere un’idea, è stato calcolato che un solo hamburger “costa” 2.400 litri di acqua. L’aumento delle temperature con il suo corollario di siccità peggiora ulteriormente la situazione, al punto che 250 milioni di africani affronteranno un’emergenza idrica a meno che non si assumano immediatamente misure correttive. Ironicamente, la dieta vegetariana adottata in Africa e in Asia consuma 2.000 litri d’acqua al giorno, contro i 5.000 delle diete di Europei ed Americani.

Ma il mutamento climatico significa anche aumento della frequenza degli eventi climatici “estremi”: le analisi delle compagnie assicurative ci dicono che negli ultimi venti anni il loro numero è raddoppiato. Ed in effetti, un rapporto dell’IPCC del 2007 stabilisce che l’aumento della violenza di uragani e cicloni tropicali riscontrato dal 1970 ad oggi è da attribuirsi con buona probabilità al riscaldamento globale antropogenico. E anche qui l’ingiusto accanimento contro i più deboli: il 70% dei disastri naturali avvenuti tra il 2004 and 2006 si è verificato in Asia, nell’area del Pacifico, in Africa e in Medio Oriente, dove risiedono le popolazioni più vulnerabili.

E anche quando i disastri si abbattono sui paesi industrializzati, il numero di vite perdute è una frazione di quello rilevato per cause simili in Paesi in via di sviluppo: mentre Katrina ha ucciso meno di duemila persone, l’uragano di potenza simile che si è abbattuto lo scorso anno in Myanmar ha provocato oltre 150.000 vittime. Anche se ci limitiamo all’analisi di quanto è accaduto negli USA, si conferma il paradigma secondo cui il conto più salato viene saldato dai più derelitti: sembra che una gran quantità di persone sia rimasta intrappolata a New Orleans perché, semplicemente, aveva finito i soldi e non aveva di che pagarsi un biglietto d’autobus per andare via.

Il mutamento climatico tende quindi ad aggravare il divario tra ricchi e poveri. Combinandosi con una crescita demografica incontrollata causerà o aggraverà la scarsità di cibo e acqua, scatenerà migrazioni di massa e, inevitabilmente, guerre tra disperati. Il professor Hugh Montgomery dell’Institute for Health and Human Performance fa un bell’esempio di quanto la scarsità renda i popoli generosi e bendisposti verso i più deboli: “Il governo indiano ha quasi completato il suo progetto di edificare un cancello rinforzato alto due metri e circondato da filo spinato lungo i 4.500 chilometri di confine con il Bangladesh, che serve ad impedire ai migranti di entrare nel Paese.”

E pensare che, con “soli” 3,9 miliardi di dollari all’anno si aiuterebbero efficacemente i 200 milioni di donne che non riescono a procrastinare o ad evitare una gravidanza: si eviterebbero così 23 milioni di nascite non programmate, 22 milioni di aborti, 142.000 morti legate alla gravidanza (di cui oltre 50.000 connesse ad aborti effettuati al di fuori di condizioni di sicurezza) e 1,4 milioni di infanticidi. Un ottimo investimento, denaro contro vite salvate, che tra l’altro funzionerebbe anche da efficace comportamento adattativo ai cambiamenti climatici. Chissà se questi dati tanto allarmanti e tanto autorevoli riusciranno a far riflettere i Grandi del Mondo e ad indurre ognuno di noi a fare la sua parte per ridurre la sua impronta di CO2. Il rapporto dell’UCL appare ottimista: ritiene infatti che “grazie” alla crisi finanziaria, si faccia un gran parlare del “new deal verde”, il che può aiutare.

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