di Daniele Rovai

Nonostante il referendum, nonostante in tutto il mondo ogni tipo di governo decide di abbandonarlo progressivamente, qui da noi ormai è deciso: l’Italia sarà nucleare. Le informazioni sono come minimo carenti e i timori, invece, concreti. Per cercare di capire come sarà questa "rinascita" abbiamo posto diverse domande alla dottoressa Romano, Direttore Generale per l’energia nucleare, le energie rinnovabili e l’efficienza energetica del Ministero.

Perché il nucleare è così importante per l’Italia quando gli altri paesi europei vanno verso il massiccio sviluppo delle energie alternative?

La strategia energetica nazionale si pone innanzitutto l’obiettivo di ridurre la dipendenza energetica del Paese dagli approvvigionamenti delle fonti fossili dall’estero, col duplice fine di dare maggiore sicurezza del sistema energetico e rendere più stabili i prezzi per i clienti finali, oggi troppo dipendenti dalle fluttuazioni dei prezzi internazionali del greggio. Per farlo il mix ottimale, tenendo conto degli impegni assunti in sede europea in materia di riduzione delle emissioni di CO2, dovrebbe essere costituito per il 25% da rinnovabili, per il 25% da nucleare e per il restante 50% da altre fonti. Il ritorno al nucleare e lo sviluppo delle rinnovabili sono due progetti paralleli, con un diverso piano temporale di realizzazione, e non due progetti alternativi o in antitesi. Le rinnovabili sono infatti sin d’ora implementabili, mentre per il nucleare sono previsti tempi attuativi più estesi.

Nella legge 99/09 si parla di impianti nucleari, cioè di un industria in piena regola con officine e laboratori. Il governo ha già delineato una strategia operativa?

Lo ha fatto con la legge 99/09 delineando le linee guida per il ritorno al nucleare, e prevede tempi stretti. L’Italia aveva conoscenze all’avanguardia prima dell’interruzione del programma nucleare, conoscenze che si sono continuate a coltivare e che potrebbero riallinearsi in breve tempo. Non è però necessario che l’Italia ricostruisca al proprio interno l’intera filiera del ciclo del nucleare. Meglio delle eccellenze su alcuni aspetti. Gli accordi internazionali vanno in questa direzione perché consentono di scambiare competenze e tecnologie, oltre che consentire di acquisire delle tecnologie “chiavi in mano”, peraltro già certificate dalle Agenzie di sicurezza e dagli standards internazionali in materia.

La legge 99/09 dice che il governo potrà decidere al posto degli enti locali sulla costruzione delle istallazioni nucleari, usando l’articolo 120 della costituzione. In sostanza se esiste un “pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica”. Non volere un impianto nucleare nel proprio comune mette in pericolo l’unità economica?

La possibilità di superare un blocco istituzionale per installazioni di tipo strategico è contemplata dalla Costituzione e dalle leggi e non rappresenta una novità introdotta ad hoc solo per il nucleare anche se finora è stata utilizzata poco. I casi di altre infrastrutture energetiche, bloccate per anni da inerzie o mancate intese, sono ben noti a tutti, così come i costi conseguenti per il sistema e per i cittadini. Si deve promuovere una pronuncia consapevole da parte di chi partecipa alle scelte, rendere disponibili le informazioni necessarie e agire in trasparenza, ma anche prefigurare un modo per arrivare a prendere una decisione. In ogni caso, il modo in cui sarà esercitato il potere sostitutivo è ancora da definire in quanto fa parte del contenuto del decreto legislativo. Ma sarà aderente a quanto prevede oggi la nostra Costituzione.

Nella legge 99/09 si prevede che l’energia elettrica prodotta da fonte nucleare in Italia debba essere comunque immessa in rete per un quantitativo determinato (art.25, comma 4). Non è un incentivo?

No, per il nucleare non sono previsti incentivi. Così come non ci sono rischi che le risorse destinate all’incentivazione delle fonti rinnovabili possano essere distorte a favore del nucleare. La disponibilità di energia a costi inferiori, come può essere quella prodotta dal nucleare, al contrario, rende possibile la raccolta di incentivi per le rinnovabili attraverso specifici oneri incrementali ai prezzi finali dell’energia, contrastando gli impatti sui consumatori finali. La priorità in dispacciamento risponde a esigenze tecniche connesse alle caratteristiche degli impianti nucleari, adatti a coprire il carico di base, e ad aumentare il grado di sicurezza del sistema.

Secondo la legge 99/09 si potranno costruire “impianti energetici” nei demani militari e l’esercito potrà partecipare ai consorzi che costruiranno e gestiranno questi impianti “allo scopo di soddisfare le proprie esigenze energetiche” e per conseguire significative misure di contenimento delle spese per la gestione delle aree interessate (art. 39). Potremo avere delle centrali nucleari costruite su siti militari e in parte di proprietà dell’esercito?

Innanzitutto è bene precisare che già oggi è possibile che si costruiscano impianti energetici nei demani militari, in considerazione di possibili realizzazioni rivolte al soddisfacimento delle esigenze energetiche presso gli stessi siti, secondo la finalità richiamata esplicitamente nella legge. Per tale finalità, si pensa evidentemente ad impianti ben più ridotti di una centrale nucleare. Per quanto riguarda la costruzione di impianti correlati all'energia nucleare, eventuali demani militari non solo, come gli altri siti, dovrebbero soddisfare i requisiti di idoneità tecnica delle aree che il Governo dovrà individuare entro febbraio 2010, ma dovrebbero evidentemente rispettare la normativa di sicurezza propria dell'ambito militare, quali ad esempio vincoli di segretezza, senza pregiudicare gli obblighi di trasparenza e pubblicità che sono posti alla base dello sviluppo nucleare nel nostro Paese e che sono imposti dalla normativa europea in tema di Valutazione d’impatto ambientale.
 

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