di Mario Braconi

Agli Anonymous tedeschi, come a milioni di loro concittadini, i neonazisti non vanno proprio giù: sin dallo scorso maggio, con l’abituale videocomunicato su YouTube, la “filiale” tedesca del collettivo hacker ha lanciato la cosiddetta Operazione Blitzkrieg (“guerra lampo”) contro siti legati dell’estrema destra. Il video messaggio contiene un’interessante riflessione sul tema della libertà di parola e dei suoi limiti.

E’ innegabile il paradosso delle organizzazioni neonaziste che continuano a predicare odio e a fare proseliti facendo leva proprio sulle libertà che essi temono e disprezzano. “Voi neonazisti intimidite le persone che scendono nelle strade lottando per i loro ideali ed attaccate i vostri avversari politici negando loro il diritto alla libertà di parola” dice la voce distorta del clip di Anonymous di maggio. Eppure - continua - ipocritamente pretendete questo stesso diritto di libertà di parola per voi stessi [...]. Attaccate i giornalisti e i media in generale, attaccate membri delle fazioni opposte e allo stesso modo attaccate rifugiati ed immigrati”.

Un passaggio importante, dal punto di vista del metodo: se i cybercittadini sono liberi di approfittare del potere della Rete per diffondere i loro esecrabili messaggi di odio e violenza, al riparo della legge, secondo gli hacktivisti rivelare i nomi dei militanti neonazisti, più che una violazione della privacy, è un atto di giustizia. Le azioni promesse nel messaggio di maggio non si sono fatte attendere: nel giro di poche ore, un gruppo denominato No Name Crew (ciurma senza nome) è riuscito “buttare giù” ben 25 server locali del NPD (partito nazional-democratico tedesco), portandosi via una gran messe di dati personali di iscritti e simpatizzanti. A dispetto dell’aggettivo “democratico” contenuto nella sua denominazione, lo NPD è realtà un partito neonazista, che si sospetta abbia avuto legami con la Nationalsozialistischer Untergrund (NSU), una cellula terrorista neonazista che, in sette anni, ha ucciso nove immigrati e una poliziotta, rendendosi anche responsabile di un attentato dinamitardo nel quale sono rimaste ferite una ventina di persone.

E’ nello spirito di opposizione civile al veleno neonazista, e come “risposta” alla strage messa a segno dal “camerata” Breivik che, nel pomeriggio del 4 novembre, i militanti della fazione finlandese di Anonymous hanno violato il sito del movimento neonazista Kansallinen Vastarinta (resistenza nazionale) riuscendo a portarsi via ben 16.000 nominativi, immediatamente pubblicati in Rete con tutti i dettagli personali e l’indirizzo. Come spiega Mikko Hyppöneni, capo della ricerca della società di sicurezza informatica finlandese F-Secure, per ottenere dati tanto precisi l’utente internet dal nome “anomuumi” deve essersi messo a rovistare nei principali database del paese, quelli del Work Efficiency Institute, dell’Alleanza Studentesca Osku e di un paio di centri di formazione.

Anche in quel caso, le azioni illegali di Anonymous vanno interpretate come un fattivo contributo ad un mondo migliore. In fondo, l’obiettivo degli hacker era, dichiaratamente, dimostrare che la candida neve finlandese celi in realtà “una pozza di fango maleodorante che la sta rendendo ogni giorno sempre meno bianca”. Peccato però che non sia stato finora possibile identificare in modo chiaro e inequivocabile l’esistenza di una relazione tra le migliaia di persone messe alla gogna e i movimenti neonazisti. Per questo, occorre fare uno sforzo in più, ovvero fidarsi ciecamente di quello che dichiarano gli hacker di Anonymous.

Paradosso, dunque: anche gli antiautoritari di Anonymous sembrano chiedere ai loro sostenitori un esercizio che a occhio sembra contrario ai loro stessi principi (democrazia diretta, nessuna intermediazione eccetera). Senza contare che, sempre secondo Hypponeni, i dati personali pubblicati, siano o meno di teppaglia nera, costituiscono una miniera d’oro per i criminali in vena di furti di identità digitali.

Il 2 gennaio 2012 comincia con la seconda puntata dell’Operazione Guerra Lampo (BlitzkriegOp# è il thread da seguire su Twitter): in poche ore vengono messi fuori uso una quindicina di siti locali della NPD, la piattaforma Altermedia, covo di estremisti neri (compresi quelli britannici), il sito giornalistico di estrema destra Junge Freiheit (Giovane Libertà). Anche in questo caso, sono state rubate grandi quantità di dati personali di collaboratori, simpatizzanti, iscritti e perfino liste di clienti di boutique virtuali specializzate in capi di stile nazista classico (uniformi) o più adatti al moderno teppista di destra (ad esempio quelli firmati da Thor Steinar, che a suo tempo lanciò un discusso brand che aveva come logo le sue iniziali scritte con le corrispondenti rune).

La tecnica di Anonymous è quella nota: svergognare i neonazisti e mettere in allerta le possibili vittime. Questa volta, però, gli hacker vogliono fare le cose per bene, trasformando le loro boutade episodiche in un vero e proprio progetto di caccia al nazista: presso un apposito sito dal nome nazi-leaks (attualmente ospitato da una serie di mirror in tutta Europa) viene riportata una lista di nominativi, e-mail, basi dati clienti, account e password contenuti nei siti in odore di neonazismo. Secondo l’edizione in inglese di Der Spiegel, la conferenza della Chaos Computer Club, tenutasi quest’anno tra il 27 e il 30 dicembre scorso, è l’occasione per molti dei 3.000 hacker che vi prendono parte, per fare un po’ di esercizio: stoppando ad esempio qualche sito di estremisti di destra. In effetti è sospetta la data di attivazione di nazi-leaks, nato proprio il 27 dicembre.

Secondo Deutsche Welle, non tutti i commentatori sono entusiasti del “name and shame” messo in atto da Anonymous: il sito di informazione tedesco cita Simone Rafael del forum Netz-Gegen-Nazis (Rete Anti antinazista) il quale, pur sentendosi sollevato dal fatto che l’azione di Anonymous ha ripulito un po’ di feccia dalla Rete per qualche giorno, si è detto irritato per la scelta di aver pubblicato il nome degli estremisti. “Se loro avessero fatto la stessa cosa, sarei ugualmente furioso”. Sembra perfino che la sezione di Amburgo del collettivo Anonymous, in una mail alla Deutsche Welle, abbia definito la pubblicazione dei nomi dei neonazisti “una cattiva idea”.

Per mettere le cose nel giusto contesto, però, è opportuno ricordare che, come racconta l’edizione in inglese di Der Spiegel, in un anno e mezzo si contano ben 130 attacchi neonazisti contro rappresentanti della Linke (Sinistra): minacce, vetri rotti, scritte a spray, sabotaggio dei freni dell’auto. Una piccola guerra contro il “nemico” rosso, ma anche contro chi viene percepito come difensore dei diritti degli islamici, degli stranieri, degli omosessuali… Giusto, dunque, interrogarsi su quanto si possano forzare le regole per servire meglio ad un principio etico; ma senza dimenticare che si è di fronte ad un grave rischio di revanche nazista, per la quale la crisi economica costituisce un ottimo combustibile. In fondo, perfino un filosofo liberale come Popper sosteneva che una società aperta ha le sue buone ragioni per essere “intollerante con gli intolleranti”.

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