di Alessandro Iacuelli

Come i lettori di Altrenotizie certamente ricorderanno, lo scorso 24 febbraio, durante il summit Italia-Francia a Roma tra Silvio Berlusconi e Nicholas Sarkozy, è stato siglato un accordo per una collaborazione nella costruzione in Italia di almeno 4 centrali del tipo Epr. Proprio in seguito a quell'accordo, è nata in questi giorni una joint venture tra Enel e Edf, chiamata Sviluppo nucleare Italia srl, azienda che avrà il compito di realizzare gli studi di fattibilità per la costruzione delle quattro centrali nucleari con la tecnologia (obsoleta, anche se ultimamente si preferisce definire "avanzata) Epr. Enel ed Edf, spiega una nota congiunta resa pubblica alla firma dell'accordo, possiederanno il 50% ciascuno della joint venture e la società, che avrà la sua sede a Roma, dovrà avviare le necessarie attività di studio per la realizzazione delle centrali e prendere le adeguate decisioni di investimento. E' poi prevista la costituzione di altre società per la costruzione, proprietà e messa in esercizio di ciascuna centrale Epr. La gestione di Sviluppo nucleare Italia sarà affidata ad un consiglio di amministrazione composto da otto membri: quattro nominati da Edf, tra i quali il presidente ed il vice presidente, e gli altri quattro designati da Enel, tra i quali sarà individuato l'amministratore delegato. "Una opportunità unica", secondo Fulvio Conti, Amministratore delegato di Enel, "per contribuire al rilancio dell'economia del nostro Paese, creando posti di lavoro specializzati e sviluppando l'occupazione". Da parte di Edf, il presidente e direttore generale, Pierre Gadonneix, ha dichiarato che "questa partnership è in linea con la strategia del gruppo Edf finalizzata a rafforzare la propria posizione in Europa e la leadership mondiale nella rinascita dell'energia nucleare".

Si è ormai perso il conto del numero delle volte in cui, anche da queste pagine, si è ricordato come in realtà Edf, azienda ancora sotto la stretta protezione del governo di Parigi, lanciatasi sul mercato durante i decenni del boom mondiale del nucleare, è ora in crisi per quanto riguarda il suo settore dedicato allo sviluppo e costruzione di nuovi reattori. Pertanto è all'affannosa ricerca di nuovi mercati da invadere; mercati che, per quanto riguarda il nucleare, si fanno sempre più rari a livello globale, trattandosi di una tecnologia in via di abbandono. Allora quale potenziale mercato può essere migliore dell'Italia, che abbandonato il nucleare 22 anni fa e pertanto ha anche perso le competenze tecniche per poter costruire e gestire da sola le centrali?

In questo momento l'Italia, per proseguire nel suo programma nucleare che è davvero unico al mondo (altrove infatti si chiudono le centrali), ha necessità di partners stranieri, perpetuando ed aumentando la sua dipendenza dall'estero per quanto riguarda la produzione energetica. Infatti, la collaborazione tra Enel e Edf è iniziata con la costruzione, nel 2007, del reattore Epr di Flamanville, in Normandia, che appartiene alla società francese, di cui Enel ha il 12,5% delle quote. Flamanville, anche se osannata dal ministro Claudio Scajola - che evidentemente non è molto preparato su temi tecnologici - è praticamente tra i peggiori biglietti da visita, avendo avuto una quantità elevatissima di problemi e guai già nella fase di costruzione, ancora in corso: una centrale che è riuscita ad avere incidenti, fughe radioattive, malfunzionamenti e guasti ancor prima di essere messa in esercizio.

Durante il mese di maggio 2008, l'Autorità francese per la sicurezza nucleare ha ordinato la sospensione dei lavori per irregolarità riscontrate nell'armatura in ferro dell'isolotto su cui dovrà poi poggiare il reattore nucleare e, non bastasse, sono anche state rilevate delle fessurazioni del cemento dovute alla scarsa qualità dei materiali e ad errori nella messa in opera dell' armatura in ferro. Errori che, secondo l'Asn, manifestano una mancanza di rigore inaccettabile e che non depongono assolutamente a favore di quanto potrebbe avvenire in futuro in Italia.

Per quanto riguarda la collocazione delle 4 nuove centrali nucleari italiane, Enel e Ministero dello Sviluppo Economico mantengono uno stretto riserbo, ma numerosi centri di ricerca hanno elaborato e presentato studi di fattibilità per l'individuazione dei possibili siti. I criteri per la scelta sono stati resi pubblici più volte: la centrale Epr richiede zone poco sismiche, in prossimità di grandi bacini d'acqua senza però il pericolo d’inondazioni e, preferibilmente, lontano da zone densamente popolate. In pratica, richiedono una zona che in Italia non c'è.

Fra i nomi apparsi, ufficiosamente, ritornano quelli dei vecchi siti nucleari: Caorso nel Piacentino e Trino Vercellese, che ospitavano gli impianti chiusi in seguito al referendum del 1987. Sono entrambi nella Pianura Padana e quindi con basso rischio sismico ed alta disponibilità di acqua di fiume, ma anche Montalto di Castro, in provincia di Viterbo, potrebbe essere riesumato, dato che unisce alla scarsa sismicità la presenza dell'acqua di mare. Secondo Legambiente ed il CNR, il quarto candidato ideale è Termoli, in provincia di Campobasso, mentre in altre circostanze si è fatto il nome di Porto Tolle, a Rovigo, dove c'è già una centrale a olio combustibile in processo di conversione a carbone. Gli altri nomi che ricorrono più spesso sono Monfalcone, Scanzano Jonico (Matera), Palma (Agrigento), Oristano e Chioggia.

Non sembrano molto d'accordo i sindaci di alcuni di questi comuni. Lo conferma il sindaco di Caorso che dichiara: "Basta centrali nucleari a Caorso dopo lo smantellamento (decommissioning) effettivo entro il 2019". Gli fa eco l'assessore regionale Duccio Campagnoli: "E' importante che Caorso venga subito depennato dalle liste che lo vorrebbero tra i nuovi siti nucleari". La ricerca non sarò facile, il consenso locale sarà difficilissimo.

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