di Alessandro Iacuelli

Sono decisamente tragiche, oltre che preoccupanti, le notizie che giungono dal Giappone, e non solo per quanto riguarda le vittime del maremoto: si prospetta sempre più seriamente il pericolo del meltdown del reattore 2 della centrale nucleare di Fukushima, il cui impianto di raffreddamento è stato danneggiato dal sisma di venerdì scorso. La televisione giapponese, infatti, ha informato che la Tokyo Denryoku, la società che gestisce la centrale di Fukushima, ha dichiarato che il liquido di raffreddamento è ormai esaurito e che i tentativi di utilizzare l’acqua di mare sono ormai falliti. La conseguenza è che le barre di combustible nucleare sono totalmente esposte e ormai prive di qualsiasi raffreddamento, e la loro temperatura sale costantemente.

A far precipitare la situazione sono state due nuove esplosioni, presso il reattore numero 3 dell’impianto, che hanno danneggiato ulteriormente la centrale. Come per quella avvenuta sabato, anche queste sono scaturite dalla fuoriuscita dell'idrogeno contenuto in uno dei serbatoi adiacenti alla gabbia del reattore. Le squadre di emergenza continuano a pompare acqua nel tentativo di raffreddare il materiale radioattivo, ma da quello che si apprende si tratta di tentativi che hanno scarse probabilità di dar risultati; dopo il terremoto e lo tsunami, il Giappone vive una situazione sempre più tragica.
 
Stando alle dichiarazioni delle autorità nipponiche, riportate dall'agenzia di stampa Kyodo News, le possibilità di una grossa fuga di gas radioattivo dalla centrale sarebbero attualmente molto basse. La struttura del reattore in se non avrebbe quindi riportato danni significativi. Il pericolo deriva dalla fusione delle barre del reattore, oramai prossime a formare una lava incandescente e radioattiva. Proprio per ovviare alla mancanza di liquido refrigerante, da sabato i tecnici stanno pompando all'interno dei reattori grandi quantità di acqua di mare. "Un tentativo disperato per riprendere il controllo dei reattori", afferma Robert Alvarez dell'Institute for Policy Studies ed ex consigliere del dipartimento Usa per l'Energia.

Nonostante le rassicurazioni che provengono dal governo giapponese, la settima flotta degli Stati Uniti, che si stava dirigendo verso le coste colpite dal sisma e che navigava a 160 Km di distanza da Fukushima ha avuto l’ordine di allontanarsi dall'area dopo che gli strumenti di bordo di alcune navi hanno riscontrato un aumento dei livelli della radioattività. Anche Francia e Germania, oltre agli USA hanno invitato i propri cittadini a lasciare il Giappone ed in particolare Tokyo, dove saranno avviate operazioni per razionare l'energia elettrica tramite black-out pianificati della durata di tre ore ciascuno.

Un altro grave rischio, è quello che deriva dalla nube radioattiva già fuoriuscita dalla centrale danneggiata: se fino a ieri i venti spingevano verso l'oceano aperto, un’inversione della loro direzione potrebbe interessare alcune zone del Giappone, sotto forma di pioggia che riporterebbe a terra elementi radioattivi.

Ad intervenire sull'argomento è anche l'agenzia nucleare francese, secondo la quale le emissioni radioattive a Fukushima sarebbero molto più consistenti di quanto dichiarato dalle autorità giapponesi. Il valore di emissioni radioattive potrebbe essere di 1 millisievert all'ora, mentre l'indice di radioattività naturale si misura attorno allo 0,0001 mSv/h; siamo quindi già ad un livello 10 volte superiore al normale

Ovviamente, nel Paese del Sol Levante fioriscono le polemiche interne,: un ex progettista di centrali nucleari giapponesi ha accusato il governo di non dire tutta la verità sulla situazione degli impianti atomici danneggiati dal terremoto. Il governo risponde che un'eventuale fusione non porterebbe al rilascio di dosi significative di materiale radioattivo. Certo, un’affermazione del genere significherebbe, in situazioni normali, una grave lacuna culturale nel settore nucleare, mentre in una situazione come quella attuale può significare una ferma volontà di non allarmare la popolazione, anche davanti all'evidenza.

In realtà, i reattori di Fukushima-Daiichi sono sottoposti ad aumenti di pressioni ben oltre i livelli previsti quando sono stati costruiti. Perché a monte c'è un limite di progettazione: nessuno avrebbe mai immaginato un maremoto così distruttivo a così breve distanza dall'impianto. Un tipico limite di progettazione al quale il Giappone non è nuovo.

Inoltre, la maggior parte delle centrali giapponesi, compresa Fukushima, funzionano a Mox, un combustibile nucleare ottenuto miscelando ossido di Uranio e ossido di Plutonio. In caso di esplosione o di meltdown, questo materiale verrebbe espanso su un'area vastissima e difficile da calcolare, ma certamente ben oltre i 20 Km di raggio in cui la popolazione è stata evacuata. Di conseguenza, il fallout sarebbe disastroso.

Nel frattempo, mentre l'ora dell'apocalisse nucleare si avvicina, il Giappone trema e tutto il mondo tiene il fiato sospeso. C'era stata in passato la sciagura di Tokaimura, e centinaia di altri incidenti nucleari, dove la tecnologia atomica si è mostrata la più arretrata, spesso gestita in modo sprovveduto e superficiale. Ma si parla di quel Giappone che si porta dietro tutte le contraddizioni dello sviluppo più spinto, talmente spinto da ignorare la geologia, la tettonica a zolle, il rischio sismico, pur di avere energia sufficiente per tenere illuminati dei centri commerciali come alberi di natale per tutto l'anno.

Quanto avviene in Giappone, e soprattutto quanto avverrà, è una lezione importante per tutta l'umanità, e giustamente riapre il dibattito sulla sicurezza nucleare in tutto il mondo. Il commissario europeo all'Energia, Günther Öttinger, ha convocato una riunione di esperti sulla sicurezza nucleare dell'Ue per discutere delle conseguenze del terremoto giapponese. "Tutto ciò che si riteneva impensabile, in qualche giorno è avvenuto", ha dichiarato Öttinger alla radio tedesca: "Se prendiamo la cosa sul serio e diciamo che l'incidente ha cambiato il mondo ed è in discussione il modo in cui noi, come società industriale, abbiamo guardato alla sicurezza e alla gestibilità, allora non possiamo escludere nulla".

Anche la Svizzera ha sospeso il programma di rinnovo delle proprie centrali, mentre in Austria il ministro dell'Ambiente è tornato a chiedere a Bruxelles la verifica della sicurezza delle centrali nucleari europee. L'Austria si oppone fermamente all'energia atomica e ha più volte chiesto la chiusura degli impianti in Slovenia e in Slovacchia. Contemporaneamente, il primo ministro indiano, Manmohan Singh, ha annunciato che sarà verificata la sicurezza di tutti i reattori nucleari in India. In Francia i Verdi hanno proposto al governo un referendum sul nucleare. L'eurodeputato Daniel Cohn-Bendit dice che la Francia "deve porsi la questione della necessità dell'energia nucleare".

Ad essere in controtendenza - oltre la Turchia che intende proseguire nel suo programma nucleare come se in Giappone non fosse successo nulla - resta un solo Paese: l'Italia. Le commissioni Ambiente e Industria della Camera stanno riprendendo l'esame del decreto legislativo sulla localizzazione degli impianti nucleari e dei siti di stoccaggio delle scorie radioattive in Italia. Come se in Estremo Oriente non stesse accadendo nulla, come se non fosse vero che anche l'Italia è interamente una zona sismica, attraversata da una faglia che divide la placca eurasiatica da quella africana.

Per il ministro degli Esteri, Franco Frattini, l'allarme nucleare giapponese ha "riaperto il dibattito in Italia in modo sbagliato, che nasce dall'emozione senza riflettere su cose evidenti e che non giustifica una rimessa in discussione del piano italiano. Il Giappone ha rischio sismico elevatissimo e centrali non dell'ultima generazione e che, malgrado un sisma di 9 gradi, non sono esplose."

Forse Frattini non tiene conto che il nucleare che è stato pensato per l'Italia non é affatto di ultima generazione. E non solo: sta nascendo già gestito da privati, che vorranno ovviamente lucrarci ad ogni costo, ed é pensato per massimizzare gli investimenti pubblici, cioè la quantità di denaro da regalare ai privati. A Frattini ha replicato la radicale Emma Bonino, vice presidente del Senato: "Investire 30 miliardi di euro per ottenere il 4% di energia tra vent'anni non ha senso economico".

In realtà ce l'ha, e quel senso va ricercato nella necessità, da parte dell'industria privata italiana, di mettere le mani su una montagna di soldi pubblici. Per lucro, per fronteggiare la crisi. Non certo per produrre energia che pulita non è. E quella parte di energia che ci sarà davvero, servirà, come già ora serve, non a far circolare più treni, ma a tenere i centri commerciali illuminati ancora di più degli alberi di natale, sempre per tutto l'anno. A meno che dal Giappone non arrivi, nelle prossime ore, un'altra lezione. Lezione che sarebbe una catastrofe planetaria, che non ci auguriamo per niente.

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