di Sara Seganti 

La più grande foresta pluviale del mondo è di nuovo al centro di uno scontro che vede come protagonisti attivisti internazionali, Parlamento brasiliano, Partito comunista locale, piccoli produttori e grandi multinazionali. Dato il suo rilievo, l’Amazzonia finisce sempre per diventare oggetto del contendere tra diverse visioni dello sviluppo che, negli ultimi mesi, ha visto due questioni di grande rilievo politico all’ordine del giorno.

Da un lato, la controversa riforma del Codice Forestale brasiliano, che ha passato il primo voto della Camera dei deputati a larga maggioranza, suscitando l’indignazione su scala globale: si profila un significativo allentamento dei vincoli di tutela della foresta e un’amnistia per le azioni di disboscamento illegale commesse prima del 2008.

Dall’altro lato la ripresa della lunga e inarrestata serie di omicidi di attivisti, ma sarebbe più giusto definirli lavoratori rurali che si oppongono agli interessi delle grandi compagnie del disboscamento in Amazzonia, sull’esempio di Chico Mendes assassinato nel 1988. Si contano, infatti, più di 1.500 omicidi negli ultimi 25 anni in qualche modo correlati allo sfruttamento della foresta: un dato eloquente riguardo l’assenza di legalità che caratterizza l’Amazzonia, un territorio immenso molto difficile da controllare.

Dall’ecosistema della foresta amazzonica, unico per la ricchezza della sua biodiversità, dipendono il 20% dell’ossigeno e il 60% dell’acqua dolce del mondo. La foresta, perno insostituibile nell’equilibrio della nostra biosfera, è stata già seriamente intaccata dal disboscamento perpetrato intensivamente da grandi compagnie private interessate alle materie prime, alla creazione di pascoli per gli allevamenti di bovini e alla coltivazione intensiva di cereali; ma anche, pur su scala molto ridotta, dai piccoli produttori locali che reclamano il diritto di sfruttare le risorse del posto in cui vivono e uscire così dalla povertà.

Recentemente, grazie all’aumento del controllo da parte del precedente governo brasiliano di Lula negli ultimi anni del suo mandato e alle costanti operazioni di denuncia degli attivisti, la deforestazione aveva subito un calo. Ma da qualche mese la situazione è cambiata di nuovo: da Maggio, da quando cioè la riforma è passata alla Camera, il ritmo della deforestazione è più che raddoppiato.

Si respira aria di impunità nella remota amazzonia, infatti, perché l’attuale Codice Forestale prevede l’obbligo per ogni proprietario terriero di mantenere un quantitativo minimo di foresta vergine pari al 20% di tutto il possedimento. Con il passaggio definitivo della riforma (oltre all’amnistia per le azioni illegali di disboscamento prima del 2008) questa percentuale potrebbe salire legalmente fino all’80%.

Ora, è tutto da vedere che la riforma passi davvero. La Presidente, Dilma Roussef, ha il potere di porre il suo veto e, pur avendo dichiarato la totale contrarietà all’amnistia, per adesso non si è ancora espressa riguardo alla riforma in modo chiaro e definitivo.
Esistono però dei dubbi sulla decisione che prenderà la Presidente, tanto che dieci ex-ministri brasiliani dell’ambiente hanno lanciato in questi giorni un appello sul web per fermare la riforma. Perché questi dubbi?

Il fatto è che dentro il Parlamento sono in molti a sostenere questa modifica del Codice Forestale: il promotore della riforma è Aldo Rebelo, leader del PCdoB, il Partito comunista brasiliano, che sostiene le ragioni dei piccoli proprietari terrieri e la tesi secondo cui la presente legge confina nell’indigenza parte della popolazione che vive in Amazzonia, non consentendo loro di sviluppare attività agricole e pastorizie.

Un’altra sostenitrice della riforma, la Senatrice Katia Abreu, passata al neonato Psd, (Partito Socialdemocratico) e leader della Confederazione nazionale dell'agricoltura, intervistata da mongabay.com ha dichiarato che l’attuale Codice Forestale, obsoleto e rimasto in gran parte sulla carta, carica sulle spalle dei contadini e degli allevatori il peso di una regolamentazione ambientale che non ha eguali negli altri paesi. Abreu  sostiene che migliorare l’attuazione reale della legge, oggi invece quasi per nulla applicata in certe zone dell’Amazzonia brasiliana, mitigherebbe a sufficienza le conseguenze negative della nuova riforma sullo stato di salute della foresta.

Per essere attuata una legge deve essere realistica. Questa in sostanza la posizione dei sostenitori, che rivendicano il diritto all’utilizzazione delle risorse dell’Amazzonia con lo scopo di coniugare sviluppo del paese e tutela ambientale, anche per dare delle opportunità ai piccoli agricoltori che abitano il territorio in condizioni di povertà estrema.

Da un lato, in effetti, la questione alimentare, nonostante i progressi fatti con il programma Fome Zero, non è ancora stata risolta in Brasile. Ma dall’altro lato, quando si parla di produzione e di prezzi degli alimenti di base non si può tenere in conto unicamente il fattore terra, perché molti altri dati influiscono su prezzi e produttività.

Solo per citarne alcuni: trasferimenti di tecnologie nord-sud ancora troppo poco sviluppati, speculazioni sui mercati alimentari e utilizzo di alimenti per altri scopi non alimentari, come la produzione di bio-carburanti.

Affrontare la questione dello sviluppo in Brasile non è affare semplice, ma non sembra comunque onesto confondere le ragioni dei piccoli produttori e dei contadini con i voraci appetiti delle multinazionali, come per ora fa questa proposta di riforma.

L’Amazzonia ha prima di tutto bisogno di legalità e il fatto che il Parlamento brasiliano abbia votato in blocco una riforma che contiene un’amnistia generalizzata non è un segnale rassicurante né per il futuro del polmone verde del mondo, né per le persone che lo abitano. Ma sembra proprio che la storia della riforma non finisca qui visto che Dilma Roussef, almeno su questo punto, non sembra disposta a cedere facilmente.

 

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